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Erica Pozzo

3° classificato nel concorso Marguerite Yourcenar 1997

con questo racconto:

 

Pierrenoire

 
«Eccellenza, perché proprio io?», chiese Pierre, con un tono misto di stupore e supplica.
«Perché tu sei Pietro e su quella pietra ricostruirai la nostra Chiesa. Perché è di qualcuno come te che quella parrocchia ha bisogno. La Chiesa ti chiama ad una grande impresa e tu risponderai, da umile servo di Dio quale sei. Il salto da Parigi sarà duro, lo so, ma la preghiera e la fede ti daranno la forza necessaria. Dio ti benedica», disse in un fiato il vecchio vescovo.
Come un galeotto condannato alla cella di isolamento, Pierre rimase senza parole, mentre il suo boia si allontanava.
Non avrebbe più dimenticato quel passo: il passo sordo e deciso di chi ha il potere di decidere della vita degli altri. Quel passo color viola, che si allontanava nel corridoio, senza dargli la speranza di un ripensamento, senza riconoscergli un diritto di appello.
 
Onde si frangevano sugli scogli dell'Isola di Pierrenoire con il rombo e la violenza di un esercito all'attacco.
Seduto in un incavo a picco sul mare, la sua poltrona di roccia, l'Abbé Pierre lasciava che l'aria salmastra gli inondasse il viso quadrato, le sopracciglia folte, il naso volitivo e le labbra fini.
Sale di mare, sale di vita, sale di fede.
Tutte le sere, da ormai vent'anni, l'Abbé si beveva questo spettacolo, tappa fondamentale di una giornata scandita da orari rigidi come quelli di un qualsiasi altro lavoratore.
Tutte le sere, da quando, senza diritto d'appello, gli era stato ordinato di partire per quella zattera di terra in mezzo al mar di Bretagna. Ordini dall'alto, non dall'Altissimo, solo da Vescovo della Diocesi di Dumale.
 
Lasciare la terra per un'isola. Il certo per l'incerto. La terra per la luna. Lasciare Parigi, la sua luce leggera, i suoi quartieri, il suo profumo irreale per Pierrenoire, una piccola rocca su di un mare in burrasca, meteorite caduta per caso tra una nube e un'onda…
Lasciare la parrocchia di Saint Marcel in quella dolce e perversa periferia, lasciare gli amici, i ragazzi perduti dell'oratorio, con il deserto nel sangue, lasciare le giovani donne profumate… Le donne di Parigi… angeli sulla terra, a volte un po' diabolici, ma capaci di farsi perdonare tutto! Lasciare quel profumo che attraversa la grata del confessionale, dimenticare i bagliori di quegli occhi luccicanti di pentimento e desiderio…
Pierre morì un po' a Parigi, per rinascere Abbé Pierre, appena toccata la spiaggia di Pierrenoire.
 
Era il primo gennaio 1910. Non avrebbe potuto essere che quella data. Pierre aveva venticinque anni. Si era imbarcato su di un piccolo peschereccio, lasciandosi alle spalle il porto di Le Chevalier e l'ultima boccata di mondanità.
Una borsa di pelle lisa, ereditata dal padre, una pesante cappa di lana, un berretto di feltro e i ricordi di anni felici trascorsi nella capitale inghiottiti dalle onde, inghiottite dalla nebbia.
Il faro di Pierrenoire barrì lontano, attutito dall'ovatta della bruma. Man mano che il peschereccio si avvicinava alle coste dell'isola, quel lamento diventava più forte e disperato. Marinai, state lontani da qui, noi siamo qui. Pierrenoire esiste: scusatela. Potrebbe essersi messa sulla vostra traiettoria: evitatela.
Pierre non poteva evitarla, veniva addirittura a cercarla. Il peschereccio procedeva faticosamente in mezzo a quel velo umido, color latte. "Navigare necesse est, vivere non necesse", così aveva detto Pompeo al suo equipaggio che si rifiutava di salpare andando incontro alla tempesta.
 
Ascoltò il rumore dei propri passi sul piccolo molo di legno nella baia dell'Hirondelle. Un rumore regolare, come quello di un vecchio pendolo, magnificato dalla nebbia, più sordo il passo destro, più squillante quello sinistro.
Nessuno ad attenderlo, nemmeno un'ombra. Le ombre nascono e sopravvivono con il sole. Risalì lungo la strada sterrata finché non raggiunse il villaggio. Il silenzio pareva essere l'unico abitante dell'isola. Silenzio, nebbia, onde.
Gli sembrò di avere di fronte un fantasma. Il deserto. Non una voce, non una risata, non un rumore umano. Le case sprangate, senza luci. Eppure era il primo dell'anno, la gente, a mezzogiorno, avrebbe dovuto essere sveglia, anche se obnubilata dalla notte di bagordi.
Provò a bussare ad una porta. Nulla. Chiamò a voce alta in mezzo alla via: «C'è qualcuno? Buongiorno! Sono il nuovo parroco…», ma già il suo
tono era scemato, alla fine della frase.
Il villaggio era microscopico, di quelli costruiti con una fila di case su ogni lato della strada principale. Dietro, i prati e la campagna.
Il freddo era intenso, l'umidità penetrava sotto la sua mantella di lana, eppure da nessun comignolo usciva un filo di fumo. Superò la chiesa proprio quando le campane avrebbero dovuto suonare per il mezzogiorno. Silenzio.
Proseguì fino alla fine della via quando, finalmente, vide una luce in lontananza. Era alta, nella nebbia, come una lucciola sospesa a mezz'aria. si precipitò, inciampando nella veste ampia, verso quell'unico segno di vita e si trovò davanti al faro, a qualche centinaio di metri dall'estremità sud del villaggio.
Pierrenoire… capì perché quel posto si chiamava così. Il faro appoggiava saldamente su di un enorme scoglio nero, pareva lava.
Bussò alla piccola porta. Nulla. Sentì qualche rumore: dunque, c'era qualcuno. D'altro canto come avrebbe potuto essere diversamente? Chi avrebbe, se no, attivato il faro e la sirena della nebbia?
Si fece coraggio e aprì: la porta non era chiusa a chiave.
«Permesso? Sono il nuovo parroco, l'Abbé Pierre…».
Entrò in una piccola stanza al piano terreno del faro. Terra battuta senza pavimento, un fuoco scoppiettava nel camino, un tavolo apparecchiato in modo frugale.
«Permesso? C'è qualcuno?».
Finalmente, nell'angolo più lontano della cucina, sentì un fruscio di vesti: strizzando gli occhi in quella penombra più vicina al buio che alla luce, intravide una figura di schiena, curva. Una donna molto anziana.
«Buongiorno, signora, sono il nuovo parroco… ma dove sono finiti tutti, oggi, c'è forse una festa da qualche parte dell'isola?».
La figura continuava a restare di schiena, senza rispondere, in spregio a ogni più elementare forma di educazione.
Pierre stava per perdere la pazienza, alterando il tono della voce, quando la donna si voltò con una pentola in mano, sbarrando gli occhi con un'espressione sorpresa e spaventata che lo fece sentire in colpa.
«Mi scusi se l'ho spaventata, non volevo… solo… la porta era aperta… non trovavo nessuno… così mi sono permesso: lasci che mi presenti: sono il vostro nuovo parroco, l'Abbé Pierre».
La donna continuava a guardarlo, ancora stupita, ma non più spaventata. Andò verso il tavolo con il passo lento e pesante di chi di passi ne ha fatti ormai troppi. Appoggiò la pentola, gli fece un cenno gentile con la mano, invitandolo a sedere e, sempre in silenzio, uscì dalla stanza.
Tornò dopo qualche minuto alle sue spalle (lui se ne accorse dal fruscio delle vesti), gli mise una mano sulla spalla e gli porse un pezzo di carta scritto e una matita.
«Sono muta, signore, ma posso sentirla. Mi chiamo Jeanine. Sono l'ultima abitante di Pierrenoire e sono la guardiana del faro».
Pierre sobbalzò quando sentì il cupo suono del faro che allertava le navi. Non avrebbe mai immaginato che potesse stordire così, dall'interno della costruzione e gli venne da pensare che, forse, Jeanine prima o poi, sarebbe diventata anche sorda. Pareva di essere nel ventre di una belva morente e di sentire i suoi, terribili lamenti.
«E io sono il nuovo parroco dell'isola, l'Abbé Pierre. Sono appena arrivato» disse lui.
Jeanine infilò un paio di occhiali che teneva nella tasca del grembiule, lesse allontanando un po' il foglio dagli occhi e fece un'espressione che lui non avrebbe mai dimenticato. Poi prese con dolcezza la matita dalla mano di Pierre e scrisse: «Perché l'hanno mandata qui, dove il gregge è composto di una sola anima?».
Un altro ululato del faro riempì la cucina con una violenza tremenda. Pierre sentì uno schianto dentro, mentre quella frase scritta con una calligrafia incerta, da bambina invecchiata, gli occupò lo sguardo per qualche minuto eterno.
«Tu sei Pietro e su quella pietra ricostruirai la nostra Chiesa». Che senso poteva avere tutto questo, se su Pierrenoire viveva solo Jeanine? Cosa mai avrebbe potuto costruire Pierre su quello scoglio desolato?
 
Passarono i giorni e le settimane. Mentre Parigi si dileguava dietro quella nebbia perenne, come un quadro sbiadito dal tempo, Pierrenoire diventava sempre più la realtà dell'oggi, la realtà da vivere.
Pierre prese possesso della parrocchia: gli ci volle più di una settimana per aprire tutti i cassetti, tutti gli armadi e tutte le porte di tutte le stanze della canonica e della sagrestia. La Chiesa era enormemente sproporzionata per un'isola così piccola.
Attraverso gli incartamenti conservati negli archivi della parrocchia e le storie raccontate per scritto da Jeanine, giorno per giorno, scoprì la vera storia di Pierrenoire.
Una storia di vita e di morte, di amore e di odio, né più né meno come molte storie umane. Solo che, su quell'isola, sentimenti ed emozioni erano stati magnificati dalle onde del mare, dalla solitudine degli abitanti, e dalla pazzia che aveva preso di mira alcuni di loro, ormai incapaci di sopportare intorno a sé la vista dell'acqua.
«Strano», pensava Pierre, guardando il mare dalla sua poltrona di roccia, a picco sulle scogliere. «La gente cerca sempre dei confini per sentirsi più sicura. Qui, che i confini c'erano, la gente è fuggita, perché si sentiva prigioniera».
I primi abitanti dell'isola erano stati dei galeotti pericolosi, trasferiti su Pierrenoire per non nuocere più alla società. Una decina in tutto: si erano spartiti il territorio in modo equo e si erano costruiti ognuno una piccola casa lungo un sentiero che, anni dopo, sarebbe diventata la via principale del paese.
Vissero di pesca, agricoltura e allevamento e, dopo circa dieci anni di permanenza in un esilio tutto sommato accettabile se non fosse stato esclusivamente maschile, i dieci ingaggiarono una lotta furibonda con le autorità per potere avere il diritto di avere una donna.
Quando la questione stava per sfuggire loro di mano travalicando i confini della regione, per diventare quasi una questione di Stato, le Autorità cedettero, considerandolo il male minore.
E così, una mattina di primavera, si sentì la voce del Guercio che gridava davanti ad ogni porta: «Arrivano, arrivano! Le ho viste, sono dieci, sono donne! Andiamo alla baia!».
Pochi minuti dopo, alla Baia dell'Hirondelle, venti occhi strizzati cercavano di avvicinare alla riva quella piccola imbarcazione. Dieci bocche seccate da anni di solitudine, stavano inumidendosi per baciare labbra di donne. E dieci cuori ormai induriti stavano già ammorbidendosi all'idea di potere condividere quella durezza con un'anima gemella, gemella a tutti gli effetti. Stavano, infatti, per approdare a Pierrenoire dieci galeotte.
Jeanine era una di quelle. Aveva ucciso un uomo che aveva cercato di abusare di lei. Una coltellata al cuore di uno sconosciuto e la sua vita era precipitata nel buio di una cella. Come quella di Annette, Julienne, Christine, Marianne, Juliette, Yvette, Pauline, Brigitte, Cathérine.
Avevano ucciso tutte, per delle ottime ragioni, a sentir loro. Come d'altro canto i primi dieci abitanti di Pierrenoire. Per questo erano stati spediti in quell'angolo di mondo dimenticato.
Venti vite si abbracciarono su quella baia, quella mattina, pronte a costruirsi un futuro diverso, per sé e per i propri figli.
Le coppie si formarono nell'arco di una settimana. Certo, ognuno aveva dovuto riaggiustare il tiro rispetto al proprio partner ideale, ma sembrò un miracolo a tutti che in così poco tempo, senza liti né sangue, si arrivasse a creare coppie affiatate.
Sembrò di buon auspicio, un segno del destino. «Forse la malasorte ci ha voltato le spalle», disse il Guercio un sabato sera.
 
Il mese dopo giunse anche un prete, l'Abbé Fouré: il vescovo della diocesi di Dumale, infatti, non poteva ammettere che dieci coppie, sebbene lontane da Dio e dagli uomini, com'era su Pierrenoire, potessero vivere nel peccato. Pensò, intanto, di avvicinarle a Dio e mandò sull'isola l'abate, affinché celebrasse al più presto i matrimoni.
Prima, però, bisognava costruire la chiesa. Sull'isola furono mandati in aiuto oltre cinquanta galeotti, responsabili di reati meno gravi dei primi abitanti dell'isola.
Ci volle quasi un anno perché l'opera fosse completata, ma fu tempo speso bene. Era bellissima e soprattutto enorme. Tutta in pietra, la stessa pietra di cui era fatta l'isola, con una grande croce in cima al campanile ed una campana con un suono marino. Proveniva, infatti, da un brigantino affondato in quel mare. Qualcuno l'aveva trovata abbandonata su di una riva, portata da una balena che l'aveva trovata particolarmente indigesta, così, almeno, raccontava la leggenda…
La Chiesa fu inaugurata con una Messa solenne, in cui vennero celebrati dieci matrimoni. Seguì un banchetto degno di questo nome con ventuno coperti, l'Abbé Fouré a capotavola.
 
«Quello fu l'unico giorno felice su quest'isola, sapete… Dopo quella domenica scoppiarono liti quotidiane per i confini, per il bestiame, gelosie, frustrazioni…» scrisse Jeanine all'Abbé Pierre, un giorno che lui l'aveva interrogata sul passato di Pierrenoire.
Per venti eterni anni l'Abbé Fouré tentò di fare ricordare Pierrenoire a Dio e Dio a Pierrenoire, ma giunse alla conclusione che, forse, quell'isola era stata un errore nella carta geografica dell'Altissimo, un errore che Egli aveva voluto completamente allontanare da sé, con un perfetto esercizio di rimozione mentale.
L'odio e la violenza si erano impossessati dell'isola e dei suoi abitanti e a nulla valevano le prediche dell'abate, urlate in una chiesa perennemente vuota, anche di domenica. Una chiesa assolutamente sproporzionata per la fede dei suoi parrocchiani. A nulla serviva che lui entrasse tutti i giorni nel confessionale, in attesa che qualcuno, finalmente stanco di odiare, intraprendesse la strada del pentimento.
La sola occasione in cui tutta la popolazione si riuniva, in una specie di tregua silenziosa, era quando qualcuno degli abitanti moriva. Allora, quasi rispondendo ad un patto segreto, tutti varcavano la soglia della chiesa. L'Abbé sperava sempre che quella fosse l'occasione buona per una riconciliazione, e si sgolava dal pulpito, sprecando parole come amore, compassione, fratellanza, fede.
L'Abbé Fouré morì sconfitto, un crociato ferito e morto sul campo. In vent'anni gli abitanti avevano avuto dei figli che odiavano i propri vicini, così che, appena avevano potuto, erano scappati da quel luogo di perdizione.
Un po' alla volta se n'erano andati tutti. Chi era morto, chi era scappato. Erano rimasti solo Jeanine, la vedova del Guercio, che era stato il guardiano del faro, e lui, l'Abbé. Ma lui aveva deciso di abbandonare il campo prima di lei.
 
«Sono più di sei mesi che l'Abbé Fouré è morto. Non avrei mai immaginato che avrebbero mandato qualcuno a sostituirlo, e solo per me!», aveva scritto Jeanine a Pierre il giorno del loro primo incontro al faro. E lui, giorno dopo giorno, seduto lassù, sulla sua poltrona di roccia, era alla ricerca di un segno divino, e ripeteva continuamente la domanda posta al Vescovo: «Eccellenza, perché proprio io? Dio mio, perché proprio io?».
Nei primi mesi il mare divenne la sua unica consolazione. Il mare, il suo rombo, che lo cullava di notte, la sua potenza, la sua bellezza, la sua naturale forza. Il mare: espressione divina. Il mare e quelle splendide scogliere, quelle spiagge di roccia, così nobili e semplici, così diverse, ogni giorno.
Il mare: scultore di rocce, scalpellino di coste, infaticabile, trasformatore della materia.
Il mare e Jeanine, sua unica parrocchiana, unico rapporto umano nel presente e unico collegamento con il passato di quel luogo.
Poi, un giorno, passeggiando sulla spiaggia della baia dell'Hirondelle, raccolse, come spesso faceva, un sasso per scagliarlo in mare. Ma mentre stava per lanciarlo in acqua, qualcosa lo trattenne. Guardò più da vicino quel sasso arrotondato e si accorse che pareva una piccola testa scolpita. Una chioma folta, un naso pronunciato, la barba… Rimase affascinato dall'abilità con cui il mare aveva scolpito quella figura e corse da Jeanine per mostrargliela.
«Guarda… guarda, Jeanine, cosa ho trovato sulla spiaggia dell'Hirondelle!», disse, mentre svolgeva il fazzoletto in cui aveva chiuso il sasso.
Ma appena Jeanine vide quel pezzo nero di pietra lavorato dal mare, sbiancò in volto e sbarrò gli occhi. Poi prese la matita dal grembiule e scrisse sull'angolo di un vecchio giornale: «Quello è il volto del Guercio, mio marito, dove hai trovato quella scultura?».
«Sulla spiaggia, te l'ho detto, l'ha portata il mare…».
Fu in quel momento che Pierre si rese conto che la storia di Pierrenoire sarebbe morta con Jeanine, se non si fosse fatto qualcosa per farla sopravvivere.
D'un tratto emerse dal passato il suo amore per la scultura. Fin da piccolo aveva cercato di plasmare tutto ciò che era plasmabile e con ottimi risultati: suo padre era sempre andato orgoglioso del talento del figlio.
Ma quando proprio suo padre aveva deciso che Pierre avrebbe dovuto seguire la carriera ecclesiastica, lui per ripicca aveva buttato gli attrezzi nel fiume e non aveva più scolpito nulla.
Con l'aiuto di Jeanine e dei dagherrotipi trovati in sagrestia, armato di un pesante martello e di uno scalpello, iniziò a scolpire sulle scogliere dell'isola visi e corpi dei suoi passati abitanti. Lei gli suggeriva in quale posizione scolpire questo o quello, con quale abito, quale attrezzo mettergli in mano…
Lavorò per quasi dieci anni a quella monumentale scultura. Cinque coppie di figure a sinistra, cinque a destra. In mezzo, un altare alto quanto la scogliera. L'intero villaggio nuovamente riunito nel nome di Cristo. E per sempre.
Pietro su quella pietra aveva ricostruito la Chiesa.
 
 

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Aggiornato 30 Ottobre 1997 (r1)