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Rino Passigato
Ha pubblicato il libro
Rino Passigato - Un angolo di sole
 

 

 
 
 
 
 
Collana I salici (narrativa) 15x21 - pp. 136 - Euro 11,40 - ISBN 88-8356-623-8
Prefazione
Incipit 


Prefazione
"Un angolo di sole" è un romanzo ora dolente ora accorato, pervaso da un senso di fiducia nel domani: la stessa protagonista Franca passerà dall'abisso della disperazione alla felicità per aver ritrovato il figlio tanto amato.
La sua vita non sarà certo facile: dal lavoro in fabbrica con una esistenza che offre solo disagio, alienazione e sfruttamento; e poi l'ex marito che le fa credere che il figlio Ezio sia morto con il solo scopo di volerla distruggere ed annullare come donna e come madre; e ancora l'amicizia con l'operaia Togna e la sospensione dal lavoro subita da Franca per essersi preoccupata dell'amica dopo un grave infortunio sul lavoro; infine la storia d'amore con il pittore Vincenzo, un artista solitario conosciuto in un mercatino lungo i navigli.
La figura di questo artista è assai interessante e carica di umanità: un uomo che non si interessa del denaro perché si accontenta di qualche soldo per vivere senza preoccuparsi del domani. Insomma un uomo che vive e paga la sua scelta di vita solo sulla propria pelle.
Anche Franca si trova a fare i conti con una vita assai dura e faticosa: le spese per l'affitto della casa hanno scadenze inderogabili e come se non bastasse viene licenziata dalla fabbrica.
Si trova così a dover tirare a campare e non mancherà la caduta nel baratro fino a vendere il suo corpo per sopravvivere. Il dolore e la rassegnazione sembrano dominare ogni suo gesto, ogni pensiero, ogni prospettiva assai differente dalla vita alienante in fabbrica come addetta alle pulizie, ma ad un certo punto l'amica Togna le offre un aiuto e Franca inizia a lavorare in una stireria insieme all'amica con una attività in proprio. Inizia così il cammino di una donna verso la rinascita dopo aver sofferto e patito le vicissitudini di una vita sempre faticosa ed infine aver ritrovato la felicità e la serenità che parevano inarrivabili.
La dolorosa vicenda umana non riuscirà infatti a cancellare la voglia di lottare che questa donna porta nel cuore: e il suo sogno sarà esaudito.
Il romanzo è cosparso di riflessioni e spunti, brevi assaggi di vita quotidiana, di emozioni e di sentimenti. Emerge la forza e al contempo la fragilità di una donna protagonista di una storia che si dipana attraverso le sofferte esperienze quasi a farsi personale calvario rivelando alcune verità di questa vita che divengono strumento per la stessa lettura del romanzo come resoconto esistenziale: duro e amaro, inquieto e amorevole. L'aspetto più veritiero di un percorso umano reso con una scrittura ben dosata negli effetti, con una voluta discrezione e con un tocco di levità che non guasta mai.
 

Massimiliano Del Duca


Un angolo di sole
I parte
 
In fabbrica

Un malaugurato infortunio
 
C'erano dei giorni, nei quali era impossibile entrare in fabbrica. I muri erano tappezzati di cartelli rossi o gialli od azzurri; parlavano di sciopero e di diritti degli operai. Sulla porta una folla di persone con striscioni e bandiere rosse, che fermava tutti coloro che volevano entrare.
Erano scioperi per il rinnovo del contratto di lavoro, alla fine tutto si risolveva in un modesto aumento di salario e nient'altro. I reparti umidi e malsani restavano tali; inutile far appello ai capi, sordi ai bisogni degli operai. Quando uno soffriva di un male alla pancia od alla testa era inutile che chiedesse al capo di rallentare il ritmo delle macchine; tanto la risposta sarebbe stata sempre e comunque "no".
"Finge di star male per lavorare di meno. È un fannullone". Pensava il superiore e per tutta la giornata si metteva a far da piantone dietro le spalle del poveretto.
Un giorno Togna si recò da Franca per avere un calmante per i dolori di pancia. Non aveva ancora salutato l'amica che già il capo l'aveva presa per una spalla e ricondotta davanti alla sua macchina.
Aveva cercato di giustificarsi: "Ho un forte dolore all'addome, che si propaga fino alla schiena". Il capo la fece zittire, rispondendole: "Voi operai avete sempre la scusa pronta. Intanto la sua macchina è ferma. E stasera io debbo rendere conto del numero di pezzi prodotti". Togna abbassò la testa e si rimise al lavoro.
Franca aveva seguito con lo sguardo l'amica, che veniva riportata a viva forza nel suo reparto ed appena ebbe finito le pulizie del corridoio corse da lei. La macchina, su cui Togna lavorava, era ferma.
Attese per alcuni secondi. Guardò in giro che non ci fosse il capo e chiese dell'amica ad un'operaia che le passava vicino. Le fu risposto:
"è all'infermeria. Faccia presto, prima che la portino all'ospedale".
Buttato là un affrettato "grazie", Franca si allontanò a passi rapidi. Attraversò un primo ed un secondo corridoio, scese la scala che portava all'infermeria. Per la testa non aveva altro pensiero che non fosse quello dell'amica. "All'ospedale per un semplice dolore all'addome! Non è possibile. Deve esserle capitato qualcosa di grave".
Quando entrò nell'infermeria aveva il cuore in gola ed il fiato lungo. L'amica giaceva su di un lettino. Non pareva più lei: il viso pallido, attraversato da un'espressione di dolore. Un grosso involto di bende rosse di sangue le copriva la mano destra, l'avambraccio era stato stretto con un laccio.
L'infermiera le ordinò di andarsene, Franca finse di non capire e si avvicinò a Togna. Le prese la testa tra le mani e con insistenza chiese:
"Cosa ti sei fatta alla mano? Cos'è tutto quel sangue?" L'amica non rispose, singhiozzava. "Ti fa tanto male?" Insistette Franca. Intervenne l'infermiera:
"Non è nulla di grave. Adesso arriva l'ambulanza. Se ne vada nel suo reparto".
Franca non si mosse, diventò prima rossa come un peperone, poi pallida pallida e gridò all'infermiera:
"Lei non può mandarmi via. Sono l'amica di Togna. Non ha nessuno. Ha perso un mare di sangue. Ho il sacrosanto diritto di sapere cosa s'è fatta".
Con la voce rotta dai singhiozzi Togna la scongiurò:
"Ti prego, torna subito al lavoro. Non ti preoccupare per me. Non muoio per così poco. Ti farò sapere tutto appena il medico mi avrà visitata". Togna aveva seguito con lo sguardo l'infermiera, che s'era allontanata in silenzio. L'aveva sentita telefonare: "Pronto c'è il..." Franca, preoccupata per l'amica, non s'era accorta di nulla. Le stava asciugando con un fazzoletto il sudore sul viso, quando le arrivò da dietro le spalle la voce del capo, autoritaria e severa:
"Lei non doveva essere al primo piano a fare le pulizie?"
La donna si girò di scatto ed arrabbiata rispose:
"Avete quasi ammazzato la mia amica. Guardi quanto sangue!". E sollevò la mano di Togna gonfia di bende rosse ed aggiunse: "Ed io dovrei starmene tranquilla a pulire la vostra cacca?"
Non aveva ancora terminato la frase che sentì due mani robuste che l'afferravano per le spalle. Cercò di opporre resistenza; ma in due e due quattro si trovò fuori della porta ed udì la voce imperativa del capo che le ordinava:
"Torni subito al suo posto. Poi ne riparleremo".
Intontita e sorpresa la donna si avviò al lavoro. "È come pensavo; una cosa grave. Mondo cane! Se dobbiamo essere trattati in questo modo! Neanche fossimo degli animali. Una donna ferita grave lasciata da sola a piangere. Vado per consolarla e mi cacciano a calci nel sedere. Chi si crede di essere quel barbagianni? Va bene che lui è il nostro capo; ma ci tratta come se fossimo delle pezze da piedi".
Con questi pensieri Franca ricominciò a scopare il corridoio. Non si dava pace. Aveva davanti agli occhi il volto dell'amica contratto dal dolore, la mano infagottata di sangue. A quanti le passavano vicino chiedeva cosa fosse successo a Togna. Qualcuno non sapeva nulla, qualche altro diceva che era caduta, altri ancora che si era tagliata un dito. Era in ansia; avrebbe voluto esserle vicino. Comunque sarebbe andata a trovarla all'ospedale. Ma Ezio, a chi l'avrebbe affidato? E chi l'avrebbe accompagnata? Senza dubbio Togna era stata ricoverata in un ospedale distante da Milano. Pensò ad Anselmo. Non era mai uscita con quell'uomo. Chissà che idea si sarebbe fatto di lei!
Arrivò l'ora di mensa. Franca non mangiò, corse in infermeria ad informarsi sull'ospedale. Andò al telefono e chiamò il reparto dov'era ricoverata l'amica, che dopo qualche istante venne di persona a rispondere. Con un tono di voce calmo e rilassato, le disse che doveva fermarsi all'ospedale per qualche giorno.
"Le scatole uscivano dalla macchina una dietro l'altra. - Le raccontò. - Non stavo bene. Mi sentivo confusa, ubriaca. Ad un certo punto non fui più in grado di distinguere le scatole dai rulli che giravano. Pur tuttavia continuai a trasferire i pacchi confezionati da un nastro all'altro. Pensavo di farcela... Non so come mi trovai con una mano sotto i rulli.
Franca ascoltava, trasaliva, avrebbe voluto gridare: "Non siamo degli ingranaggi che debbono regolare i loro giri più lenti o più veloci a seconda dei capricci dei capi".
Togna intanto continuava con la cronaca del suo incidente. Appena ebbe terminato Franca disse per rincuorarla:
"In fin dei conti ti è andata bene: solo tre dita amputate. Nulla di grave. Se non fosse per il sangue che hai perso, saresti già stata dimessa".
"Non è poi una cosa da nulla. - Riprese a dire Togna. - Da quello che ho potuto capire forse m'ingesseranno la mano ed il braccio".
Per Franca arrivò la fine dell'intervallo. Le dispiaceva da morire di dover lasciare l'amica all'ospedale; ormai doveva tornare nel suo reparto. "Appena mi sarà possibile verrò a trovarti", disse ed appoggiò la cornetta.

La sospensione
 
Quel giorno Franca proprio non ce la faceva più. Il corridoio, che stava lavando, era lungo, interminabile, chiuso tra due pareti grigie, illuminato da una scialba lampada al neon. Il collega se n'era andato per i fatti suoi. Era rimasta sola con tutto quel daffare. Lavorava di mala voglia. Tirava su lo straccio dal secchio e si fermava. Aveva ancora davanti agli occhi quella scena raccapricciante: il sangue, il volto pallido dell'amica, la forza cattiva delle braccia del capo, che la spingevano fuori dell'infermeria, le sue parole di sfida; "poi ne riparleremo". La chiamasse pure, gli avrebbe risposto per le rime: "Si ricorda come mi ha trattata? Neanche i cani si trattano così. In fin dei conti la mia amica si è infortunata durante il lavoro". Mi sentirà, lo giuro davanti a Dio che mi sentirà. Con chi crede d'aver a che fare, quel cafone?
Lo straccio le cadde dalle mani. Tirò fuori il fazzoletto per asciugarsi le lacrime. Piangeva di rabbia e di disperazione. Fu riscossa da una voce di donna.
"Signora, signora, la vuole il direttore". Era una biondina agile, giovane, che ancheggiava, facendo ballare i glutei.
"Vengo subito". Rispose Franca e corse nel bagno. Si lavò gli occhi rossi di lacrime. Si specchiò; con una mano si rassettò alla meglio i capelli ed il grembiule e difilato si presentò davanti all'uscio, aperto, del direttore.
"Prego, venga avanti. Si accomodi". Disse l'uomo seduto dietro ad un grosso scrittoio, mentre raddrizzava le gambe, che erano accavallate. A differenza del capo reparto era un bel tipo; le basette brizzolate, un viso belloccio, né alto né basso.
Franca avanzò lentamente, quasi in punta di piedi per non far rumore; quell'uomo autorevole le incuteva una certa qual soggezione. Educatamente si sedette ed attese. La rabbia, la pietà per l'amica ferita, tutti i sentimenti che fino a poco prima l'avevano posseduta, erano svaniti davanti al direttore. Perse ogni voglia di dire. Si dimenticò del fattaccio occorsole quel mattino. L'uomo la fissò serio serio e disse:
"Lei, l'altra mattina, fu vista passeggiare davanti all'ufficio contabilità. Cosa faceva in quel luogo?Sa benissimo che quando uno si allontana dal posto di lavoro deve avvisare il capo". La donna fu sorpresa dalla domanda inaspettata. Diventò rossa come un peperone e non aprì bocca. L'uomo giocherellava con il portacenere e con voce cattiva e risoluta aggiunse: "Le ho chiesto come mai l'altra mattina si trovava davanti all'ufficio contabilità".
Franca, che s'era un po' ripresa, lì per lì s'inventò:
"Passo di là ogni volta che vado nello spogliatoio. L'altra mattina avevo bisogno di alcune cosette intime che tengo nella borsetta. Sa come siamo fatte noi donne, signor direttore".
L'uomo si fece più risoluto e continuò:
"Penso che se si doveva recare nello spogliatoio, avrebbe camminato con passo spedito e non sarebbe andata avanti ed indietro per il corridoio, fermandosi davanti alle porte degli uffici".
Franca tossì due o tre volte, si soffiò il naso e ribatté:
"Sono proprio curiosa di sapere chi le ha riferito queste panzane".
"Anche il coraggio di parlare ha? Per soddisfare la sua curiosità, le debbo rispondere che io stesso l'ho vista. Non s'è accorta, passando davanti al primo ufficio, che la porta era semiaperta? Vuole sapere anche perché mi trovavo in quel posto? E questo non è tutto; il suo capo stamane l'ha trovata in infermeria. Cosa ci faceva?"
La donna cominciò ad agitarsi. Guardò il superiore, che stava scartabellando un registro. Cercò di farsi animo. "Sei proprio una stupida, Franca. Non vedi che è un uomo come tanti altri?La cravatta storta, i capelli con qualche fiocchetto di forfora". Dopo un po' disse:
"Stamane la mia amica Togna ha perso le dita della mano destra sotto la macchina".
"Da chi l'ha saputo che era in infermeria? E poi, glielo ripeto, prima di allontanarsi dal lavoro deve avvisare il suo capo".
"Ma è la mia migliore amica! Se fosse successo una cosa del genere a sua moglie..." Franca s'interruppe, non aveva più fiato per continuare. Senza aspettare un istante l'uomo ribatté:
"Togna non è nemmeno una sua lontana parente. E poi non mi venga a fare dei paragoni che non stanno né in cielo, né in terra. Mettere a confronto un'operaia con mia moglie!"
Bussarono alla porta; la segretaria mise dentro la testa e disse:
"In portineria c'è il dottor Biondrati della F. che la desidera". La porta si richiuse. Nella stanza tornò il silenzio; un silenzio agile e leggero, che rimbalzava dallo sguardo severo del capo al volto arrossato della donna e capitombolava in mezzo all'odore polveroso delle scartoffie. L'uomo si alzò, si schiarì la gola e con freddezza disse:
"È spiacevole per me doverlo fare; debbo sospenderla una settimana dal lavoro per insubordinazione ai superiori. Prima di sera le verrà consegnata la comunicazione scritta: da domani e così per sette giorni non dovrà farsi vedere".
Franca si chiuse in un profondo mutismo. Lo sguardo fisso sulle pieghe del grembiule. Restò immobile, soprappensiero fino a che l'uomo le ingiunse:
"È tutto, può andare".
Uscì senza aprire bocca, attraversò il corridoio e si avviò su per la scala. Un gradino e si fermava pensierosa. "Ezio starà giocando. Se ne sta sempre ritirato in un angolo, da solo, con le scatole dei giochi. Volevano farlo visitare dallo psicologo. Possibile che non capiscono che fa l'offeso, perché si sente lasciato da parte! È povero, senza padre. Se quelle figlie di buona donna lo trattassero con un po' di dolcezza, gli regalassero qualche caramellina, gli facessero qualche carezza, il mio bambino non sarebbe così chiuso. Gli starò vicina per una settimana, vediamo se dopo avrà ancora bisogno della visita dello psicologo".
Arrivata sul pianerottolo, la donna si affacciò alla finestra. Da ponente stavano salendo dei nuvoloni scuri, gonfi d'acqua. Quanto le dispiaceva prendere la pioggia! Da ragazza i temporali la divertivano; correva sotto gli scrosci incalzanti, s'impiastricciava nelle pozzanghere, i vestiti zuppi, i capelli appiccicati, le piaceva sentire il fresco dell'acqua sulle ossa. Quante cose erano successe da allora! Quello che un tempo la divertiva, ora le riusciva noioso: il sole caldo d'estate, la pioggia, le saette... non la seducevano più.
Allungò lo sguardo sulla campagna, che si apriva attorno alla fabbrica, larghi appezzamenti di terreno coltivati a mais od a prato, attraversati da siepi di sambuco e robinie, frequentate da una folla di passeri cinguettanti e da leggeri brividi di vento, che titillavano le foglie, accarezzavano i fili d'erba e si dileguavano lontano, lontano... Tornò alla tristezza della realtà: una settimana di sospensione... Sette giorni di libertà, lontano dai rumori della fabbrica. Ma, porco mondo, a fine mese avrebbe dovuto fare i conti con la busta paga. I soldi che guadagnava erano appena sufficienti per mandare avanti la baracca. Una settimana in meno nella retribuzione mensile! Erano cinque anni che portava le stesse scarpe; erano state risuolate e rattoppate chissà quante volte. "Qualche santo provvederà. Ormai quello che è stato è stato. Vorrà dire che qualche domenica rinunceremo alla carne od al dolce".
Si allontanò dalla finestra e cominciò a salire la seconda rampa di scale, lentamente, le pareva di avere le gambe di piombo. Le passavano per la mente i ricordi più strampalati. Il parto di Ezio: il lungo cordone ombelicale pieno di sangue, la voce rassicurante della levatrice: "Brava, brava". Era tutta sudata, non pensava che avrebbe fatto così presto a nascere. Poi la voce: "Ce l'ha fatta". Ed il vagito leggero leggero, quasi impercettibile del neonato e i fiori: i ciclamini, le primule. Si era a Febbraio allora. C'era anche lui quella volta; sempre in mezzo ai piedi per vedere il bambino, per chiedere ai medici: "Come va mia moglie? Il bambino è sano?" Poi tutto era finito in due e due quattro.
La donna arrivò al corridoio, dove stava facendo le pulizie. Appoggiati sull'angolo di fondo c'erano ad aspettarla la scopa, gli stracci, la secchia piena d'acqua. Non aveva voglia di riprendere la fatica. Era avvilita, non riusciva a togliersi dalla testa il pensiero che era stata sospesa dal lavoro per una mancanza da nulla. Un vero sopruso! Non aveva commesso nulla di grave: s'era assentata dal lavoro senza avvisare il capo. Una carognata bella e buona! "Santo Iddio! Se tutti i dipendenti fossero trattati con questo metro, lo stabilimento sarebbe mezzo vuoto. Nella manica dei capi bisogna essere per trovarsi discretamente bene nella fabbrica. Questa la sacrosanta verità. Alle povere diavole come te, Franca, non resta che subire". Diceva a sé stessa la donna e riandava ad Ezio. Finalmente se lo sarebbe goduto per una settimana. Solo che con il mensile ridotto c'era poco da stare allegri.
Pensò di chiedere alla portinaia se qualcuno avesse avuto bisogno di una donna di servizio, anche se si trattava di lavoro di una settimana, sarebbe stato difficile trovarlo: qualche vecchio infermo da assistere, la facchina alle ferrovie... Avrebbe fatto del suo meglio per non restare tutto il giorno con le mani in mano. Si girò con rabbia e diede un calcio al secchio; una broda nera, sporca, schiumosa allagò un pezzo di corridoio.
"Cos'è successo, Franca? - Era la voce di Anselmo, che stava arrivando. La donna non se n'era accorta. - E se qualcuno deve passare di qua? Con tutta quest'acqua marcia, di sicuro non può". Franca non fiatò, il muso lungo ed arrabbiato, gli occhi fermi sul corridoio. Anselmo continuò: - Insomma non ti ho mai vista così: un viso da funerale. Sembri un cane bastonato. Sei in ansia per Togna? Suvvia, Franca, allegra allegra.
La donna alzò gli occhi su Anselmo, fermo a due passi da lei e disse:
"Porco d'un mondo! Qua va tutto storto. Togna ha lasciato tre dita sotto la macchina. Ora per completare l'opera s'è rovesciato anche il secchio. Fossi almeno riposata. Sono stanca come un asino che ha tirato tutto il giorno la soma e debbo raccogliere l'acqua. E poi dicono di pregare i santi ché ti aiutino. Se ci vorrebbero i santi qua dentro! Ti racconterò con calma, Anselmo. Ti racconterò..."
"Lascia perdere. Non pensare a Togna ora. Perché non esci qualche sera a cena?"
"Ed Ezio?A chi lo lascio?" Rispose la donna e si piegò sugli stracci per raccogliere l'acqua. Pensò a Clara. Non aveva mai tempo, è vero; ma per una sera un favore glielo avrebbe potuto anche fare. Gettò lo straccio bagnato nel secchio, si tirò su diritta e chiese: "Non mi accompagneresti una sera all'ospedale da Togna? Ho tanta voglia di andarla a trovare".
"Non ho niente in contrario. Suppongo che porterai anche il bambino".
"Se mia sorella viene una sera a casa mia, possiamo andare noi due soli. Proverò a telefonarle".
"Mi farai sapere qualcosa".
Anselmo superò il pezzo di corridoio allagato saltellando sulle punte dei piedi e se ne andò. Franca continuò a raccogliere l'acqua sporca. Ormai s'era rassegnata alla sospensione dal lavoro. "Lei bighellonava avanti ed indietro per i corridoi degli uffici". Tutto qua? Solo per questo doveva subire il pesante provvedimento disciplinare? Fossero degli uomini almeno i capi, non degli scimmioni arroganti e capricciosi!

All'ospedale
 
Put, put... Il telefono dall'altra parte del filo insisteva a suonare e nessuno veniva a rispondere. Era la seconda volta che Franca chiamava la sorella. Dopo un bel po' giunse la voce desiderata:
"Sei tu, Franca? telefoni così di rado. Proprio stasera che ero in bagno doveva capitare!"
Franca non la lasciò continuare, dentro di sé era un unico ribollio di rabbia e dispiacere.
"Sapessi le cose che mi sono successe oggi! Mi sono passate tutte le voglie, anche quella di mangiare. Sono stata sospesa una settimana dal lavoro e Togna è all'ospedale: ha perso tre dita sotto una macchina".
"La devi aver combinata bella per esserti fatta sospendere. Avrai dato del fesso al tuo capo".
Ci fu qualche istante di silenzio, alle cornette si udivano solo i respiri tenui di Clara e quelli più spessi ed aspri di Franca, che dopo un po' riprese a dire:
"Niente di quello che pensi. Non puoi immaginare in che genere di ambiente lavoro: egoismo, sfruttamento e quando non servi più, ti cacciano via. Non è come negli uffici statali, dove sei impiegata anche tu; là potete addormentarvi sopra i registri e nessuno vi dice niente". Lo stato è un buon padrone.
La voce di Clara si fece più robusta:
"In ogni posto, Franca, c'è il pro ed il contro: agli uffici del catasto siamo solo dei numeri; la direzione non sa neanche che esistiamo. E poi, e poi... se proprio lo vuoi sapere, anch'io ho le mie noie".
"Di cosa ti lamenti? - Ribatté la sorella. - Sei sola. Quando hai pensato al vestito per fare bella figura alla festa da ballo, o ad organizzare una crociera, cosa ci può essere ancora che ti preoccupa tanto? Cosa faresti allora, se fossi nei miei panni? Ogni mese devo rompermi la testa per far quadrare i conti delle spese: la bolletta della luce, il canone d'affitto... Santo cielo! Vorrei essere al tuo posto".
Il tono di Clara si fece sommesso, quasi sussurrato, come se qualcuno stesse ad origliare.
"I viaggi, le cene con gli amici, i bei vestiti... E secondo te non avrei altro a cui pensare? Sapessi come sono preoccupata! Sono in ritardo di dieci giorni con le mie cose..."
"Ma se non hai neanche il fidanzato? E poi te lo dico in confidenza; anch'io una volta ho ritardato di quindici giorni, poi tutto si è messo a posto".
Clara riprese a dire, sempre a mezza voce:
"E le nausee, i capogiri? ... A chi li lasci? Ho paura, Franca, molta paura di dover partorire un bastardo... Addio serate con gli amici, crociere nel Mediterraneo..."
"Non ci pensare. Se passi dalla farmacia, ti fanno l'esame in pochi minuti. Così ti metti il cuore in pace. Ad ogni modo non filarci dietro; vedrai che è solo a causa della tua suggestione che ti saltano tanti grilli per la testa. Ti ho telefonato, perché ti debbo chiedere un favore: stasera dovrei uscire, se tu potessi venire a tenere compagnia ad Ezio. Ti potresti fermare qua a dormire..."
Il bambino aveva intanto abbandonato l'angolo, dove s'era intrattenuto con i suoi balocchi e strattonava la madre per la gonna, piagnucolando e chiedendo la pappa. Clara sarebbe arrivata in pochi minuti, Franca si tranquillizzò, mise giù la cornetta, prese in braccio il bambino, lo baciò e corse al fornello a cuocergli un uovo al tegamino. "Mi raccomando, Ezio. Sii bravo. La zia giocherà con te. Vedrai sarò a casa prima di quello che pensi". Così Franca rassicurò il piccolo, pochi istanti prima di partire.
 
L'auto di Anselmo, un'Alfa 33, aveva superato le lunghe code di veicoli ferme ai semafori, era passata attraverso i vialoni, affondati tra alte siepi di grattacieli, era sfrecciata veloce per le strade di campagna ed era giunta all'ospedale, dove Togna era stata ricoverata. Posteggiata l'auto, Franca ed Anselmo chiesero del reparto traumatologico. Salirono una breve scala fino al corridoio del primo pian; s'imbatterono in persone in càmice bianco, pazienti in pigiama, odori poco graditi di medicinali. E si trovarono davanti alla stanza di Togna, che giaceva distesa sull'ultimo letto, quello vicino alla finestra.
Il viso pallido, la mano malata avvolta in una grossa fasciatura, aprì un pingue sorriso ai due che stavano arrivando. Si alzò a sedere ed esclamò:
"Chi si vede?Proprio non vi aspettavo". I tre amici si scambiarono strette di mano ed abbracci; ma vennero subito distolti da dei lunghi lamenti e da delle voci. Sul letto davanti a quello di Togna si scomponeva dolorante una donna. Non era né vecchia, né giovane. Aveva la gamba destra in trazione, sudava, soffriva... La vicina la rimproverava:
"Non penserai mica di farci passare un'altra nottata in bianco? Suvvia, da brava. Piangi, gridi, ti lamenti come se fossi una bambina".
La donna fermò i suoi mugugni, sospirò, girò la testa dalla parte, dalla quale venivano i rimproveri; grossi lacrimoni le rigavano le guance. Un'altra donna, molto anziana, senza dubbio non aspettava più i settanta, aprì gli occhi spaventata, si guardò in giro, fermò lo sguardo sulle due litiganti, poi si rifugiò tutta sotto le coperte per non essere disturbata durante il sonno. Dopo qualche istante di silenzio Anselmo riprese il dialogo:
"Sai cos'è capitato a Franca?" E girò lo sguardo sull'interessata, che non ebbe il tempo di fargli cenno di tacere. "L'hanno sospesa una settimana dal lavoro, perché stamane s'è recata in infermeria".
Togna si sentì ribollire di rammarico e rabbia insieme. Franca fu pronta a precisare:
"Anselmo, dovresti tacere, se non sai come sono andate veramente le cose. L'altro ieri fui trovata fuori del mio posto di lavoro e precisamente nei corridoi degli uffici. Non vi dico a quale interrogatorio sono stata sottoposta. Va bene che sono nostri superiori, ma dovrebbero avere un po' più di buone maniere e di sensibilità verso i dipendenti. "Cosa faceva davanti agli uffici della contabilità? Mi è stata segnalata spesso in giro per i corridoi". Non capisco che male ci possa essere, se devo passare di là ogni volta che vado nello spogliatoio".
"Ora si spiega tutto. Non so proprio in che mondo vivi, Franca... - Riprese a dire l'uomo. - Lo sa tutta la ditta ormai. Anche Togna, penso, ha sentito dire che hanno rubato un anello ed una collana d'oro nell'ufficio contabilità. Sai come sono le donne, a volte lasciano gli oggetti d'oro sullo scrittoio, a volte nel cassetto. Vuoi vedere che sospettano di te? E tu cadi dalle nuvole".
"Sempre sui più poveri e sugli indifesi cadono i sospetti. Magari sarà stato il capo ufficio a trafugare quell'oro. Basterebbe un po' di buon senso per capire che non può essere stata Franca. Come fa l'ultimo degli operai a sapere che la tale s'è tolta la collana e l'ha messa nel cassetto e meglio ancora come fa lo stesso a presagire quando l'ufficio è vuoto?Ci vuole proprio tutta... Secondo me hanno preso di mira Franca. Chissà poi perché!" Disse Togna e fece cenno all'amica di versarle un po' d'acqua nel bicchiere.
"E così per i loro capricci me ne debbo restare una settimana a casa".
"Meglio, - riprese a dire Togna, - così per sette giorni non dovrai marcire in quel cesso di fabbrica e potrai badare al tuo Ezio. A proposito come sta?"
"Ezio sta bene. È un po' magrino. Non sta fermo un minuto: al nido corre sullo scivolo, sull'altalena, sulle biciclette. È vero; mi godrò il mio bambino per una settimana; ma, sai com'è, qualche bigliettone da diecimila in più non fa mai male."
Togna seria seria disse:
"Se proprio hai bisogno, ti posso prestare qualcosa io. E poi perché non ti rivolgi ai sindacati? Ti possono far riammettere in servizio".
"Ho già parlato con il delegato interno. C'è il giusto motivo per la sospensione: "abbandono momentaneo, ingiustificato del posto di lavoro". Cosa vuoi fare? I capi hanno il coltello per il manico. Possono fare la cacca nel corridoio e tu non puoi rifiutarti di prenderla su, se te lo ordinano".
Anselmo fece un passo verso le donne e disse anche lui la sua:
"Proprio così; i padroni, i capi hanno sempre ragione. E noi dobbiamo tacere e subire. Mannaggia ad essere poveri! Non vi ricordate di Augusto? Non sono poi passati tanti secoli. È accaduto proprio sotto i miei occhi. Ne fui turbato fuori di modo. Era una torcia ardente, che correva, un fuoco ed un urlo unici. Fino alla doccia era riuscito ad arrivare e l'aveva anche aperta, prima che gli fossimo stati sopra con i sacchi d'amianto. Un grosso carbone irriconoscibile. Ho cercato di tirarlo per un braccio. Un pezzo di carne umana lessata! Che compassione! Continuava a gridare e cercava di alzarsi in piedi. Mi auguravo che perdesse i sensi e che l'ambulanza arrivasse in fretta. Chiamava Sonia, sua moglie, ed i figli per nome: "Muoio. Li voglio vedere prima di morire". Mi sentivo strappare il cuore. Come avrei desiderato essere migliaia di miglia lontano, magari in un deserto con la lingua gonfia per la sete, piuttosto che dover soccorrere quel poveretto. Il medico non sapeva dove mettere le mani. Mi mandò a prendere del ghiaccio. Nemmeno un cubetto ne ho trovato, neanche nel frigo della cucina. Mi dissero che non lo tenevano".
Togna intervenne risentita:
"Scommetto però che non ti hanno lasciato aprire il frigorifero. Certo che ce l'avevano il ghiaccio. Eccome! Se lo tengono per loro; alle quattro del pomeriggio servono il cognac, il whisky con ghiaccio ai direttori ed anche loro ne pappano, ben s'intende".
Anselmo riprese a parlare prima che Togna avesse terminato il suo discorso.
"Fatto sta che siamo tornati a mani vuote ed il povero Augusto cercava di mettersi seduto, si torceva, piangeva, chiamava la moglie ed i figli. È salito in ambulanza che ancora gridava..."
Anselmo si fermò e Togna concluse:
"Dicono che sia morto in sentimenti, urlando e bestemmiando. E tutto fu messo a tacere. "Scoppio accidentale". Anche se tutti sanno che versano l'etere ed i solventi esplosivi nei lavandini".
"Siamo venuti qua, - proruppe Franca, - con il preciso scopo di risollevarti di morale e guarda un po' dove sono finiti i nostri discorsi. Cose poco allegre! Certo che la vita in fabbrica non è divertente, direi anzi che è poco digeribile. Dicano pure quello che vogliono per me sono otto ore di pena. Le sopporto per avere un mensile".
"E noi perché credi che lo facciamo?" Disse Anselmo.
Nella stanza stava venendo avanti un'atmosfera di quiete. Le pazienti cominciavano ad appisolarsi. Un'infermiera si avvicinò al letto di Togna per annunciare che l'orario delle visite era finito.


 
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