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Erika Pozzo
3a classificata sez. narrativa nel concorso Il club dei poeti 1997
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Si è classificata 3a nel concorso Marguerite Yourcenar 1997 sez. narrativa
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Racconto vincitore del 3° premio al concorso Il Club dei Poeti 1997

 

La gufa

 

Di giorno non era possibile incontrarla. Usciva solo dopo il tramonto, quando il buio si infilava tra le vie e avvolgeva le case. Via dei Cappuccini si inerpicava sulla collina della parte vecchia della città ed era nota per la scarsa illuminazione. Sembrava che avesse scelto apposta quella via per viverci, ma non era così. Lì era nata 30 anni prima, e lì aveva trascorso quegli interminabili diecimila giorni. Claudia, l'avevano battezzata.

La Gufa, la chiamavano nel quartiere, per le sue abitudini notturne. Avvolta in un mantello enorme, con una sciarpa di lana o di seta (a seconda della stagione) che le copriva il viso, lasciandole liberi solo gli occhi, usciva puntuale al calar della sera. I negozi già chiusi, la gente dietro alle finestre, a cenare o a guardare la TV. Il quartiere, deserto, apparteneva solo a lei, che seguiva un percorso immutato negli anni, come un cammino di espiazione.

Conosceva ogni centimetro di marciapiede. Evitava a memoria gli avvalli del terreno e gli ostacoli. Superava i cassonetti dalla parte della strada, perché la sua ingombrante mole non riusciva a passare là dove il marciapiede si restringeva. Il mantello era da anni un silenzioso alleato di quel corpo enorme, a lei ormai estraneo. Lo portava in giro come un cane, come un pacco, lo lavava (raramente, per vederlo il meno possibile) e lo riposava come un figlio illegittimo che il destino le aveva imposto.

Quando, e questo succedeva raramente, incontrava qualcuno, si metteva una mano davanti alla bocca e si riaggiustava il foulard, passando oltre con gli occhi bassi, quasi chiedendo scusa.

Molti credevano che fosse muta: nessuno si ricordava di avere mai sentito la sua voce. Semplicemente lei non parlava, non aveva niente da dire. E cosa mai poteva avere da dire una donna che passava 23 ore chiusa da sola fra quattro mura gelide?

Finita la passeggiata rincasava, saliva ansimando i pochi gradini della palazzina, e tornava a nascondersi nella sua tana dalle persiane perennemente chiuse.

Andava in bagno, si lasciava scivolare dalle spalle il mantello, si sfilava il foulard, apriva gli specchi laterali dell'armadietto sopra il lavandino e iniziava il suo rito quotidiano. Dalla cassa sotto il lavabo uscivano ritagli di riviste settimanali (quelle per le quali spendeva cifre folli, sottoscrivendo decine di abbonamenti per non doversi recare in edicola), con fotografie di primi piani di visi di splendide donne, attrici, soubrettes, fotomodelle. Fotografie a grandezza naturale, di fronte, di profilo, a 3/4. Claudia le aveva ritagliate tutte lungo il profilo del volto e dei capelli, e con la punta delle forbici aveva fatto un piccolo foro nel centro delle pupille. Una ad una le prendeva in mano e se le appoggiava sul viso, ammirando la donna che avrebbe tanto sognato essere. Capelli vaporosi, occhi grandi, naso fine, bocca carnosa… Per un attimo provava la gioia e il desiderio di mostrare il proprio volto a qualcuno. Ma poi, tolta la maschera, le restava ciò che aveva. Un viso ammaccato dall'infelicità, occhi affossati nelle guance troppo grasse, labbra secche, prive da sempre di baci, pochi capelli disordinati, e una folta peluria scura sul mento e sulle labbra. E provava la forte vergogna di mostrare a qualcuno quel viso triste e perduto.

Gli unici momenti di felicità erano, oltre agli incontri con lo specchio, le ore trascorse guardando le telenovelas dove tutte le donne sono belle e affascinanti: in ognuna aveva scelto un personaggio in cui identificarsi. E per quei pochi minuti riusciva a vivere felicemente la vita di un'altra.

Trascorsero altri anni ancora, anni tutti uguali, impietosi, in cui il passare del tempo sul suo corpo rese ancor più difficile il mestiere di sopravvivere. Poi, una mattina d'estate, la trovarono senza vita sul marciapiede: nella caduta le si era sfilato il foulard. Dalla tasca usciva un ritaglio di giornale con lo splendido volto di Claudia Schiffer: a mano una scritta sul retro della fotografia: «Anch'io mi chiamo Claudia».

 

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Aggiornato 30 Ottobre 1997 (p3)