Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
Rino Passigato
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Rino Passigato - Uomini e pettirossi
Collana I salici (narrativa) 15x21 - pp. 88 - Euro 8,80 - L. 17.000 - ISBN 88-8356-296-8
Prefazione
Capitolo 1

Prefazione
 
Due ricercatori, Remigio Franchi e Rita Pietoli, per la prima volta nella storia della biologia usano il DNA umano con due catene d'aminoacidi attaccate. Cellule vive seminate su un terreno di coltura: un intruglio di cellule e sostanze chimiche che nella totalità dei casi anche dopo settimane era sempre amorfo e senza vita. Dopo anni di tentativi per modificare il DNA utilizzando ogni tipo di terreno di coltura non era ancora stato ottenuto il benchè minimo risultato concreto. Quando un giorno analizzando al microscopio la reazione si accorgono che sono presenti cellule rosse di sangue che si uniscono e crescono. In breve tempo la massa aumenta in modo significativo ed accade qualcosa di sensazionale. I due bio-ricercatori sono esterrefatti dalla sbalorditiva scoperta e iniziano ad avere forti timori riguardo a qualcosa di mostruoso che possa accadere.
Tutta la loro vita era il laboratorio con i suoi alambicchi, gli esperimenti, i tentativi continui di ottenere dei risultati positivi che finalmente potessero regalare qualche soddisfazione.
E finalmente succede l'inverosimile: ecco svilupparsi minuscole ossa e piume in un grumo rosso scuro che daranno vita ad un pettirosso parlante che non a caso sarà chiamato Prodigio. Intelligente, curioso, attento ad ogni cosa, capace di rispondere a tono a chiunque facesse domande indiscrete. La storia si snoderà attraverso una serie di avvenimenti e vicende che obbligheranno i due ricercatori a nascondere il pettirosso che finirà in terre lontane, vivrà la dura legge della sopravvivenza obbligato a vivere in un ambiente naturale, sfuggirà ad un uragano ed alla morte.
In un susseguirsi di trovate fantasiose e divertissment a piene mani, Rino Passigato racconta una storia solo all'apparenza semplice ma è proprio questo l'intento di "Uomini e pettirossi": regalare una lettura tra il serio ed il faceto che ha come protagonista "animale" un pettirosso parlante nato dal caso e per caso trovatosi a vivere in questo nostro mondo.
Un racconto intriso di dolcezza ed umanità nel quale Rino Passigato svela il suo volto ironico e divertente: capace di surreali invenzioni e battute di spirito fulminanti. Ogni cosa tornerà al suo posto, al suo stato naturale: il pettirosso inizierà finalmente a gorgheggiare meravigliosamente e a volare libero nel cielo. Il lieto fine è d'obbligo e i due ricercatori cambieranno persino il loro lavoro accettando l'offerta di un istituto di zoologia e si dedicheranno a studiare il comportamento degli animali. Una scelta inevitabile, l'unica scelta umanamente possibile.
Un interessante desiderio dell'Autore di dimostrare che il mondo (la Terra come scenario della vita) ha le sue regole e vanno rispettate: la vita tra mille errori ed eventi obbliga a fare delle scelte e il tempo per decidere è sempre breve. È fondamentale ritrovare l'equilibrio e riuscire a concentrarsi nel fare la cosa giusta perchè molte cose possono succedere anche quelle che non ci saremmo mai aspettati.
 

Massimo Barile

I
 
Cellule che si moltiplicano
 
 
 
 
"Finalmente sono arrivate le cellule che attendevamo", così il dottor Franchi si rivolse alla collega ed intanto continuò ad aprire l'involucro di materiale leggero, isolante.
La donna era intenta a seminare lunghe catene di DNA umano in un terreno di coltura, servendosi di una grossa spatola. La polvere bianca di DNA si scioglieva nel terreno brodoloso, circondata da un mare di bolle. Al richiamo del collega appoggiò la spatola sul banco, con la mano spinse indietro il ciuffo che le cadeva sul viso, scoprendo così due occhi meravigliosi verdi. Si avvicinò all'uomo.
"Cosa mi dicevi, Remigio? Ah, finalmente! Australia, Melbourne University. Era ora che arrivassero queste benedette cellule. Le abbiamo aspettate come la manna dal cielo", disse la dottoressa Pietoli, mentre passava da una mano all'altra un pezzo di cartone, su cui era scritto il mittente del pacco.
"Sono proprio loro, le cellule vive di primate", riprese a dire l'uomo, "è pronto il terreno con il DNA modificato? Penso che sarà una scoperta sensazionale. È la prima volta nella storia della biologia che si usa DNA umano con due catene d'aminoacidi attaccate. Il dottore tacque; aveva tirato fuori dal pacco, dov'era immerso nel ghiaccio secco, un fialone di vetro scuro. L'osservò contro luce e disse: "Guarda Rita, la soluzione delle cellule. Quando la sbatti, fa una schiuma rosso vino. Non ho mai visto una cosa del genere".
La donna prese il fialone, lo guardò. "Straordinario!", disse; rimise nelle mani del collega il contenitore delle cellule e tornò al suo banco di lavoro.
"Il terreno è pronto. Non vedo l'ora che ci semini le cellule". L'uomo si avvicinò, aprì il fialone, versò nel grosso cristallizzatore contenente il terreno, buona parte del liquido. Mise nel frigo la fiala con il resto delle cellule.
"Santo cielo! Siamo alle solite. Non succede nulla di nulla", proruppe la dottoressa e non mosse gli occhi dal cristallizzatore.
"Non fare l'uccello del malaugurio, Rita. Aspettiamo con fiducia".
"Dici sempre così ed ogni volta restiamo con la bocca asciutta. Sarà meglio che andiamo a prendere un caffè". I due si avviarono attraverso un lungo corridoio vuoto. I loro colleghi erano per lo più chiusi nei laboratori. Non avevano amici. Al centro ricerche di Roma, ognuno se ne stava per conto suo, badando al lavoro ed a non perdersi in chiacchiere. Franchi era poco stimato. I colleghi lo ritenevano un gran lavoratore, ma dotato di poco intuito e di scarsa inventiva. Aveva portato a termine dei lavoretti sugli acidi ribonucleici e sui ribosomi. Scoperte di poco conto. L'unica a stimarlo era la dottoressa Pietoli. Ed era questo il motivo, per cui si trovava a lavorare assieme a lui. Era giovane, carina, laureata da appena due anni. Per lei, Franchi era un eccellente uomo di scienza, che prima o poi, sarebbe venuto a galla.
I due arrivarono al bar. Si sedettero in un angolo.
"Avrei giurato che si sarebbe stata una reazione violenta tra le cellule vive ed il mio DNA modificato. Speriamo che non accada come le altre volte: un intruglio di cellule e sostanze chimiche che dopo una settimana è ancora amorfo", disse l'uomo.
"Abbi fiducia, Remigio. Sei stato tu poco fa a dirlo a me", ribatté la ragazza e rivolta al barista gridò: "due caffè corretti con cognac". Tirò fuori una sigaretta e si mise a fumare. L'uomo si passò una mano sui capelli brizzolati e lisci. Si tolse gli occhiali e li appoggiò sul tavolo.
"Ho quarant'anni ormai suonati. Sant'Iddio! Sarebbe anche ora che avessi un po' di fortuna con le mie ricerche", disse Franchi e girò lo sguardo in qua e in là per la sala: un continuo andirivieni di persone, per lo più ricercatori del centro e qualche studente di passaggio. Tra gli avventori c'era anche Guido, un perito elettronico addetto alla manutenzione degli strumenti. Si avvicinò alla Pietoli e educatamente le sussurrò: "Ti ho pagato il gelato. Lo vuoi subito?".
"Grazie Guido", rispose la donna "ma ora proprio non ne ho voglia".
"Va bene, te lo farò portare in laboratorio", poi le bisbigliò in un orecchio: "quand'è che usciamo insieme? Qualche sera magari! Possiamo andare al Pincio a goderci un po' l'aria di Roma".
Rita lo guardò, avrebbe voluto rispondergli: "Barbagianni di un barbagianni, quand'è che la finisci di rompermi le scatole? Con tutte le ragazze che ci sono in giro, belle, graziose, sexy, proprio con me te la dovevi prendere!", ma tacque e gli sorrise.
Sapeva che Guido si era preso una cottarella per lei ed aveva paura di offendere i suoi sentimenti. Si può dire che lei viveva per la sua ricerca e non le andavano a genio i salamelecchi dolci e teneri degli innamorati e tanto meno voleva saperne di mettere su famiglia. Sapeva che Guido si sarebbe buttato nel fuoco per lei e cercava di fargli capire che perdeva tempo. Ma lui non mollava.
Anche quel giorno andò a finire che si sedette al suo tavolo. Le prese una mano, giocherellò con le dita, le fece il solletico. Dopo un po' la donna, senza farsi vedere diede un piccolo calcio alla gamba di Franchi, che prontamente si alzò in piedi, dicendo: "Scusaci, Guido; ma dobbiamo andare. Siamo alle prese con un lavoro importante".
Arrivati in laboratorio, i due corsero al grosso cristallizzatore. Trovarono ancora l'intruglio gialliccio, amorfo ed all'apparenza senza vita.
"Perché non proviamo a metterlo in termostato a trentasette gradi?", bofonchiò il dottore, "chissà che la temperatura più alta inneschi la reazione!".
Rita si abbassò sul cristallizzatore per prenderlo su, ma si fermò con le mani a mezz'aria e gli occhi fissi sul terreno.
"Come sei pessimista, Remigio! Osserva bene. Qualcosa sta avvenendo". L'uomo fermò lo sguardo sul contenitore, mugolò, sospirò e pacatamente disse: "Ci sono dei puntini rossi che quasi non si vedono. Speriamo. Sono anni e anni che tento di modificare il DNA e che cambio il terreno di coltura. Non ho mai ottenuto il benché minimo risultato. Portami il microscopio".
Rita si affrettò al banco degli strumenti, prese su un grosso cannocchiale da laboratorio e lo diede all'uomo, che lo sistemò sopra il terreno e vi affondò gli occhi.
"Perbacco! Se non va dritta stavolta, sarà meglio che andiamo dal Papa a farci dare una benedizione. Le macchiette rosse sono cellule, si muovono, si uniscono e s'ingrossano. Guarda".
L'uomo non riusciva a contenersi per l'entusiasmo. Si tolse dal microscopio, andò alla finestra, tornò, si sedette vicino al terreno, s'alzò... La donna intanto si era abbassata sullo strumento e dopo un po', senza alzare gli occhi chiese titubante: "Ed ora che cosa facciamo? Sono proprio cellule rosse di sangue che si uniscono e crescono".
"Non ne faremo parola con nessuno. Coraggio, Rita! Siamo sulla buona strada".
Per tutto quel pomeriggio i due non si staccarono dal cannocchiale. A turno si abbassavano, si fermavano qualche secondo ad osservare quel moltiplicarsi di cellule e lasciavano il posto al collega. Senza dubbio stava avvenendo qualcosa di sensazionale. I due lo avevano capito. Erano contenti fuori dei modi. L'uomo guardò l'orologio da polso e bofonchiò:
"Perdiana! Già le otto. Sono la bellezza di quattro ore che teniamo gli occhi qui sopra. Non tocchiamo nulla. Torniamo domani mattina".
I due si tolsero i camici ed uscirono. Franchi andò alla metropolitana, Rita prese l'autobus. Abitava in periferia, una mezz'oretta d'autobus e sarebbe arrivata a casa. Era frastornata da quello che aveva visto durante il giorno: le cellule che rapidamente si univano e moltiplicavano. Neanche nei libri l'aveva mai trovata una cosa del genere. Come si muovevano leste quelle piccole particelle color vino! Pareva che fossero spinte da una forza ignota. Chissà che cosa stava succedendo! Forse per l'indomani si sarebbe fermato tutto. Si sarebbero ritrovati con il terreno di coltura giallastro e senza vita. In compagnia di questi pensieri arrivò a casa. Si trovò davanti alla madre che le chiedeva:
"Come mai così tardi? Ti avevo preparato una zuppa di verdura con i fiocchi, solo che ora è fredda. Vuoi che te la riscaldi?".
"Oggi ho avuto molto da fare in laboratorio. Non preoccuparti per la zuppa, la mangio anche fredda".
"Con questi esperimenti... Torni tardi la sera, non t'interessi per niente alla casa, né fare la maglia o lavorare ad uncinetto; cose che ti avevo insegnato da piccola e che ora hai dimenticato. Faresti bene, a mio avviso, a trovarti un bravo ragazzo e mettere su famiglia. Cosa farai quando io non ci sarò più?".
"Trovarmi un rompiscatole di marito, che pretende le camicie a puntino e che la moglie sia a casa prima che faccia buio? Per ora non ci penso nemmeno".
"La solita risposta! A volte mi viene voglia di andarmene a Rieti, a casa di tuo fratello. Forse capiresti cosa vuol dire vivere da soli", disse la madre; una donna anziana, vestita di scuro, i capelli bianchi pettinati all'indietro. Si fermò alcuni istanti soprappensiero, poi si diede da fare per mettere in tavola il pane e la verdura.
A Rita bastavano poche cose per sentirsi realizzata: un laboratorio con i suoi alambicchi e le sue sorprese, un collega con le sue fisime, una casa dove trovare il caldo affetto di una madre e qualcosa da mettere nello stomaco. Quella notte quasi non dormì. Si risvegliò di frequente con davanti agli occhi quell'intruglio che cresceva.
Il mattino dopo, alle sette, varcò i cancelli del centro ricerche. Il laboratorio era già aperto. Entrò. Franchi, intento ad osservare al microscopio il terreno che prolificava, non si era accorto di lei. Rita gli andò vicino, guardò il cristallizzatore. Al centro s'era formato un grumo scuro, variegato di rosso. Pareva un tumore che aumentava a vista d'occhio.
"Ci sono anche degli ossicini e delle piccole piume", disse Franchi, che finalmente l'aveva vista con la coda dell'occhio. La donna non si mosse, non ebbe coraggio di avvicinarsi troppo al cristallizzatore.
"Straordinario, Rita! Finalmente ci siamo riusciti! Guarda quest'ammasso. Sono tutte cellule vive".
"Remigio ho paura, si sta formando qualcosa di mostruoso", biascicò la ragazza.
"Non temere, avevo già previsto un aumento consistente della massa in breve tempo. Mannaggia Rita! Non lasciarti prendere dal panico proprio ora che abbiamo centrato l'obiettivo".
"Mi sai dire da dove saltano fuori queste piccole ossa e penne?... Si sta generando qualcosa d'anormale. Un animale forse. Ma chissà che genere d'animale!".
"Magari succedesse quello che stai dicendo! Sarebbe una scoperta eccezionale. Sarebbe la prima volta che da un miscuglio di polveri ed acqua nasce un animale".
"Chissà che si fermi tutto! Proprio non oso pensare a quello che potrebbe succedere".
"Che ne dici se andassimo nella sala d'ingresso a fumarci una sigaretta?", propose Franchi.
"Buona idea! Speriamo che riesca a vincermi".
L'ingresso era un ampio salone, arredato con divani in pelle e tavolini in legno. La parete davanti era chiusa con grossi cristalli trasparenti, che lasciavano vedere un breve prato e la strada con il suo fitto andirivieni di persone e motori.
I due fumarono la sigaretta soprappensiero: l'uno mosso dalla curiosità di tornare presto alle sue cellule, l'altra trattenuta dal timore che in laboratorio stesse accadendo qualcosa di pauroso, anche se il desiderio di rivedere quella massa che si muoveva cominciava a far capolino nella sua mente. Entrò il direttore del centro e s'intrattenne con Franchi.
"Il nostro bio-ricercatore! Come va con le sue ricerche?".
L'uomo mentì, malgrado un forte istinto lo spingesse a palesare la sua importante scoperta: "Siamo alle solite, professore. Si fa e si briga ed alla fine ci ritroviamo con un pugno di mosche".
"E con il DNA di donna modificato? Ancora nulla?".
"Ancora niente. Ci vorrebbe un po' più di fortuna".
Rita intanto s'era affiancata ai due.
"E la nostra bell'assistente cosa dice?".
La donna rispose con un sorriso. Il professore tirò fuori una penna ed un notes, su cui scrisse: "DNA modificato del dottor Franchi ancora nulla". Rimise il notes in tasca e si giustificò: "Qua dentro siete più di cento e se non prendo nota dei risultati, va a finire che non so mai a che punto sono le ricerche".
"Un uomo cordiale", pensò Rita, "ed ancora giovane. Non avrà ancora quarantacinque anni. Un bel fusto poi, alto, con gli occhi chiari. Strano che un uomo mi colpisca! Sarà perché ho sempre sotto il naso quel ragnetto di Franchi, magro, borbottone, poco attraente. Ci starebbe lui a prendermi per moglie! Io, neanche per sogno che lo voglio. Che me ne faccio di uno così? Come uomo non è né carne, né pesce. Fosse almeno elegante nel vestire! Nossignori, i soliti jeans smarriti, le solite camicie color cacca. Ha però il pregio di essere un buon ricercatore: non lo posso negare. Una vera scienza della biologia. In due anni che lavoro con lui ho imparato un mondo di cose nuove".
Il professore diede un colpetto sulla spalla a Franchi e si allontanò.
"Meno male che se n'è andato. C'era il pericolo che con il suo fare gentile ed estroverso, mi facesse spifferare tutto".
"Pensavo che gli avresti parlato della nostra scoperta", disse Rita.
"È meglio tacere. Non sappiamo come andrà a finire. Un sacco di volte ho reso pubbliche le mie ricerche: "Vedrete, accadrà così, sarà cosà". Alla fine ho sempre fatto brutta figura. Ho imparato che per farsi stimare occorre tenere per sé le proprie cose. Su, Rita, andiamo. Vediamo cosa è successo nel cristallizzatore".
"Io penso qualcosa di portentoso".
"Meno male! Stai diventando ottimista".
 
II
 
Prodigio
 
 
 
 
Sul volto dei due si dipinse un'espressione di scontento. Nel cristallizzatore c'era un po' di terreno di coltura giallognolo, amorfo, senza vita. Come se tutto quel lievitare di cellule, che avevano osservato per due giorni, fosse stato un miraggio.
"Se non ci fossi stata tu, qua presente, direi che ho avuto un'allucinazione", disse Franchi con voce dimessa.
"Perdio! Mi vado a fare suora, se qua dentro non c'era una massa che s'ingrossava a vista d'occhio. E le piume e le piccole ossa, che navigavano qua dentro, dove sono andate a finire? Forse è stato un processo reversibile: ora tutto è tornato come se non fosse successo nulla".
"Prendi il microscopio elettronico, Rita".
La donna corse a prendere lo strumento, lo puntò sul terreno e per prima vi affondò gli occhi. Girò e rigirò il binocolo per tutta l'area del terreno.
"Santi numi! Qua non c'è più ombra di una cellula né viva, né morta. Prova un po' tu, Remigio".
L'uomo si abbassò. Sostò con il binocolo ora qua, ora là. Si tolse le lenti, si stropicciò gli occhi, tornò a guardare.
"Non vedo più neanche le grosse molecole di DNA, lunghe, filiformi, qualcun'avvolta ad elica. Possibile che sia finito tutto nel nulla? Non ci capisco niente. Fino ad ieri c'era una massa di cellule, che proliferava e cresceva ed ora più niente: è andato tutto in fumo. Volatilizzato".
Rita propose: "È inutile rompersi la testa. Nel cristallizzatore c'è un po' di terreno inorganico. Altro non sappiamo. Perché non ripetiamo la prova? In pochi giorni puoi preparare il DNA umano modificato, su, dai, cominciamo. Dov'è l'acido dodecilico, che lo distillo?".
"A che pro vuoi ritentare, se in quest'esperimento non è avvenuto nulla di nulla? E poi abbiamo poche cellule vive".
"Perché non vuoi riprovare? Il terreno di coltura è già pronto".
"Sarà meglio rifarlo, Rita".
"Ti sei convinto finalmente che nell'esperimento precedente è successo qualcosa che è sfuggito alla nostra attenzione? L'hai detto tu, poco fa, con aria incredula, che le cellule ed il DNA erano svaniti nel nulla. Robe da non mettere in giro, altrimenti dicono che siamo fuori di senno. Occorrerà tenere sott'occhio il terreno giorno e notte".
"Faremo a turno".
"Di notte, io non posso fermarmi", ribatté Rita, "Non puoi immaginare il putiferio che fa mia madre quando la sera arrivo tardi: brontola, mi rimprovera, vuole che prenda marito. Figurati se dovessi fermarmi fuori casa di notte".
"Il turno di notte lo posso coprire io. Non dovrò poi perdere tanti sonni, se la prima volta la cosa si è risolta in due giornate".
Franchi si mise a lavorare di buona lena. Fece reagire il DNA umano con l'acido glutammico.
"La reazione durerà quattro ore", disse e si sedette a sfogliare una rivista. Rita era alle prese con un distillatore.
Lavorarono per diversi giorni. Alla fine, ottenuto il DNA modificato, rifatto il terreno di coltura, si misero a ripetere l'esperimento.
"Sei stato tu, Remigio, a mangiarmi l'uva? Solo il raspo mi hai lasciato! Che scherzi sono questi? Tanto più che l'uva mi piace un mondo e tu lo sai benissimo".
"Te l'avrei chiesta, Rita. Ci deve essere un grosso topo di fogna. Ieri mi ha rosicchiato il panino".
"Dici sul serio? I topi di fogna qua dentro, in piena città e per di più in uno stabile di cemento e mattoni? Sono animali che vivono negli acquitrini e nelle campagne".
"L'ho pensato anch'io", riprese a dire Franchi, "solo che il panino era rosicchiato e l'uva non te l'ho mangiata io. Per tornare a bomba. Sei pronta con il terreno? Non vedo l'ora di seminare le cellule".
"L'uva l'ho mangiata io", si udì dire da una voce atona e bassa.
I due si guardarono attorno stupiti.
"Non fare scherzi da prete, Remigio. Non sapevo che fossi anche ventriloquo".
"Ventriloquo un corno", ribatté la voce, "pensi che quel mammalucco di Franchi sia capace di scherzare? L'uva ed il pane li ho mangiati io".
Finalmente a furia di guardare a destra e a sinistra, i due scorsero sull'armadio, sistemato accanto alla porta d'ingresso, un piccolo uccello che batteva le ali.
"C'è un pettirosso, Rita. Là, sopra l'armadio".
"L'ho visto, l'ho visto. Sarà entrato dalla finestra, ma la voce di poco fa da dove veniva?", osservò la donna.
Il pettirosso volò sul banco, presso cui erano seduti i due scienziati.
"Sono io che parlo".
"Un pettirosso parlante?", esclamò entusiasta Rita. L'uomo tacque, serio, serio, girò lo sguardo sull'uccello e con una mano cercò di agguantarlo.
"Giù quelle manacce! Non sono mica uno dei tuoi alambicchi io. Un po' di grazia, prego. Mi potresti far male...", disse il pettirosso e volò sulla finestra.
"Mi pare d'impazzire! L'uva che sparisce, le cellule che, dopo due giorni di rapida proliferazione, vanno in fumo ed ora un bellissimo pettirosso che parla come un uomo", disse Franchi turbato.
"A me pare di essere nel paese dei folletti e non in un laboratorio di ricerca", ribatté Rita e continuò: "mi pare impossibile che un esserino tanto fragile e con un cervello così piccolo sia capace di parlare".
L'uccello non badava ai discorsi dei due colleghi; tranquillo becchettava i granellini di polvere sparsi sulla finestra.
"Da dove arrivi bel pettirosso?", chiese Rita sempre più incredula.
"Da qua dentro".
"Che risposta!", riprese a dire Rita, che voleva saperne di più. Franchi stupito e perplesso ascoltava.
"Da qua dentro può voler dire anche dal giardino".
"Sono venuto al mondo da un impasto delle vostre cellule".
L'uomo diventò dapprima rosso, poi paonazzo, quindi bianco come il latte. Per poco non svenne. Rita era solo un po' emozionata e continuò il colloquio con l'uccello.
"In poche parole vorresti dire che ti abbiamo fatto noi con le nostre cellule ed il nostro DNA".
"Sissignori, proprio voi mi avete generato. E non vi siete accorti di nulla. Sono giorni che saltello sui mobili del laboratorio, che mi cibo del vostro pane, della vostra uva e di tutto quello che trovo in giro".
"Remigio", disse Rita rivolta al collega, "io non credo ai miei occhi. È stato un prodigio, un vero prodigio. Non vorrai mica ripetere l'operazione".
"No, no. Chissà cosa nascerebbe se rifacessimo la prova!", disse l'uomo e con un salto fu sul cristallizzatore, contenente le cellule vive, il DNA ed il terreno di coltura. Lo prese con entrambe le mani, versò il liquido denso e giallo nel lavandino e vi fece scorrere l'acqua.
"A questo punto non mi resta altro da fare che andare in un negozio per uccelli ed acquistare una gabbia e del becchime. Esco, Rita".
La donna rimase sola con il pettirosso. Che tenerezza sentiva per quel cosino, che saltellava sulla finestra e girava di qua e di là gli occhi!
"Che occhietti vivaci che hai, amico!", disse la donna.
"Se credi che sia addormentato come una marmotta, ti sbagli di grosso. Sai che sei carina?", aggiunse l'uccello.
Rita gli stava vicino, temeva che da un istante all'altro spiccasse il volo e se n'andasse. In fin dei conti era così simpatico quel pettirosso. E come parlava! L'uccello tornò sull'armadio. Arruffò le penne, smosse le ali. Rita non lo perdeva d'occhio. Dopo un bel po' di silenzio il piccolo animale chiese: "Non capisco perché voi uomini vi coprite con tanti vestiti".
"Anche perché non abbiamo le piume che ci riparano dal freddo", rispose Rita.
"Come siete complicati! L'altro giorno ero nel bagno, dietro lo specchio ed ho osservato Remigio. Quante cerimonie per fare la cacca! Si è tolto gli occhiali, si è tirato giù i calzoni, si è messo a leggere... E che puzza alla fine!".
"Non ti devi scandalizzare, pettirosso. Noi uomini siamo fatti così. Piuttosto non so con che nome chiamarti".
"Chiamami Prodigio. L'hai detto tu poco fa che è stato un prodigio il mio arrivo".
"Bene Prodigio! Ti debbo confessare che sei molto simpatico".
Il pettirosso le volò su di una spalla e con il becco si mise a lisciarle i capelli.
"Lascia stare i capelli, altrimenti mi costringerai ad andare dal parrucchiere. Posso piuttosto sapere che insetti mangi?".
"Per la verità non è che gli insetti mi piacciono molto. L'altra sera in una crisi di fame ho mangiato una mosca. Mi è andata di traverso da tanto era acida. I moscerini sono più buoni. Vanno giù tutti di un fiato".
"Parli bene, Prodigio. Sai anche cantare?".
"Che pettirosso sarei, se non sapessi cantare". L'uccello aprì il becco e mandò dei cinguettii monotoni e giù di tono.
Rita incominciava ad essere impaziente. Camminava avanti ed indietro, si fermava a guardare l'orologio da muro. Prodigio non si muoveva dalla sua spalla.
"Chissà dov'è andato a ficcarsi quell'uomo!", pensò ad alta voce.
"E tu lascialo andare. Non è migliore la mia compagnia di quella di quel buono a nulla? Non dirmi che sei innamorata di lui!".
 
La donna non rispose. Andò al termostato, tirò fuori uno dei suoi terreni e si mise a guardarlo al microscopio. Il pettirosso intanto era volato sull'armadio e s'era messo a sonnecchiare con una zampa alzata.
 
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ins. 16 febbraio 2002