LA PIÚ GRANDE
ANTOLOGIA VIRTUALE
DELLA POESIA ITALIANA

Poeti contemporanei affermati, emergenti ed esordienti

 

Massimo Novaga
Ha pubblicato il libro

Massimo Novaga - Il paese delle illusioni
Vicenda tragica del nostro tempo


 
 
 
 
Collana I salici (narrativa)
 
14x20,5 - pp. 36 - Euro 5,50
 
ISBN 978-88-6037-338-0
 
 

In copertina e all'interno
fotografie di Michele Novaga  
 
Prefazione
Incipit


Prefazione
 
Massimo Novaga, nel breve romanzo "Il paese delle illusioni", racconta una vicenda tragica del nostro tempo e, con uno sguardo critico, riesce a "guardare nel profondo", a scavare nelle contraddizioni dell'epoca odierna, ponendo degli interrogativi sull'effettivo dramma sociale d'un abbandono della terra d'origine da parte di molti uomini e donne, disposti ad avventurarsi in viaggi della speranza che sovente conducono ad una misera constatazione, ad un infrangersi di sogni e di illusioni.
La difficile strada del riscatto, il desiderio di costruirsi una vita migliore, sono un percorso faticoso e doloroso all'interno del quale l'Autore cerca di indagare le zone d'ombra, la tragicità della perdita di persone amate, la presa d'atto d'una inevitabile scelta attraverso la testimonianza toccante dei protagonisti di questa sorta di diario di bordo d'un viaggio nel "paese delle illusioni".
Ahmed, la moglie Amina, il figlioletto di pochi mesi Hassan e l'amico Alì si imbarcano su una bagnarola in uno dei viaggi della speranza per scappare dalla fame e dalla guerra nonché da un lavoro come minatore in cave di uraninite che "uccide" poco a poco.
La speranza di trovare un nuovo approdo, una nuova terra ospitale che possa offrire ciò che il proprio paese non può dare: una casa decente, un lavoro che permetta di mantenere una famiglia, la possibilità di far studiare i propri figli, insomma una vita dignitosa.
Ecco allora il resoconto di un simbolico viaggio della speranza, offerto con spontaneità narrativa e con parole capaci di cogliere la realtà: la partenza nel mezzo della notte con la solita trafila, le difficoltà del viaggio, i giorni tragici del naufragio, i soccorsi, il periodo in ospedale e, infine, l'amara presa d'atto d'un ritorno al proprio paese seppur con la volontà di costruire qualcosa di nuovo o cambiare il corso degli eventi nella propria terra natìa.
Massimo Novaga riesce a umanizzare la vicenda narrata, riportandola e rapportandola a fatti reali, arpionando la naturale tendenza a farne ormai una normalità, un inevitabile destino a cui molti esseri umani sembrano sottomessi. In queste pagine l'Autore cerca di affrontare l'avventura umana con coraggio narrativo e con uno sguardo alla capacità e volontà di fare un bilancio della condizione esistenziale di uomini e donne: dopo il momento dell'ultimo abbandono, dopo la paura dopo gli eventi, dopo la tragedia e la perdita d'un figlio, la sofferenza e l'angoscia, ecco infine la presa d'atto della coscienza di sé, della propria identità.
L'esito finale del viaggio dell'illusione non è niente altro che il ritrovamento e lo scoperchiamento della propria identità, della volontà di sentirsi "esseri umani", padroni della propria vita e dei propri sogni.
"Il nostro destino viaggia su un mare/mai attraversato, ove le onde/si susseguono in un gioco incessante/di rimpiattino./ È l'inquieto mare del mutamento,/perde e perde ancora gli armenti/e batte le mani contro il cielo costante" scrive Rabindranath Tagore. L'auspicio è che il mare del mutamento, attraversato per giungere all'ultima speranza, possa essere portatore di beneficio e nuova vita.
L'affettuoso ritratto di una famiglia, l'amore e l'amicizia, le riflessioni dei protagonisti, le illusioni destinate ad essere infrante: il fulcro della storia raccontata è tutto qua, intenso e ricco di speranza, doloroso e incisivo nel ritrarre una sofferente realtà.
Il racconto di Massimo Novaga è indubbiamente ricco di significati che riconducono alle contraddizioni dell'umanità e, ancor più, di riferimenti ad una realtà che conosciamo e possiamo toccare con mano: la vera speranza è che un giorno tutto questo possa cambiare.
 

Massimo Barile


Il paese delle illusioni
Vicenda tragica del nostro tempo
CAP. 1
 
La partenza
 
 
Mancava poco tempo all'appuntamento di Misratah, e dovevano percorrere ancora qualche chilometro. L'autista del piccolo camion lo sapeva, e sicuramente avrebbe rispettato l'orario stabilito.
Arrivarono dunque, a luci spente, pochi minuti prima di mezzanotte. A quell'ora infatti si svolgeva una sorta di ritrovo durante il quale i tre, Alì, Amina, Ahmed e il piccolo Hassan, figlio di questi ultimi due, si ritrovarono scaricati a terra in compagnia di molte altre persone spaesate e stanche come loro. Nei volti di tutti si poteva chiaramente leggere il sentimento dell'affanno unito a quello dell'angoscia.
Così mentre la piccola moltitudine si ammassava nella punta estrema del porto libico di Misratah, alcuni uomini già presenti si fecero loro incontro cominciando a impartire secchi ordini:
"Allora ascoltatemi bene tutti" disse uno con voce squillante, in giacca rossa e occhiali scuri nonostante fosse notte, "in attesa del momento favorevole per partire verrete tutti alloggiati in questo deposito in muratura. Ciascuno di voi troverà una sistemazione per sé stesso e per quelli insieme. Poi mettetevi a dormire. Domattina verrete informati sulla partenza e sulle sue regole, sul comportamento da tenere, e sugli altri dettagli che riguardano la traversata. Cercate di non parlare ad alta voce e di farvi sentire il meno possibile, chi non rispetterà le norme verrà allontanato immediatamente. Più tardi quando sarete tutti dentro in questo edificio passeremo a prendere la quota di ognuno. Per ora è tutto. Entrate a due a due, e mostrate agli addetti che sono con me le vostre facce" Nessuno osò aprire bocca, gli ordini e il modo in cui erano stati scanditi erano così perentori da non necessitare domande. Si formò in fretta una piccola fila come richiesto, e nel giro di pochi minuti erano entrati tutti.
Alì, Amina, Ahmed e il piccolo che la ragazza portava in braccio furono tra ì primi ad entrare. L'uno si strinse all'altro nell'atto di essere uniti e si abbandonarono in cerca di un poco probabile riposo. La ragazza si rivolse al marito Ahmed e con voce tenue gli disse:
"Ho paura Ahmed, abbracciaci tutti e due ora, io e tuo figlio abbiamo bisogno che tu ci stringa a te".
"Certo amore" rispose Ahmed "non ti preoccupare, hai visto quanti siamo in attesa di partire, abbiamo avuto tutti la stessa idea, e ce la faremo" Anche il loro amico Alì aveva sentito quelle parole e tese loro la propria mano ricevendone una stretta fraterna.
Intanto tutta la gente si era accomodata come poteva in quel grande stanzone vuoto,posto a pianterreno senza luce elettrica, visto che l'avvenimento di quel raduno doveva essere nascosto alle autorità libiche. Solamente un paio di fiaccole grosse erano tenute alte da degli uomini che lavoravano per "l'organizzazione dei viaggiatori", come veniva usualmente chiamata quella sorta di attività.
A poco a poco il brusio delle voci si quietò, e anzi, sparì del tutto quando i due uomini con le due torce in mano passarono tra la gente distesa sul pavimento per ritirare il pagamento e dare una ricevuta a ogni persona che doveva poi essere restituita nel momento della salita sulla nave.
Completata questa operazione, uno di questi uomini disse a tutti di cercare di dormire, che loro sarebbero andati via e tutto doveva tacere e sembrare normale il più possibile.
I tre giovani ubbidirono subito, e Amina notò con piacere che il loro bambino di pochi mesi, si era addormentato sereno avvinghiato al suo petto e non necessitava di alcuna cosa. Solo qualche ora dopo, alle primissime luci dell'alba, tentò un pianto che segnalava la fame, ma la madre quasi lo anticipò porgendogli il seno per l'inizio della poppata.
Alle sei la grande porta di ingresso si aprì facendo entrare spiragli di luce che scossero dal torpore molte persone. Tre uomini, non le sentinelle della notte, portarono acqua in taniche insieme a cestelli di vimini colmi di pane secco. Uno dei tre impartì istruzioni di comportamento:
"Adesso distribuiamo acqua e cibo. Non accalcatevi, veniamo noi da tutti. Per chi deve fare i bisogni mi può seguire da questa parte, solo gli uomini però, per le donne tra poco arriverà un'anziana che vi condurrà in un altro posto".
Un uomo giovane con camicia azzurra e pantaloni tagliati a metà gamba chiese ai tre in arabo stentato: "Ma quando si parte, a che ora?".
"Non ti preoccupare quando" rispose quello che portava il pane nelle ceste "al momento opportuno; per ora state tranquilli e riposate". Nessun altro osò ribattere o incalzarlo con nuovi interrogativi. Intanto quelle semplici e normali faccende durarono molto tempo vista la totalità delle persone che coinvolgevano e si esaurirono senza intoppi o preoccupazioni di alcun genere.
Amina, Amhed e Alì dopo essersi un minimo reidratati e rifocillati dalla fatica del viaggio di avvicinamento, si riguardarono a lungo negli occhi, e ciò poteva significare una speranza grande e forse prossima alla realizzazione, perlomeno nei confronti della prima tappa della loro emigrazione dal paese di origine. Ora, in quattro, si sentivano uniti come in un'unica famiglia, anche se in realtà Ali era solamente un amico. Intanto su quella nuova terra il sole splendeva sempre più, aveva raggiunto ormai lo zenith, e con la propria forza di luce, riusciva a penetrare nel le fessure di porte e finestre di quell'edificio quasi completamente sprangato, e dava un po' di chiarore sufficiente agli uomini stipati l'uno sull'altro per riconoscersi e scambiarsi qualche parola. Con il passare delle ore vuote qualcuno si spazientiva e in quasi tutti cresceva la paura di una colossale truffa, il rischio di vedere ancora prima dell'inizio, la fine di tutti gli sforzi, sia economici che fisici fatti da ciascuno, nessuno escluso.
La calma arrivava a tratti durante la giornata quando giungeva il momento della preghiera e del raccoglimento verso Dio. Ci si posizionava in quella che si pensava fosse la direzione giusta verso La Mecca, visto che stare al buio per molte ore senza sapere dove ci si trova genera disorientamento, e ci si metteva completamente nelle mani del Supremo. I guardiani che si avvicendavano, facevano volentieri fare quei riti alla gente, poiché ciò significava maggiore tranquillità, e quindi meno lavoro di richiamo all'ordine e al silenzio per loro.
Anche ai tre ragazzi piaceva l'idea della preghiera, nonostante non fossero dei fanatici religiosi, ma quel particolare momento, con la responsabilità della vita di un bambino di pochi mesi nelle loro mani, richiedeva un grande raccoglimento, e persino era una sorta di convincimento personale in quello che stavano compiendo: essi erano ormai, e se ne rendevano conto, degli emigrati dal proprio paese di origine.
Tra i suddetti pensieri stavano trascorrendo il loro primo giorno da fuggitivi, e verso sera tarda,quando ormai non speravano più in una rapida partenza, un uomo che sembrava il capo dell'organizzazione, entrò nell'edificio e fece questo breve discorso con voce intensa e molto carismatica: "Ascoltatemi tutti in silenzio, è giunto il momento di andare, ma bisogna fare piano, con accorgimento. Ora ordinatamente dovete uscire. I miei uomini vi guideranno verso il punto dove salirete a bordo di barche, seguiteli senza parlare. Darete il biglietto che avete avuto come ricevuta del pagamento a colui che vi imbarcherà, famiglia per famiglia. Non sarete divisi tra famigliari o tra parenti, resterete insieme. Il mare è calmo, il tempo è previsto buono per le prossime ore, pertanto arriverete sulle coste europee più vicine nel giro di poco. L'organizzazione rimarrà con voi fino alla fine. Non c'è altro, ora forza alzatevi senza fare domande".
Un brusio misto di felicità e liberazione si era levato da quella piccola folla di uomini e donne magri, con gli occhi arrossati, e di qualche bambino vivace che i genitori avevano dovuto mettere un po' a freno durante l'attesa di quel noiosissimo giorno. Si usciva piano e si camminava tutti insieme, per mano i più, chi con lo sguardo fisso a terra, chi a testa ritta per vedere di scorgere la meta di quella necessaria camminata. Ma ad un tratto non c'erano più luci, sembrava di marciare verso il buio totale, il nulla che inghiotte, in realtà quel nero di fronte non era altro che il mare, uno sterminato spazio d'acqua e onde in movimento perenne, che la maggior parte di essi non aveva mai visto, in quanto nati e sempre vissuti nei propri villaggi e cittadine interne dell'enorme continente africano. Era il caso anche dei nostri tre protagonisti, che rimasero a bocca aperta di fronte alla massa acquosa in prossimità dei loro piedi e delle loro esistenze. Si strinsero ancora una volta in un abbraccio comune e in carezze affettuose nei confronti di quel piccolo infante del quale avevano deciso il destino. Quel piccolo gruppo umano doveva vincere comunque la paura del mare, era necessario scappare dalla violenza, dalla guerra, dalla fame dei propri paesi che significa solo condanna.
Gli uomini dell'organizzazione erano già sulle imbarcazioni, pronti ad aspettarli e a sfruttarne le angosce attraverso i viaggi di poveri clandestini senza meta. Cominciarono dunque a imbarcarli, lentamente, sempre raccomandandone il silenzio. Più che un piccolo e robusto natante, il mezzo di viaggio di Alì, Amina e Ahmed, si poteva definire un vecchio peschereccio consumato dal sale, di cinque, sette metri di lunghezza, con cabina di comando chiusa, un argano per il recupero di reti o grossi pesci, e di una stiva alla quale si accedeva tramite una scaletta. Vi era però una poppa molto ampia e adatta a ricevere decine di persone. In realtà la barca era davvero conciata male, e chissà che motore poteva avere in quanto a potenza e tenuta per lunghi viaggi, e infine come affidabilità e manutenzione non si potevano avere pensieri positivi.
Nessuno però in quei momenti ci faceva caso, anche per il buio quasi totale che avvolgeva la piccola folla di gente, cui interessava solo di partire immediatamente, confidando che il punto di approdo su di una nuova e più ospitale terraferma poteva essere distante solamente poche ore o al massimo un giorno di navigazione.
Una volta tutti saliti c'era chi occupava un piccolo spazio sulla capiente poppa, oppure nella stiva, e i tre amici dopo un cenno d'assenso decisero di andare sottocoperta per proteggere il bambino dall'umidità della notte e dal sole del giorno successivo.
Una luce prodotta da un generatore elettrico li accolse insieme ad un addetto giovane che ritirò la loro ricevuta di pagamento e gli indicò il punto esatto dove sedersi, come con tutti quanti.
Il motore a gasolio era già stato acceso e per ora il rumore prodotto era abbastanza sopportabile, ma probabilmente a tutta potenza avrebbe creato grossi fastidi agli uditi delle persone. Ma chi ora ci pensava ai problemi della barca? Nessuno certamente, tutti si sentivano quasi rilassati e finalmente ora stavano per partire, infatti uno dell'equipaggio disse: "Bene, ora partiremo. Le condizioni del vento e del mare sono ottime. Domattina passeremo a distribuire acqua e cibo. Per ora state tranquilli e cercate di dormire. Quando avete bisogno, dietro quella porta c'è uno spazio con delle aperture che scaricano direttamente in mare. È tutto. Buonanotte" "Buonanotte" risposero in coro quasi tutti.
Quel buonanotte racchiudeva un coro di anime che si confortano, che forse intravvedevano realizzarsi il sogno di una fuga, una speranza concreta, una preghiera esaudita da Dio, un poco o tanto che fosse da renderli fiduciosi e aprire i loro occhi verso un mondo diverso.
Amina guardò con occhi ridenti il proprio figlioletto che dormiva sereno, lo accarezzò, e si accoccolò sul petto del marito Ahmed, il quale non si era ancora addormentato, ma fissava quell'unica luce della stiva. A poca distanza da loro sedeva anche Alì su una coperta portata da casa. Trascorsi una quindicina di minuti tutti gli occupanti avevano ormai preso sonno.

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