Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
Rino Passigato
Ha pubblicato il libro
Rino Passigato - Fiabe

 

 

 

 

 

 

Collana I salici (narrativa) 15x21 - pp. 52 - Euro 6,50 - ISBN 88-8356-420-0  

 

Prefazione
Incipit 

Prefazione
Nove brevi fiabe raccontate con semplicità e godibilità di lettura chi voglia leggere questo libretto tutto d'un fiato. È sempre presente una dolcezza nel porgere le storie ed una tenerezza nel raccontarle sia che si narri di un re d'un paese lontano con una figlia belissima ma troppo superba che riceve infine una severa lezione, sia che si racconti di una principessa povera che diventa amica di una fata; sia che la bellissima ragazza s'addormenti per cent'anni insieme a tutto il reame; oppure la fiaba di due sorellastre: Rose avvenente, gentile e buona, Ketti perfida e brutta e poi il promesso sposo di Rose che cade vittima di un incantesimo.
E come dimenticare il castello del diavolo, i principi e le principesse, maghi e streghe, fate, demoni, incantesmi e sirene.
In poche parole in queste fiabe ritroviamo le atmosfere, i personaggi e le suggestioni di sempre.
Rino Passigato con mano delicata utilizza i canoni conosciuti del mondo fiabesco con le sue meraviglie, con i suoi immancabili protagonisti, con i suoi misteri e lascia parlare le voci simili ad un canto e si ode la parola dell'anima di un uomo: un complesso di bonarietà, modestia, ingenua fierezza, serenità nelle sorti avverse.
Leggendo queste fiabe il nostro pensiero va subito all'immagine del nonno che con voce calda e profonda, seduto sulla poltrona, legge al nipotino trepidante un libretto di fiabe.
Nei personaggi fiabeschi, nelle visioni di boschi incantati, nelle magie e nei mille incantesimi ritroviamo tutti, nessuno escluso, un po' della nostra fanciullezza: il fatidico orco cattivo, la fatina buona che aiuta sempre la sventurata, il maleficio alla principessa, le sorellastre in lotta, la strega cattiva con i suoi incantesimi, il povero che soffre ma alla fine trova la felicità.
In fin dei conti il piacere nella lettura delle fiabe rimane sempre lo stesso e v'è da sperare che i bambini possano continuare a leggerle. Come ieri più di ieri.
 

Massimiliano Del Duca

Incipit

La maschera
 
Il re d'un paese lontano aveva una figlia incantevole, che nessuno mai avvicinava, perché era superba e piena d'alterigia. Non obbediva neppure agli ordini del padre. Gli è che da qualche anno era in età da marito e nessuno si faceva avanti a chiedere la sua mano.
Il re era fuori di sé; una figlia bella e graziosa, che gli restava zitella. Malgrado la rozza superbia della figlia, il re ordinò con un editto a tutti i nobili (re, sovrani e principi) che accorressero alla sua corte, ché c'era un buon bocconcino da portarsi a casa.
La figlia sul trono, a fianco del padre, doveva scegliere tra i non pochi giovanotti, che le passavano davanti, agghindati di lussuosi costumi; ma c'era l'inghippo della esagerata superbia della figlia, che invece di cercare le doti in quei gentiluomini, venuti a chiedere la sua mano, li metteva alla berlina, sottolineando i loro difetti anche lievi. Il primo ad entrare fu un ricco barone, giovane, ma un po' obeso. Lei senza pietà, né educazione, gli gridò: «Ehi! Pancione, non fai per i miei gusti». Il secondo a passare per il verdetto della principessa fu un giovanissimo principino, la pelle vellutata.
Lei, fu pronta ad umiliarlo: «Un bambino imberbe mi mandate. Fatelo tornare a casa con i suoi bambolotti ed i bimbi suoi coetanei». Ad un altro principe mingherlino, ma elegante, diede questo giudizio: «Un manico di scopa. È troppo magro, non lo voglio». Non gliene andava bene uno e sì che erano il fiore della nobiltà ed alcuni erano anche belli. Era troppo superba.
 
Tra quei nobiluomini ne notò uno un po' anziano con una gamba leggermente più lunga dell'altra. La severa quanto altera principessa si alzò in piedi e gridò: «Fatti vedere nudo, gambadilegno». Il vecchio re, ponderate la cattiveria e la superbia della figlia, volle darle una severa lezione. Serio, serio, si alzò in piedi, salutò i presenti ed ordinò che la figlia doveva andare sposa a Gambadilegno.
 
La ragazza si appartò nella sua stanza e vi rimase per qualche settimana, lamentandosi e borbottando: «A me, un fior di fanciulla, vogliono dare in moglie a quella mezza ciabatta, zoppo e povero di Gambadilegno».
Ogni giorno inviava una lettera al re, dove lei si dichiarava fermamente pentita di avere deriso e criticato tutti quegli aristocratici. Supplicava il re di lasciarla andare per via da sola a trovarsi un marito; anche se modesto (un artigiano, un impiegato), ma che almeno avesse le gambe a posto.
Fece chiamare fata Morgana, perché le desse un filtro, che la facesse diventare brutta peggio del peccato; due occhi da civetta ed un naso da strega. L'incantesimo durò solo pochi giorni, durante i quali venne a trovarla Gambadilegno, che al posto della bella principessa, si trovò davanti quel rottame di donna. Il sovrano Gambadilegno protestò dal re, ché ormai doveva prendere in sposa sua figlia, diventata un orrore, che non andava d'accordo neanche col padre, che chiamava "Vecchio Ciompo" e che disprezzava come re e come uomo. «Delle mezze cartucce come il re mio padre, le trovi in tutti gli angoli». Gambadilegno continuava a protestare col re di avergli appioppato sua figlia superba, altera, cattiva ed ora, per opera dell'incantesimo di fata Morgana, anche "racchiona". Comunque le scelte erano state fatte e Gambadilegno si portò a casa una donna superba.
 
Quando andava per via la principessa, tra l'altro, notava tanti cartelli con le scritte: "Questo podere che siate o meno contenti, è di proprietà di GIOVANNI L'ORBO". Un giorno passeggiò fino al torrente attraverso boschi, valli, prati, dappertutto trovò la scritta: "Queste sono tutte proprietà di Giovanni l'Orbo". Oltre ai colli, alle valli erano dello stesso proprietario anche sette castelli medioevali con ponte levatoio. Gambadilegno era più povero di quello che le era sembrato.
 
Ogni sera il poveretto aspettava la damigella sulla soglia della baracca, dove abitavano. In tutto c'era una cucina affumicata, in quel locale doveva preparare il pranzo; un locale con un tavolo tutto traballante e delle sedie. Non c'erano tende alle finestre, né poltrone per riposare. Verso sera, con i vestiti sporchi di terra e di fieno, arrivava il marito dai campi. Zoppo, stanco, l'avvicinava per baciarla. Lei lo respingeva con cattiveria: «È troppo umiliante per me; un agricoltore zoppo, con i vestiti pieni di terra e le mani verdi di erba e d'arbusti». Lui, modesto, la salutava: «Benvenuta nella mia piccola casa; ma sappi che siamo poveri e da domani devi metterti a lavorare: farai delle camicette per i bambini dell'asilo».
La donna taceva, disprezzava il marito, purtuttavia il mattino seguente, era a confezionare per i bambini. Non era pratica del lavoro ed a sera aveva confezionato male quattro, cinque grembiulini. Il marito era pronto a criticarla: «Sono confezionati male. Stasera niente cena». La povera principessa, che aveva persa tutta la sua prepotenza, si ritirò in un angolo a piangere e Gambadilegno, che oltre alla gamba di legno aveva anche un occhio di vetro, si faceva più forte. «Visto che la sarta non la sai fare, ti guadagnerai il pane, confezionando bomboniere per le nozze. Molti che ti faranno l'ordine sono principi o gran ricchi». A sera aveva confezionato tre bomboniere e rotte cinque. Il marito bisbigliò qualche bestemmia.
 
Il mattino dopo all'alba, presa su la bella principessa vestita di stracci, la portò al mercato a vendere oggetti usati. Di tanto in tanto la principessa si ritirava a piangere. Con queste tiritere ben pochi clienti si fermavano al suo banco. Anche quel lavoro non faceva per lei, che giorno dopo giorno diventava più modesta e meno superba. Si comperò una piccola seggiola e andò per mercati a fare il lustrascarpe. A sera qualche profitto c'era. Il marito cominciava a sorridere.
 
Arrivò il giorno delle nozze del fratello minore, anche lui principe. Vestita con un grembiule da quattro soldi, accompagnata dal marito Gambadilegno, si avviò alla reggia. Appena giunta una folla di domestici, giovanotti e paggi le si buttò addosso per salutarla. S'era sparsa la voce che lei stava diventando modesta e rispettava il povero come il ricco. Il giovane principe, vestito da sposo, le andò incontro, la baciò, altrettanto fece la giovane sposa. Quella era la sua vecchia casa: maniglie d'oro, tappeti, pareti di cristallo. Cosa avrebbe fatto pur di tornare là dentro, dov'era servita e riverita. Che stupida era stata a mostrarsi superba e cattiva con i sudditi. Il fratello le fece portare il più bel vestito che aveva sua madre. La principessa, tale era sempre stata, si sentiva un'altra. Intanto pensava al tugurio, dove era costretta ad abitare; col lume a petrolio, il marito con i vestiti dalle vistose toppe e sporchi di terra. Avesse potuto tornare indietro, non avrebbe più venduto la sua identità per un pugno di superbia. Il fratello la intrattenne, parlando del padre, dell'altra sorella sposa ad un re e chissà perché di Giovanni l'Orbo, che poi lei seppe che era lo stesso Gambadilegno, suo marito, principe che possedeva mezzo paese e che lei s'era permessa di disprezzare.
 
Avvenne che gli invitati alle nozze si trovarono tutti attorno al tavolo con i piatti di rinfresco. Lei era sempre vicino al fratello. Ad un certo punto entrò in scena un bellissimo principe; "Gambadilegno", era lui il padrone di mezzo paese. La principessa lo guardò, gli andò vicino, era proprio lui, "Gambadilegno", suo marito. L'avevano annunciato come il ricco Gambadilegno. Eppure che diversità da questo Gambadilegno; bello, alto, giovane, robusto a quello che la principessa aveva conosciuto prima. In realtà si chiamava principe delle campagne e dei castelli. Il fratello le disse, per la seconda volta, che Gambadilegno che lei disprezzava e Giovanni l'Orbo erano la stessa persona. Per mesi si era travestito da mendicante con abiti vecchi e con maschera dal volto arcigno e brutto. Per ordine del re, lei aveva sposato Gambadilegno alias Giovanni l'Orbo alias il principe delle campagne e dei castelli e, malata di superbia ed alterigia l'avevano costretta a vivere da povera, fino a che, tornata modesta, era stata reintegrata nel suo stato di principessa. Questo grazie anche all'aiuto del bravo, bello e commediante Gambadilegno.
 
 
La tuta invisibile
 
Ogni mattina l'affascinante Mery apriva le finestre della reggia, nella quale viveva col padre e faceva sentire la sua deliziosa voce, che, come lei era bella, a guardarla da lontano. La gente si chiedeva: "Come mai una ragazza così graziosa, figlia di un re, che possedeva terre e castelli, non trovasse marito". Tutti quelli che passavano, si fermavano ad ascoltare la sua voce, incantevole.
Non si sposava perché era caduta vittima di un incantesimo, mossole da due stregoni, che da più di centoventi anni vivevano nel bosco. Nessuno sapeva il luogo preciso. Più di un giovane cavaliere aveva dato loro la caccia e ne era uscito sconfitto, non solo; ma era anche stato bersaglio del filtro magico, in possesso dei due demoni. Visto da vicino era diventato anche lui uno zombi ripugnante; scheletrico, le orbite fuori degli occhi, il naso adunco. La stessa sorte successa a Mery; un incanto di ragazza, com'era, prima del fatto, era diventava orrida, se osservata da pochi metri. Malgrado ciò, era sempre felice; cantava e cercava di tener lontana da sé la gente.
Un giorno accadde che si presentasse all'anziano padre della fanciulla, un giovane affascinante. Chiese la mano della ragazza. Venuto a sapere dal padre dell'arcano, di cui era stata vittima qualche anno prima, il giovane non si ritirò; ma promise al vecchio re, che avrebbe fatto guarire la figlia e dopo l'avrebbe presa per moglie. Il vecchio re sorrise incredulo. «Mai nessuno è riuscito a prendere i due demoni: sono decenni che il gigante (infatti è alto più di due metri) ed il nano (è alto non più di cinquanta centimetri) fanno le loro scorribande in paese. Vengono inseguiti nel bosco, ma gli inseguitori cadono vittime loro stessi del maleficio dei due demoni. Brutti come il peccato, se visti da vicino e belli come prima, se erano guardati da lontano, tutti questi personaggi per guarire dall'incantesimo fatale speravano che qualcuno uccidesse i due demoni o si distruggesse almeno il loro laboratorio; ma per quanto si desse loro la caccia dietro ai grossi cespugli, nelle caverne del bosco e perfino in mezzo alle folte chiome delle alte querce, nessuno era mai stato in grado né di vederli e tanto meno di catturarli».
Ora era la volta del giovane principe che, malgrado la principessa fosse stata colpita dal tremendo maleficio, ne era innamorato fuor dei modi: una ragazza dalla voce meravigliosa. Il giovane cavaliere si mise alla caccia dei due demoni. Li incontrò sul limitare del bosco; il nano fu pronto a lanciargli contro la polvere malefica, che il cavaliere subito fermò a mezz'aria con una rete invisibile che s'era portato dietro. Era la prima volta che un uomo riusciva a difendersi da quell'arcano. I demoni se la diedero a gambe e fuggirono nel bosco. Il giovane principe tentò invano d'inseguirli, i due erano svaniti nel nulla. Per due settimane durò l'inseguimento; ma il giovane cavaliere, benché agile e forte ed in possesso di efficaci contro-filtri, non ce la fece a catturarli.
 
Un mattino, passando vicino alla grande quercia sentì una voce dolce e sottile che lo chiamava. A pochi passi dal suo cavallo vide una ragazza bellissima, che gli suggerì: «Per vincere i due demoni, devi comportarti come ti suggerisco; non devi toccare la sostanza stregata; neanche con un capello. Devi avvolgere tutto il corpo, comprese le dita e le unghie con questa seta invisibile. Così diventerai incolume al loro filtro diabolico. Li potrai seguire da vicino, senza alcuna paura di essere colpito dal maleficio, che hanno tra le mani. Devi inseguirli e catturarli. Penso che non ti sarà difficile: sei molto più agile di loro. Una volta catturati sotterra loro i piedi e vincerai». L'indomani mattina, il principe, avvolto tutto il corpo con la seta trasparente, donatagli dalla fata, tale era la ragazza, senza nessuna paura lanciò il suo cavallo per il bosco. Ma dove potevano perdersi le tracce dei demoni? Il giovane passò dossi, guadò ruscelli, si arrampicò per una severa mulattiera.
 
Una tenera voce, che veniva da una folta siepe di cespugli, lo chiamò. Era la fata che l'aveva lanciato contro i due demoni: «Adesso sono dietro a quelle cascatelle, alte due metri». Il giovane lanciò subito il cavallo attraverso l'acqua, ma fu fermato da un muro roccioso. Davanti alle rocce, il cavallo s'impennò, nitrendo e spingendo con le zampe anteriori la pietra, che si spostò lasciando aperta una larga porta, dalla quale uscì un mare di luce, che abbagliò cavallo e cavaliere. I due si fermarono. Il principe si ricordò che il cavallo non era protetto dai mali incantesimi dei due demoni. A poco a poco, la vista abbagliata del cavallo e del cavaliere si schiarì. I due si videro davanti una grande grotta, che, attraverso una porticina comunicava con un'altra. Davanti ai due c'erano dappertutto pietre preziose e brillanti. Qualcosa di spettacolare, di meraviglioso. C'era perfino una corona d'oro massiccio piena di pietre preziose (rubini, smeraldi, etc) di un re ucciso dagli incantesimi dei due demoni, che ora si erano resi invisibili. Dopo un lungo silenzio si udì la voce del nano: «Principe, se vuoi salva la vita, devi allontanarti subito col tuo cavallo; devi abbandonare l'impresa ed andare nelle fredde terre del Nord. Là troverai fanciulle adorabili e non ragazze-bleuf come la principessa che attende marito, cantando». «Se siete uomini coraggiosi, dovete mostrarvi ai miei occhi. Ho dato la mia parola d'uomo e non posso abbandonare la bella nelle vostre mani».
Seduti su due lingotti d'oro, il gigante ed il nano stavano mangiando. Il nano si alzò in piedi. «Se mi giro per fuggire, che garanzie mi date che uscirò vivo da qua dentro?». Il nano schiacciò un bottone, nascosto dietro la gamba di un tavolo, subito uscirono quattro lupi ululanti, quattro tigri, quattro leoni; tutte bestie feroci che andarono dritte per la loro strada. «Se tu te ne andrai, noi non libereremo le bestie feroci, ché ti divorino, né useremo contro di te il nostro incantesimo maligno».
 
Il principe restò zitto, pensando a come ingannare i due demoni. Saltò dalla sella ed invece di andare verso l'uscita, si avvicinò al gigante ed al suo collega. Il nano gli lanciò contro il filtro maledetto, per l'occasione, reso mortale. Il cavallo sparì, mandando un forte nitrito, né più rispose ai richiami del padrone. Il principe, protetto dalla tuta di seta, che gli aveva regalato la maga, rimase illeso. Senza scomporsi minimamente, l'uomo avanzò verso i due. Il nano lanciava bestemmie e piccoli involucri di polvere malefica. Appena il cavaliere fu loro vicino, i due se la diedero a gambe. Dapprima salirono rapidamente su una trave alta venti metri dal suolo e di là si facevano beffe del principe: «perché non ci vieni a prendere?». L'uomo tentò di arrampicarsi fin lassù, ma non ci riuscì. Il gigante si muoveva traballando sulla trave. Fortuna volle che mettesse un piede in fallo e cadesse; il nostro cavaliere gli fu sopra e, senza complimenti, gli trapassò il petto con la spada. L'uomo si rialzò illeso. Pareva immortale. Il cavaliere si ricordò dei consigli della buona fata e si mise ad inseguire il nano. Questi fuggiva, continuando a colpire il cavaliere col suo filtro, il cui potere veniva annullato dalla tuta di seta. Il giovane principe si guardava attorno; non c'era terra; ma solo ori e rocce. Finalmente un rigagnolo sotterraneo; sotto ad alcuni sassi, una certa quantità di terra grigia. Il principe prese il nano e lo piantò nell'acqua con i piedi sotto terra. Un urlo, un sibilo ed il nano sparì. A qualche decina di metri un altro fischio; era il gigante, diventato vento. Il cavaliere non fece in tempo ad arrivare all'uscita che una tribù di ex-zombi gli si buttò addosso: ragazze bellissime, uomini giovani e robusti, portarono il principe in trionfo.
Mery era assieme al re, suo padre, attendevano il giovane cavaliere sul limitare della reggia. Voleva baciare l'uomo che l'aveva salvata. Era turbata, bellissima, sia che si guardasse da vicino, sia che la si guardasse da lontano.
Dopo alcuni giorni, presente il re, la fata della quercia, si celebrarono solenni nozze. E vissero felici e contenti.
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Agg. 30-12-2002