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Elena Buccoliero

classificata alla sezione narrativa del concorso

Marguerite Yourcenar 1996

col racconto:

Nico

 

«Questo è il mio gatto», dirà il bambino. «Tu ne hai uno?».
«No» dirà l'uomo, «nessuno. Che nome gli hai dato?».
«Nico. Come mio cugino».
«Hai un bel cucciolo. Posso prenderlo in braccio?».
«Non so se vuole».
«É»
«Sei stato via a lungo».
«É»
«É»
«È molto piccolo, Nico».
«Era il più piccolo di tutti. Erano sei ma lui si era ammalato perché la mamma non lo voleva allattare».
«Allora lo hai salvato tu».
«Sì, ma io non potevo mica allattarlo sul serio!».
«Col biberon».
«Col biberon. Come i bambini».
«É»
«Sei stato via a lungo».
«Dici che posso prenderlo in braccio, Nico?».
«UhmÉ Perché le gatte fanno tanti gattini se poi a certi non gli danno da mangiare?».
«Forse non lo decidono, di averne tanti. Succede, e basta».
«E se ne hanno pochi, li allattano tutti?».
«A volteÉ E a volte no».
«Allora dovevano pensarci bene prima di entrare nella pancia della mamma, che non li voleva».
«Ma nemmeno i gattini possono scegliere. Loro meno di tutti».
«É»
«Io so che Mamma Gatta ha pianto quando Nico è stato portato via».
«Non ci credo! Lei non lo voleva allattare!».
«Forse aveva poco latte».
«Per gli altri ne aveva. E poi Nico se ne frega di lei e se ha pianto, perché la odia».
«Se sapesse che ha pianto, la odierebbe ancora?».
«É»
«Ascolta. Forse la mamma se lo sentiva che Nico se la sarebbe cavata anche senza di lei. Che saresti arrivato tu».
«Come faceva a saperlo? I gatti pensano come noi?».
«Qualche volta mi sembra di sì, che capiscano tante cose. Scommetto che Nico lo sapeva, di te, quando ti ha incontrato per la prima volta».
«Nico era arrabbiato. Non la voleva più vedere sua madre che non gli dava il latte».
«Forse i fratelli bevevano anche la sua parte».
«Dici? Come si fanno le parti, tra i gattini?».
«Chi è più forte vince. Caccia via gli altri cuccioli e mangia finché ne ha voglia».
«E la mamma non può dire: ora è il tuo turno, ora è il suoÉ un po' per tutti i gattini?».
«Non può. Sulla fame non si ragiona».
«Ma senza latte i gattini non vivono».
«Anche sulla vita non si ragiona».
«E perché sulla vita dei figli sì?».
«É»
«É»
«Forse perché non si riesce a fare altro. È triste, quando è così».
«Certe volte anche Nico è molto triste».
«Però è un cucciolo fortunato. Ha te».
«É»
«É »
«Sei stato via a lungo».
«É»
«Al posto di Nico, tu cosa avresti fatto?».
«Eh, avrei cercato un bambino come te».
«Tu lo sai com'è, nei suoi panni?».
«Forse sì».
«Io lo so di sicuro, com'è. È come non avere neanche una persona al mondo».
«Ora esageri. Tu c'eri».
«Va bene. Allora è come non avere LA persona al mondo, proprio quella che doveva darti il latte e invece se n'è andata via».
«Nico non ti chiede mai perché la mamma se ne è andata via?».
«Adesso no. E poi lei non è andata da nessuna parte, sono io che ho preso Nico. Per il suo bene».
«Chi può decidere il bene degli altri?».
«Ma era cattiva, sua madre!».
«Forse no. Forse non poteva fare niente per lui. Bisognerebbe dirlo, a Nico».
«Nico non lo sa. Non lo sa e non lo vuole sapere».
«Però vuole giudicare».
«É»
«É»
«Tu vuoi che gli dica di perdonarla, vero?».
«Io vorrei dirgli che è molto amato».
«Con me Nico è superamatissimo. A volte mi scambia per la sua mamma perché da piccolo gli davo il latte. Gioca che sembra mi voglia leccare di coccole».
«E tu?».
«Un po' lascio fare, un po' no. Non sono mica un animale, io!».
«Hai ragione».
«Io non sono la sua mamma, sono un suo amico. Un amico è una cosa diversa, capisci?».
«Capisco. Non si sostituisce. Non si può».
«Nico non la vuole più, sua madre, ora. Ora che non ha più tanto bisogno di lei».
«Sei sicuro che i grandi non hanno bisogno di nessuno?».
«É»
«É»
«Chi fa le coccole ai grandi?».
«Altri grandi. O i piccoli. A volte, nessuno. Dipende».
«I grandi sono molto soli?».
«A volte sì, sono molto soli».
«É»
«É »
«Sei stato via a lungo».
«Anche tu».
«Io sono sempre stato qui».
«Ma ioÉ io non lo sapevo».
«Io ci pensavo, che poi tu venivi e andavamo in campagna e mi portavi sui cavalli».
«Beh, i cavalli sono un po' troppo grandi, non ti sembra?».
«I pony, no. Nel posto dove andiamo insieme ci sono?».
«Ce n'è uno, grigio, con una macchia bianca sul muso».
«È una stella?».
«No, è solo una macchia. Sembra un po' un fagiolo. Però è un animale simpatico e ha sempre voglia di stare con te».
«Ci posso salire?».
«Certo. Se non hai paura».
«Se tu vieni con me io non ho paura».
«Non ti va di cavalcare da solo? Un pony non è forte abbastanza per tutti e due».
«E tu?».
«Io rimango a guardarti».
«Non mi aiuti neanche a salire?».
«Sì, che ti aiuto».
«C'è il sole, vero?».
«Tanto. È primavera. L'aria è appena un po' tiepida».
«E poi ci sdraiamo sul prato».
«Va bene».
«Io con la testa sulla tua pancia, eh? Come ai vecchi tempi».
«Ehi, non è passato poi così tanto tempo».
«Però sembra. Sei stato via a lungo».
«SìÉ Anche tu».
«Io non lo sapevo».
«Hai ragione».
«Io non lo sapevo tu dov'eri, come fare a chiamarti, se dicevo il tuo nome e tu non riuscivi mai a sentirmi. Quando ho avuto la febbreÉ».
«É la febbreÉ»
«É e quando sono andato all'asiloÉ ».
«É asiloÉ».
«É e quando c'è stata la mia festa di compleannoÉ».
«É sìÉ».
«Io ti invitavo, ti invitavo sempre, ma tu non venivi mai!».
«Io non lo sapevo. IoÉ non ero sicuro».
«É»
«Anche io ti ho chiamato».
«É!?»
«Ti ho chiamato quando hai avuto la febbreÉ il primo giorno d'asiloÉ per il tuo compleannoÉ».
«É!?»
«É e ti ho cullato uno stramiliardo di volte, prima di dormire e la mattina a svegliarti, quando eri arrabbiato e quando volevi giocareÉ».
«Quant'è, uno stramiliardo?».
«Un biliardo di quadriliardi di quinquiliardi moltiplicato sei».
«Tutte quelle volte?».
«Tutte. E forse anche di più. Senza contare i giorni che ero io a voler giocare con te».
«E perché non ti ho sentito?».
«ChissàÉ tu cosa dici?».
«Forse hai detto piano».
«Sì».
«Forse ero distratto e non sono riuscito a capire».
«T'immagini, magari eravamo tutti e due troppo impegnati ad urlare, per riuscire a sentirciÉ che stupidi, eh?!».
«Già, che stupidi!».
(ridono insieme)
«É»
«Io però lo sapevo che tornavi».
«Davvero?».
«Uhm uhmmm».
«Come facevi a esserne tanto sicuro?».
«Boh, forse qualche volta ho sentitoÉ un pochino».
«Anch'io lo sapevo. Mi pareva d'impazzire, sennò. Poi sembra sempre che non sia il momento giusto, viene la paura».
«Paura, TU?».
«Tanta».
«É di cosa?»
«Non soÉ di te, anche».
«É ?»
«Di non piacerti. Che non mi volessi più vedere. Come Nico».
«IoÉ».
«Noi vogliamo stare insieme, vero?».
«Sempre».
«Allora la prossima volta che busserà la Signora Paura, io non la lascerò entrare. Promesso. E se in casa ce n'è ancora uno scampolino, la venderò a litri. Mi aiuti?».
«OK! E chi la comprerà?».
«Tutta la gente che cerca una scusa. Tanto, a noi non servirà più».
«La venderemo a tanto?».
«Ad un prezzo basso, bassissimo. Regalato».
«E coi soldi cosa ci faremo?».
«Compreremo dei regali. Dei regali bellissimi per te e per me».
«Io per te e tu per me».
«D'accordo».
«E uno anche per Nico».
«Giusto. Una pallina morbida per giocare».
«E per la mamma?».
«Quello lo sceglierai tu, ti va?».
«Sì».
«É »
«Siamo stati via a lungo, eh?».
«Ci hanno portati via».
«Ma adesso più».
«No, più. Credi che potrei prendere in braccio Nico, adesso?».
«Solo a un patto».
«Un patto serio?».
«Serissimo».
«Allora mi preparo. Qual è il patto?».
«Che prendi in braccio anche me. Così mi addormento».
«Vieni».
«Posso pensare al pony grigio con la macchia bianca?».
«Certo. Quando vuoi che ci andiamo?».
«Domani. È primavera?».
«No, ma non importa. Siamo ancora in tempo. Dopo la scuola, ti va?».
«Mi vieni a prendere?».
«Pensavo di sì, che ne dici?».
«Eccome!».
«É»
«Devo proprio andare a scuola anche domani?».
«È un mercoledì uguale a tutti gli altri».
«BehÉ quasi».
«Uguale a quelli che verranno. E poi al pony non piacciono le gnole».
«E va bene. Però dopo andiamo, promesso?».
«Promesso».
«Mi piace che mi abbracci. Se penso forte al pony dici che lo sognerò?».
«Forse».
«Allora pensaci anche tu, così ci incontriamo in sogno».
«Va bene».
«Però no solo in sogno».
«No, sempre. Tutti i giorni».
«Domani».
«Sì, domani. Dormi, adesso».
«Guada, ho gli occhi chiusi chiusissimi, sto già dormendo».
«Buonanotte piccolo».
«Buonanotte papà».



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