Scrittori italiani contemporanei
Silvana Brigandì
Ha pubblicato il romanzo

Silvana Brigandì Solo una pagina del mio diario
editrice Montedit, 1999,
pp. 64, Lit. 8.500, ISBN 88-86957-94-7 
 
 
 
 
 
Prefazione
 
È solo una pagina del mio diario conclude - nonché voce narrante e protagonista - ripensando alla sua personale vicenda, appena conclusa, proprio nel momento in cui apprende che un nuovo pianeta è stato scoperto negli immensi spazi dell'universo. Viene così reso esplicito il filo conduttore di tutta la narrazione: un frammento di vissuto, un segmento di esperienza si fonde a tutte quelle che l'hanno preceduta e la seguiranno, in un concerto senza fine fatto di dolore e gioia, speranze e timori, delusioni e riscosse; un concerto in cui ciascuna singola nota, sia pure infinitamente piccola, ha una sua peculiare e unica risonanza che la rende diversa da tutte le altre. Così, nel corso della narrazione, il dato individuale viene costantemente portato a livello generale, e allo stesso modo considerazioni di più ampio respiro riportano sempre alla contingenza. A questo intrecciarsi di piani ne corrisponde un altro di tipo più propriamente narrativo: passato e presente, infatti, si confondono tra loro attraverso il costante ricorso alla tecnica del flash-back che conferisce all'intreccio un andamento volutamente sinuoso, come di spirale che si avvita su se stessa (il che, com'è noto, rimanda al segno grafico con cui spesso viene simboleggiato l'universo).
La storia inizia dunque in medias res. L'incidente di cui è stata vittima la piccola Lucia, la figlia dell'autrice-protagonista, è già avvenuto; solo più avanti sapremo come e quando la bimba si è ferita coi vetri, riportando le lesioni per cui si rendono necessari il ricovero ospadaliero e l'intervento chirurgico da cui prende avvio la narrazione. Il viaggio nel mondo della sanità - o della mala sanità, come purtroppo accade anche in questo caso - inizia proprio col ricovero della piccola. La mamma - e usiamo questo termine fuor di ogni retorica, nella sua accezione più affettuosa e delicata - accompagna la bimba nei corridoi dell'ospedale, la segue nelle cento piccole umilianti incombenze cui devono sottostare pazienti grandi e piccoli, si indigna di fronte all'incuria in cui sono lasciate le cose e a cui le persone si lasciano volutamente andare; sente crescere in sé la rabbia e la paura, ma trova la forza di reagire in piccoli gesti, quotidiani ma in questo caso carichi di significato: cerca alcol e cotone per replicare in quel luogo anonimo le piccole comodità di casa, porta Lucia a fare colazione al bar, si sdraia con lei, la protegge con le braccia e con il cuore. E intanto ripensa ai primi atti del dramma: l'incidente, per l'appunto, la prima corsa al pronto soccorso, l'odissea tra professionisti o pseudo tali; poi arriva l'operazione, l'incontro - finalmente! - con medici capaci, il sonno anestetico della bimba, il risveglio benedetto dalla consapevolezza che tutto è finito: il male, la paura, il disagio. Si può tornare a casa. La casa sognata, con il marito e l'altro figlio. Una casa in cui, come talvolta accade, non ci si accorge della solida tranquillità da cui si è circondati se non quando essa viene a mancare. Proprio in quelle occasioni, tuttavia, si scoprono o - come in questo caso - appaiono con ancora maggiore evidenza le qualità delle persone amate. L'unica ricetta, l'unico antidoto contro una società avvelenata da pressapochismo, arroganza, sciatteria è proprio lì, nella famiglia; più precisamente, nell'amore che lega marito e moglie, genitori e figli. Riconoscere questo equivale a lucidare i vetri, come simbolicamente fa l'autrice in un passaggio chiave del romanzo, togliendone la polvere che intristisce i colori, rende opaca la vista; equivale a far rientrare il solenne splendore del sole. Dove esiste questa speciale qualità dell'amore non può esserci squallore; si veda, a questo proposito, la descrizione dell'altra mamma del romanzo, la compagna di stanza della Brigandì: una descrizione commovente - anche per il brusco passaggio al pronome personale tu, che la fa sembrare lo stralcio di una lettera - nella quale l'autrice si concentra sugli slanci di appassionata tenerezza con cui la giovane donna accudisce la sua bimba. È un segno di riconoscimento: chi ama in questo modo non può sentirsi né solo né debole.
Silvana Brigandì l'ha imparato nell'unico modo possibile: amando.
 
Bianca Cerulli
 
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Inserito il 4ottobre 1999