Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
Sergio Caponera
Ha pubblicato il libro
Caponera Sergio - Una famiglia per necessità

 

 

 

 

 

 

Collana I salici (narrativa) 12x17 - pp. 128 - Euro 10,30 - ISBN 88-8356-612-2

Prefazione
Incipit


Prefazione
Francesca, Andrea, Mario, il bimbo Giacomino. Il sogno di studi finiti, di un amore da coronare, di un futuro da costruire, di una vita da riscattare. Il tutto con la seconda guerra mondiale come sfondo, una guerra che fortunatamente sta per finire, ma che comunque incombe e rende tutto precario.
Sono questi gli ingredienti del romanzo breve «Una famiglia per necessità» di Sergio Caponera, meglio conosciuto come il Barone, che con quest'opera si cimenta nella narrativa dopo aver dato buone prove nella poesia e nella saggistica sulla cultura popolare di Fumone e dintorni, che amorevolmente riscopre.
Il romanzo si struttura in nove capitoli e un epilogo e racconta le esperienze di formazione di un gruppo di amici che si trova per motivi di studio a Roma negli anni difficili della guerra. Sono proprio le difficoltà a far tirar fuori dai singoli personaggi il meglio delle loro personalità in costruzione. Un apprendistato alla vita che si dipana in maniera avvincente attraverso, ad esempio, la ricerca del bambino visto per un attimo in strada che trasforma la vita di Francesca: da quel momento in poi la giovane non avrà pace finché non lo avrà ritrovato e aiutato ad uscire dal tunnel di solitudine in cui si trova.
La storia scorre veloce, la scrittura è semplice e senza fronzoli e ti accompagna senza strappi verso l'epilogo: la guerra è finita, il bambino è stato salvato, i giovani si possono laureare e finalmente realizzare i loro desideri. Si va quindi verso uno scontato "happy end"?
Niente affatto: il Barone sorprende ancora una volta e piazza uno dei suoi affondi che non sarebbe elegante anticipare in una prefazione. «Una famiglia per necessità» è un libro che sicuramente non deluderà. Come il Barone, d'altronde!
 

Luciano D'Arpino 



Una famiglia per necessità

 
 I
 
Francesca
 
Francesca aspettava con ansia la primavera per andare con Andrea fuori porta, avevano così poco tempo d'inverno! Era l'ultimo anno di università, gli studi molto impegnativi, la guerra poi, seconda mondiale la chiamavano, come fosse stata una cosa importante, fame, miseria e lerciume si respiravano ad ogni angolo e quel che era peggio, sembrava non finire più, a seconda del padre si doveva laureare in quell'anno ma lei pensava solo ad Andrea, gli impedimenti si moltiplicavano, fra studio coprifuoco e le corte giornate invernali, si vedevano poco.
Avvolta in una mantellina di lana guardava l'acqua scorrere lenta sul vetro della finestra, con il dito di tanto in tanto, seguiva le gocce più grandi fino a che si diluivano sul legno confondendosi con le altre, erano come sogni che si schiantavano a terra, trasalì quando sentì bussare alla porta
- Chi è?
- Sono io, Andrea! Apri ho una bella notizia!
Corse ad aprire, e gettandogli le braccia al collo gli disse
- Cosa c'è di tanto importante da scaraventarti a casa di mia zia? Lo sai bene che non vuole vederci insieme
- Ho una notizia eccezionale!
- Fai alla svelta, dovrebbe tornare fra poco
Lui riprese fiato, era molto eccitato, non riusciva nemmeno a parlare; lei insisté:
- Allora, questa notizia?
- Domani torna a casa il mio compagno di stanza, Mario; è andato a casa dei suoi vicino Cassino, ci porta notizie della resistenza!
- Lo sai che è pericoloso interessarsi alla resistenza! Nella facoltà di medicina dove sto io, siamo molto controllati.
- Anche a legge siamo controllati ma noi ci vediamo sul lungotevere!
- Ma sei matto! È pericoloso!
- No, senti devo scappare. Ci vediamo domattina all'osteria di Salvatore: ti spiegherò tutto!
Detto questo Andrea si precipitò giù per le scale, uscendo dal portone incontrò la zia di Francesca la quale gli lanciò un'occhiataccia, lui tirò dritto per la sua strada; si conoscevano solo di vista non avevano mai avuto modo di parlare, fra loro c'era una stizza incredibile perché lui era innamorato di Francesca e la frequentava di nascosto; la zia Angelina lo sapeva e non approvava affatto questa cosa. La sua Francesca, ci teneva molto e non voleva gli accadesse niente di spiacevole, figlia di suo fratello Virgilio, medico condotto a Vetralla e la dottoressa Concetta, ostetrica nello stesso paese. Oltre a lei avevano altri due figli: Alberto, già laureato in farmacia, faceva tirocinio a Viterbo e Italo, ancora al liceo. Francesca era l'unica donna della famiglia e secondo Angelina non era il caso che perdesse tempo con Andrea, figlio di contadini delle campagne di ciociaria - esattamente di Roccasecca - e poi studiava legge... Gli avvocati non le erano mai piaciuti. Arrivando sul pianerottolo del primo piano trovò la ragazza sull'uscio ad aspettarla
- Zia dammi la busta della spesa, sarà pesante! - disse frettolosamente per bloccare la paternale sul nascere, ma fu inutile.
- L'ho visto sai, cosa credi che mi sia rimbambita del tutto?
- Visto chi, zia?
- Quel ciarlatano del tuo amico! Adesso viene pure in casa?
- È venuto a riportarmi un libro: non è neppure entrato!
- E che libro sarebbe se tu studi medicina e lui quelle stupidaggini che chiamano leggi?
- Zia sono grande, ho 25 anni ormai!
- Quello non è l'uomo per te! Prima o poi lo dirò a tuo padre, allora sì che avrai la lezione che meriti...
La zia Angelina non si era mai sposata e brontolava sempre; degli uomini non si fidava, e poi Francesca era l'unica persona che aveva, e se lei pensava ad Andrea era tutto tempo sottratto alle sue attenzioni... comunque non l'avrebbe mai detto a Virgilio: sapeva bene che niente può ostacolare l'amore!
Francesca intanto era tornata alla finestra e vide che sotto un balcone del palazzo di fronte Andrea che si era fermato per salutarla; lei aprì la finestra e a voce bassa gli chiese
- Cosa fai ancora lì?
- Ho incontrato tua zia!
- Lo so, purtroppo!
Lui facendo segno con le mani
- Cosa ti ha detto?
- Le solite cose. Vattene adesso, ti stai bagnando.
- Va bene, ciao a domani.
Alzando il bavero del cappotto si avviò verso piazza dei mercanti dove c'era l'osteria di Salvatore, un omaccione grande e grosso ma con il cuore di un bambino; era l'unico nella zona che permetteva ai ragazzi squattrinati di stare al caldo della sua stufa. Qui gli universitari si ritrovavano per passare i freddi pomeriggi d'inverno; giocavano a carte, a volte prendevano un litro di vino con gassosa e aspettavano l'ora per rientrare.
Andrea abitava con il suo amico Mario dall'altra parte del Tevere in via dei Falegnami, avevano affittato la stanza da una vedova la quale li faceva pagare un po' di meno alla condizione che le facessero la spesa un giorno sì e un giorno no e le tenessero compagnia la sera, perché lei, essendo sola ed anziana, aveva paura. A loro questa condizione andava bene perché i soldi erano pochi e tiravano avanti alla meno peggio, anche se la "vecchia" come la chiamava Mario, era un po' assillante valeva la pena stare lì.
Saltellando fra una pozza d'acqua e l'altra raggiunse l'osteria dove tutti erano intorno alla stufa con lo sguardo fisso e in silenzio.
- Hei, vi è morto il gatto forse?
Salvatore da dietro il banco asciugava i bicchieri e gli altri restavano a fissare la stufa.
- Allora qualcuno mi spiega qualcosa per favore? - chiese lui con insistenza
- Beato te che sai essere sempre allegro! - gli rispose qualcuno
- Io sarò pure allegro, ma voi esagerate al contrario! Allora?
- C'è stato un attentato due ore fa - disse Luigi sospirando
- E dove?
- Dalle parti del Casilino! Hanno fatto saltare una guardiola dei Tedeschi davanti ad una caserma.
- Ci sono stati morti?
- Due!
- Cos'altro si sa?
- Stasera coprifuoco e domani rastrellano venti civili.
- Bastardi! Come se uno di loro valesse per 10 di noi.
- È la regola lo sai...
- Beh non mi sembra il caso di starcene qui a piangerci addosso, ora! Non serve a niente.
- Bravo Andrea, così parla un uomo! - disse Salvatore sbattendo lo straccio sul banco. Poi continuò - Anzi, sapete che vi dico? Offro un fiasco di Frascati, quello buono! Venite al banco!
In quel periodo di momenti così ne passavano spesso e bisognava reagire in qualche modo. Si avvicinarono al banco dove già i bicchieri erano pieni.
- Alla salute di tutti voi, disse l'oste
- Alla tua - risposero in coro.
Bevvero di gusto: non si trovava tutti i giorni chi offrisse un fiasco di vino.
La serata passò tranquilla. Verso le sette Luigi alzandosi disse
- Io vado. La cena sarà già in tavola. Andrea vieni via pure tu?
- Sì facciamo un pezzo di strada insieme. Buona notte a tutti.
Uscirono chiudendo con cura la porta.
Fuori c'era nebbia e l'aria umida arrivava alle ossa; i due camminavano di buon passo. Quando furono arrivati su Ponte Garibaldi, Andrea fermò per un attimo l'amico, tirandolo per il braccio
- domani torna Mario, gli disse a voce bassa
- e allora?
- È partito da una settimana con la scusa che la madre stava male; invece è andato a raccogliere notizie sul fronte di Cassino. Pare che si stia muovendo qualcosa.
- Allora ci dobbiamo vedere pure con gli altri...
- L'appuntamento è per domani alle tre del pomeriggio al portuense. Dovrebbe essere tranquillo a quell'ora, fai in modo che lo sappiano anche gli altri.
- Sì va bene. Ma ripartiamo altrimenti ci becchiamo un malanno.
Ripresero a passo spedito fino a piazza Cairoli, dove si separarono e ognuno proseguì per la propria strada. Luigi abitava in via del sudario con la madre e due fratelli più piccoli, il papà come tanti altri era in guerra.
- Buona notte, a domani allora... per la gita sul fiume, mi raccomando.
Disse Andrea agitando il braccio in segno di saluto; proseguì a passo svelto fino a casa dove la "vecchia" lo aspettava vigile più che mai, dalla finestra del primo piano, al riparo delle tendine fatte all'uncinetto gesticolava e sbraitava, meno male che non si sentivano le parole, pensò Andrea, entrando nel portone mentre si scrollava di dosso l'acqua dal cappotto. Appena salì e mise piede nell'appartamento Filomena era lì, mani sui fianchi e faccia burbera, in un attimo gli fu addosso
- È questa l'ora di rientrare, studente smidollato?
- Signora sono stato con i colleghi a discutere di cose importanti!
- Certo, che non lo so cosa dite voi studenti! La guerra! Lo Stato! Le leggi! Ed io qui povera vecchia sola ad aspettare qualcuno che mi dica una parola, anche cattiva sai! - non m'interessa - purché abbia qualcuno con cui parlare.
Era sempre così, era sempre tardi: la povera Filomena voleva qualcuno con cui parlare e adesso era il momento di sfogare la rabbia accumulata, che poi in fondo era preoccupazione; anche Andrea aveva i suoi problemi ma di certo lei non li avrebbe capiti quindi si rassegnava a subire in silenzio, intanto che lei continuava lui raggiunse la sua camera, si sedette sul letto e aspetto il silenzio, poco dopo assorto nei suoi pensieri, sussultò sentendo Filomena che chiamava
- La cena è in tavola!
Lui esitò ancora un attimo era ancora dispiaciuto per aver fatto tardi, lei replicò
- La cena è in tavola, ho detto!
- Salve signora Filomena, non doveva preoccuparsi per me.
- Io mi preoccupo, sempre. Se non lo faccio io da mangiare in questa casa, chi lo fa?
- Sono dispiaciuto! Forse è stata in pensiero per me. Sa come vanno le cose a scuola: ognuno ha qualcosa da dire e si fa tardi.
- Sì lo so come vanno le cose... sempre a chiacchierare e ai vecchi a casa chi ci pensa?
- Ma io ci penso! Solo che devo pensare anche allo studio, all'avvenire!
- Sì va bene... mangia che si fredda, poi non è buona.
- Buon appetito signora Filomena e grazie per le attenzioni che mi prestate.
- Adesso pure i commenti mi devo sentire. Mangia va! Buon appetito.
Mangiavano in silenzio nessuno aveva voglia di parlare. Filomena era vedova, i fratelli più grandi erano rimasti tutti in paese. Aveva avuto un figlio solo, ora prigioniero degli inglesi e non si sapeva nemmeno il paese preciso dove fosse. Certo la rabbia era tanta ma si doveva pur accontentare, aveva questi ragazzi in casa che le davano un po' di colore alla vita, contrastando il grigiore della guerra e della miseria. Lui, Andrea, si doveva sentire le lamentele, ma con i genitori lontani, l'avvenire incerto, vista la distruzione della guerra, se non ci fosse stata Filomena chi gli avrebbe dato un piatto di minestra e un tetto dove stare? Con questi pensieri consumarono quel poco che c'era.
Forse nel mangiare qualcosa di caldo e pensando ognuno alle proprie angosce furono entrambi sollevati, pronti a riprendere il dialogo; alzando il viso si guardarono negli occhi e spontaneamente sorrisero; lui le carezzò le mani dicendo
- Domani torna Mario! Vedrai, saremo uno in più a tavola.
Lei nascondendo una lacrima nel fazzoletto con un soffio di naso rispose
- Sì, lo so. Vai a letto ora, che domani devi studiare.
Andrea non aggiunse altro, si rese conto che voleva restare sola, come ogni sera, a pulire la tavola, sistemare la cucina e passare a terra la scopa, come se avesse ancora una famiglia sua.
- Buona notte - disse alzandosi e andando verso la sua camera.
Filomena sistemò la cucina, lavò le poche cose e poi, presa la sedia bassa e portatala al finestrone che dava su via Arenula restò a lungo a guardare la città quasi tutta buia. Qualche lucetta qua e là, come la sua speranza che finisse la guerra, ogni tanto un bagliore lontano, come la speranza di riabbracciare il figlio. I bagliori e le luci erano quasi impercettibili in quel buio totale. Restò lì finché non si sentì una coperta sulle spalle e il sussurro di una voce amica.
- Signora Filomena, è tardi. Vada a letto!
Era Andrea. L'accompagnò fino alla sua stanza, chiuse piano l'uscio e tornò a dormire.


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Ins. 09-12-2003