Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Tiziana Pannunzio
Con questo racconto si è classificato quarto al concorso Marguerite Yourcenar 1999
La soffitta
 
Ecco, la porta di casa si chiude alle mie spalle, con un colpo secco che mi fa trasalire. Col cuore gonfio, giro la chiave un'ultima volta: addio, guscio di noce, addio, forse per sempre. Stringo forte al petto la mia bambina addormentata, cercando di nascondere quelle lacrime che mio marito, che pure mi ama teneramente, non capirebbe. Già: lui, di solito piuttosto draconiano nei suoi giudizi, mi ripeterebbe per l'ennesima volta che sono infantilmente attaccata alle cose.
Cose?! La casa dove sono nata e cresciuta, il cortile dove ho giocato da bambina, il quartiere dove sono sempre vissuta sarebbero davvero 'solo delle cose'? Oppure, ogni giorno, un po' di briciole di quella vita che nasce e si dipana intorno alle cose cadono non viste, rotolano e si nascondono, e poi sbucano fuori all'improvviso, animandole di vita propria? Perché nel cortile deserto si rincorrono ancora le voci di quei ragazzi che, ormai grandi, giocano il gioco della vita? Perché, anche se è inverno, sulla pelle sento il calore delle prime giornate di sole, quando le mamme finalmente ci liberavano dalla pruriginosa tortura delle maglie di lana e ci rivestivano di panni leggeri e colorati, con gli immancabili sandaletti ad occhiali?
Ricordi e sensazioni sono rimasti impigliati in ogni angolo di quel paese dentro la città che è il quartiere. E adesso che devo lasciarlo, mi si affollano intorno a salutarmi. Rivedo i compagni di giochi, le mamme che ci chiamavano dalle finestre per la merenda, gli animati bisticci e le immediate riconciliazioni, l'ultima gomma americana divisa fra tutti, lo scambio dei Topolino unti di patatine. E, come colonna sonora, sento ancora le risate, le 'conte', i campanelli delle biciclette, il borbottio dei vicini... Come tutto sembra lontano, perso per sempre!
I bagagli sono tutti sistemati, domani i mobili ci seguiranno. Salgo in macchina rassegnata, senza più guardarmi intorno e mi rappalluccio nel cappotto: all'improvviso sento tanto freddo, ma è un freddo che nessun indumento riuscirà a mitigare, un freddo che viene da dentro, dal profondo della mia tristezza.
Certo, la mansarda dove vivevamo era un po' piccola, ma tanto luminosa e con una terrazza bellissima. Quando ero piccola lì c'erano i lavatoi condominiali e la mia mamma, abitando al piano terreno e non avendo nemmeno un piccolissimo balconcino, ogni giorno saliva in terrazza a stendere i panni e spesso portava anche me e la mia sorellina.
Quando nel 1986, le proprietarie del palazzo vendettero lavatoi e terrazza ad un loro conoscente, che per lavoro aveva bisogno di un piedà-terre a Roma, ero molto dispiaciuta che un estraneo si appropriasse di un pezzo della mia infanzia. Questi vi fece costruire una casettina per metà vetro e per metà muratura e guarda alle volte il caso, incaricò proprio mio padre, falegname, per la creazione degli infissi, delle porte e dei controsoffitti; così ogni tanto salivo a far compagnia a papà e a curiosare un po'.
I lavori andavano avanti ed io fantasticavo di come sarebbe stato bello abitare lì, con tutte quelle finestre: certo, il panorama non era poi la fine del mondo, con quella fioritura di antenne sui tetti, ma era decisamente molto meglio delle finestre della mia casa, che davano sulla strada, da cui non mi affacciavo quasi mai, per non sembrare una vecchia pettegola a spiare gente.
Fortuna volle che il nuovo proprietario non fosse più trasferito a Roma e che mettesse in vendita la mansardina. Mio padre, pur con una buona dose di sacrifici, decise di comprarla per me, che ero già al secondo anno di università, perché avessi uno spazio tutto mio per studiare e dormire in pace, senza dover più dividere la camera con mia sorella.
Così, io che non avevo avuto mai nemmeno un angoletto mio, io che studiavo sul tavolo della camera da pranzo e che spesso ero costretta a pellegrinare qui e là con i miei libri, io che ogni volta che volevo sentire un po' di musica classica sollevavo le vive proteste di madre e sorella, io, proprio io, avevo una casetta tutta per me, col suo bagno piccolino, la sua brava cucina, una bella stanza e la terrazza.
Dio, che sogno poter respirare l'aria tiepida del dolce inverno romano! Che primordiale benessere, d'estate, innaffiare i fiori a piedi nudi, sul mattonato quasi bollente, profumato di sole! Quante nottate passate sui libri, mentre intorno a me piano piano vedevo spegnersi tutte le finestre! E potermi poi finalmente addormentare guardando le stelle, cullata dalla musica di Mozart.
Quello stesso anno ebbi un'altra fortuna, la più grande: conobbi quello che poi sarebbe diventato mio marito, e fu amore a prima vista. Mi scoprii anche carina, io che ero sempre stata una ragazza del tipo 'però è simpatica', espressione agrodolce che sottintende l'antifona 'non è una gran bellezza'. Capii finalmente che non ero affatto più brutta delle altre, ma che semplicemente mi ero sempre sentita tale. Sapere che qualcuno mi trovava non solo simpatica e intelligente, ma anche piacevole d'aspetto, mi fece guarire dalla 'sindrome del brutto anatroccolo' ed acquistare un minimo di sicurezza.
Quattro anni dopo eccomi uscire dalla casa dei miei genitori con un bellissimo abito bianco, proprio quello delle favole, e rientrare sei piani più su, dopo la luna di miele. La mansardina, che noi chiamiamo scherzando 'la soffitta', diventa così il nostro nido, fra le risate per gli improbabili manicaretti e le tenere effusioni di innamorati, fra le bollette da pagare e le piccole cose di tutti i giorni. Gli amici vengono volentieri a trovarci, specie d'estate, quando si può pranzare in terrazza e tutti ci sentiamo felici per quel ritaglio di cielo che abbiamo a disposizione.
Ancora due anni e siamo in trepidante attesa della cicogna. I miei genitori non si tengono più dalla contentezza, mio marito mi ricopre d'attenzioni più del solito. Fa un po' caldo d'estate in soffitta, col pancione, ma c'è sempre la terrazza dove poter respirare.
Finalmente, eccoci di ritorno dalla clinica con il più tenero dei fagotti: una bellissima bimba, con gli occhioni grandi e vellutati, il visetto simpatico con due guanciotte da mangiarsele di baci. Il nido adesso è veramente tale e da bravi apprendisti genitori ci affanniamo attorno al nostro piccolo cucciolo d'uomo: seni gonfi di latte, pannolini da cambiare, ciucciotti, pappe, bagnetti, borotalco...
I mesi passano veloci e già si sente balbettare 'mamma', ancora un po' e le parole sgorgano ogni giorno più numerose e spedite, si tentano i primi traballanti passi sul terrazzo. Fra passeggino, seggiolone, box e lettino, la soffitta ci va un po' stretta, ma in compenso la bimba cresce serena, perché mi ha costantemente a portata di mano, proprio grazie alle piccole dimensioni della casa.
I ricordi d'infanzia si sovrappongono al presente: la mia bambina mi trotterella dietro mentre stendo i panni, mi passa le mollette tutta orgogliosa di avermi 'aiutato', come io stessa facevo trent'anni prima con la mia mamma. Anche d'inverno il clima mite di Roma ci permette, quasi ogni giorno, spensierate ore di giochi sul terrazzo, inseguendo una palla o colorate bolle di sapone. Nell'aria gli allegri gridolini della bimba si mescolano a quelli degli uccelli ed il rumore dei suoi piccoli passi saltellanti risuona lieto sopra il grès.
Arriva il terzo compleanno ed ecco che il marito propone di trasferirci in un paese vicino Roma, in una casa più grande, dove la bambina possa crescere e giocare più liberamente. Tanto, dice lui, anche i miei genitori si sono trasferiti al paese d'origine, dopo che papà è andato in pensione, quindi non lascio nessuno. Mi si stringe il cuore e, pur non troppo convinta, cedo per il 'bene' della bambina: avrà una sua cameretta, potrà muoversi di più e diventare più indipendente.
Così impacchetto le carabattole, faccio il bagaglio e, sospirando, mi accingo a lasciare il palazzo dove ho vissuto per oltre trent'anni. È vero, non lascio nessun familiare, ma tanti amici sì. Persone con cui ho condiviso tante emozioni, tante speranze. E tante 'cose': il sapore della mia infanzia, le impronte della mia vita, la dolcezza della mia città. Salpo da questo porto con la speranza di tornare, perché so bene che per me in un paese estraneo non c'è passato e quindi nemmeno futuro. Sono come una rondine, costretta ad andar lontano per necessità, ma con la promessa a me stessa di ritornare un giorno al vecchio nido, sotto il tetto.

 

Classifica Concorso Marguerite Yourcenar 1999 sezione narrativa
Torna alla Home Page
 
PER COMUNICARE CON L'AUTORE speditegli una lettera presso «Il Club degli autori, cas.post. 68, 20077 MELEGNANO (Mi)». Allegate Lit. 3.000 in francobolli per contributo spese postali e di segreteria provvederemo a inoltrargliela.
Non chiedeteci indirizzi dei soci: per disposizione di legge non possiamo darli.
©1999 Il club degli autori Tiziana Pannunzio
Per comunicare con il Club degli autori: info<clubaut@club.it>
Se hai un inedito da pubblicare rivolgiti con fiducia a Montedit

Rivista Il Club degli autori

Home page Club dei poeti
|Antologia dei Poeti
Concorsi letterari
Arts club (Pittori)
TUTTI I SITI CLUB
Consigli editoriali per chi vuole pubblicare un libro
Se ti iscrivi al Club avrai un sito tutto tuo!

In serito 5 novembre 1999