Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
Incipitpit di
Solo una pagina del mio diario
racconti di
Silvana Brigandì
I
 
"Tenga" mi disse quell'omone dall'aria truce, senza accennare il benché minimo sorriso e mi schiaffò in mano qualcosa, capii solo la parola "urina" e mi vidi tra le dita un bicchiere di plastica e una provetta. "La riempia" continuò "vada di là" disse senza indicarmi il posto dove sarei dovuta andare. Il suo accento siciliano era sfacciatamente marcato. Quel tono repentino unito a quel grugno mi procurava un malessere freddo, un senso di inadeguatezza e uno scoramento grande che io lì per lì fui costretta a scacciare presa com'ero a interpretare quei mugugni strani, quelle parole non parole dette a labbra strette, di chi è abituato a dire sempre le stesse cose e ha perso, se mai l'avesse avuto, quel soffio d'umanità che Dio nella sua magnanimità ha donato a tutti. Cercai affannosamente di ragionare: avrei dovuto sicuramente riempire quella provetta, sarei dovuta andare in bagno... Cinsi la mia bambina per la vita, l'avvolsi con le mie braccia protettive e l'aiutai a camminare.
"Dove devo andare?" dissi ostentando un tono sicuro, cercando di far uscire la voce alta e chiara. "Di là" disse quel vocione. 'Non si spreca certo in parole' pensai cercando il bagno. "Di qua, vero?" la mia voce forte pretendeva una risposta. "Sì" disse quella voce. Aprii la porta titubante. Sì, era proprio il bagno. Diedi un'occhiata intorno e per un attimo il mio scoramento si fece risentire. Non si poteva certo dire che curassero scrupolosamente l'igiene in quel posto. C'era un lavandino sporco, un bidet sporco, un water sporco, a terra era bagnato, 'pipì', pensai.
"Adesso come faccio, come?" quello squallore si stava impadronendo di me. No, non potevo permettere questo, la mia bambina aveva bisogno d'aiuto e in quel posto avrebbero potuto aiutarla. Dovevo chiudere quei canali, dovevo, non avevo altra scelta. La mia sensibilità di essere umano civilizzato andava dimenticata, andava presa con forza e chiusa a chiave. È sorprendente come l'uomo in certi momenti sappia dare fondo a tutte le sue risorse; la capacità che ha l'essere vivente di adattarsi ha del miracoloso. Non saprei dire come riuscii a fare tutto ciò che mi era stato chiesto di fare, fatto è che ci riuscii. Riempii quella provetta; le mie mani si erano sporcate di urina. 'Poco importa' pensai 'in fondo è la pipì della mia bambina'. Uscii da quel bagno ripromettendomi di disinfettarmi le mani, stando attenta a non toccarmi il viso. "Venga di qua". Ancora quella voce, ancora quell'omone. Dovevo entrare in un'altra stanza, la mia bambina doveva fare il prelievo e io non avevo avuto ancora il coraggio di dirglielo. "Che dobbiamo fare adesso, mamma?" La vocina sottile della mia bellissima figlia mi distolse dai miei pensieri. Dovevo dirglielo ma come, come? Prevedevo la sua reazione, sapevo già cosa avrebbe fatto, aveva sempre avuto terrore degli aghi. Avrebbe urlato, avrebbe pianto. Avrei dovuto dirglielo, ma dalla mia bocca non usciva alcun suono. La condussi nell'altra camera senza parlare, senza rispondere alle sue domande. "Dove dobbiamo andare, mamma? Che dobbiamo fare?" voleva una risposta e io non riuscivo a dargliela. "Vieni, siediti, scopri il braccio" dissi come in trance. Eh sì, ero stanca, ero proprio stanca, i miei riflessi erano lenti se mi comportavo in quel modo. Non avevo saputo prepararla e adesso lei aveva capito. "Perché devo scoprirmi il braccio?" disse piangendo "perché, mamma?" I suoi singhiozzi si sentivano adesso per tutto il reparto, anche lei era stanca come me, stanca e tremendamente spaventata. "Vedrai, non è niente, fanno in un attimo, non te ne accorgerai nemmeno, te lo giuro". "Se fa così non ci sbrigheremo mai". Ancora quel vocione, quel vocione che mi perseguitava. "È solo una bambina" ribattei subito risentita. La mia faccia dai lineamenti naturalmente dolci doveva aver assunto un che di minaccioso se quell'uomo strano che avrebbe dovuto essere un infermiere, cambiò immediatamente tono, farfugliò qualcosa di incomprensibile, qualcosa che somigliava vagamente a delle scuse e finalmente ci lasciò in pace. Passammo una buona mezzora a cercare di calmare nostra figlia, ma ogni tentativo, ogni rassicurazione risultava vana, sia io che mio marito eravamo ormai allo stremo quando decidemmo nostro malgrado di cambiare tattica. "Lo devi fare e basta". Il mio tono adesso era cambiato, aveva assunto una gradazione aspra. Scoprii il suo braccio e chiamai l'infermiera: "sbrighiamoci" le dissi decisa "tanto non riusciremo a calmarla mai". "Avanti, piccola, vedrai che non ti faccio niente" disse questa usando un tono rassicurante. Era una donna sulla cinquantina, aveva un fare sbrigativo, un piglio vivace. Non potei fare a meno di notare le sue braccia, le sue dita: erano pieni di monili d'oro. Portava i capelli legati e il suo viso, piccolo e ossuto, era incorniciato da due grossi, enormi orecchini vistosi, sfacciati come non mai. 'Che strana donna' pensai un po' preoccupata del fatto che proprio lei avrebbe dovuto fare il prelievo alla mia bambina. 'L'abito non fa il monaco' cercai di rassicurarmi. "Come ti chiami?" quell'infermiera cercava di distrarla. "Lucia" risposi al posto di mia figlia che continuava a piangere ininterrottamente. "Stai calma, tesoro non sentirai niente è solo un pizzico, puoi starne certa, mio marito si rivolse alla nostra bambina e intanto mi guardò negli occhi: ormai eravamo decisi, il prelievo andava fatto subito. Mio marito afferrò il braccio della bambina, lo immobilizzò mentre io avvolsi il suo viso, lo strinsi al petto mentre l'infermiera affondò quell'ago tanto odiato. "Hai visto? Non ti ha fatto niente" dissi rivolgendomi alla mia piccola. Le asciugai le lacrime, la ricomposi, l'abbracciai "brava!" le disse mio marito baciandola sulle guance ancora bagnate "andiamo al bar" proseguì volgendosi verso di me. "Sì, andiamo al bar" risposi alleggerita "andiamo al bar".
 
 
II
 
 
Forse mi resi veramente conto di quello che stava accadendo, di quello che avrebbe dovuto accadere quando vidi mio marito uscire da quella porta. Io e mia figlia eravamo rimaste sole, sole col nostro fardello da portare sulle spalle. Sapevo che il grosso di quella battaglia spettava a me. Non è soprattutto la mamma che si occupa dei suoi figli? Non è forse la mamma che li segue costantemente ventiquattrore su ventiquattro? Hanno un bel dire quelli che si riempiono la bocca coi paroloni parlando di emancipazione femminile, parlando di uguali diritti e uguali doveri, parlando di mammo, coniando questo brutto, orripilante nuovo termine. Fatto sta che da che mondo è mondo la cosa più naturale è che la madre si deve sacrificare per i suoi figli, deve rinunciare, se la vita lo richiede, a tutto per loro, deve mettere se stessa e le sue aspirazioni un gradino sotto della famiglia e dei suoi bisogni. E l'uomo? Che cosa spetta all'uomo? Ebbene qualsiasi cosa egli faccia per la famiglia viene riconosciuto ed enfatizzato, mentre tutto ciò che una donna fa per la famiglia rientra nella normalità, nessuno mai ti dirà 'brava'.
Ma che vado farneticando? Vero è che tanto, troppo c'è ancora da fare ma noi donne di fine secolo non dobbiamo permettere che passati soprusi vengano vissuti come se facessero ancora parte del presente... E poi non lascerei la mia bambina per nessuna cosa al mondo. Per staccarmi dal mio tesoro ci vorrebbero cento, ma che dico mille guerrieri armati; e lo stesso avrebbero un gran bel da fare a tentare di scollarmi da lei.
Verificato questo, sempre che ce ne fosse stato bisogno, lascio il corridoio tenendo per mano il mio piccolo tesoro, con ancora impressa nell'iride l'immagine un po' sfocata del viso di mio marito, quel viso che allontanandosi per un attimo mi aveva fatto rabbia, quel viso che adesso nei miei occhi recuperava e rivelava la sua vera natura: un volto dai lineamenti comprensivi e dolci, un volto pieno d'amore. Rivedo la sua mano forte alzata a mo' di saluto, e mi dirigo in quella che sarebbe dovuta diventare la nostra camera per un numero non ben precisato di giorni, per un numero indeterminato di ore, per un numero indefinito e infinito di minuti e secondi.
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inserito il 4 ottobre 1999