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Mario Vierucci


Oltre la pittura e la musica classica, da sempre coltiva l'hobby della poesia, ma solo da poco ha incominciato a partecipare ai vari concorsi.
 

Eros e poesia
 
Ancor giovane era Franz Wegeler
quando delle sue notti brave parlava agli amici.
 
Così tanto gli piaceva quel che narrava
che bramò esser poeta e presto partorì la sua mente
desolati languori e turbamenti infiniti dei sensi.
 
Frasi rubate lui usò senza remora alcuna:
"brame trascorse inadempiute",
"labbra che s'aprono all'amore"
e "voluttuosi desideri inappagati".
 
Da lassù chiusero un occhio rassegnati
i suoi poeti preferiti Kavafis e Majakovskij.
 
Passò il tempo e tutto condì la più nobile poesia:
descrisse i rumori della natura
che nasce, che muore e che rinasce ancora.
Poi i meriggi d'afa mortale
e l'ansia nell'attesa di un gesto d'amore.
 
Franz, in vero, era più incline
a scrivere un po' osceno ma non volgare.
Abbondavano i suoi versi
di carni che fremono alle carezze,
di torbidi inganni e di notte calde di passione.
 
Ma accadde una sera, al chiarore lunare,
che su una riva del Danubio
lui scrisse parole nuove e profonde
sulle ragioni del cuore, sui moti dell'anima
e sull'epifania della bellezza.
 
Con pietre preziose arricchì le sue poesie,
cantando donne creole dalla pelle d'ambra
e cieli invernali freddi e lividi come l'opale.
 
Assai palese fu il suo narcisismo.
Ma a quarant'anni, più non parlò di apollinee
e muliebri forme,
bensì di decadenza del corpo
e d'occhi lacrimosi divorati dalle rughe.
 
Nelle sue poesie, ormai,
in luoghi appartati o in carrozze di velluto
si svolgevano le pratiche amorose.
 
La foga giovanile
lasciò il posto al delicato tatto di membra
e le carezze voraci divennero lievi carezze di bimbo.
 
Dissero i letterati del suo tempo
che ciò che lui scriveva
era frutto delle sue avventure d'amore.
 
Era vero. Ma col passar degli anni,
a tremuli fuochi fatui
si ridussero le sue fiamme di desiderio.
 
Intuì la Vienna colta
che l'amore fisico che lui cantava
era solo amore vagheggiato nei suoi sogni.
 
Una sera, nel salotto di una nobil donna,
fu invitato a parlare della sua poetica dell'amore.
Tutti eran lì intorno a lui che l'ascoltavano
ed una vera disquisizione fu il suo bel parlare.
 
Con voce di velluto disse ad un tratto
che più belli erano gli amorosi affanni
se vissuti nel sogno.
"Meno stanchi ci si sveglia al mattino - aggiunse -
e non si è tristi come dopo un amplesso"
 
In mezzo al silenzio e l'imbarazzo,
s'alzò un giovanotto dalla chioma ricciuta
e gli chiese tutto d'un fiato
se scherzasse o se parlasse sul serio.
 
Lì, in piedi, rimase Franz assai stupito
e cercò una risposta che tardò troppo a venire.
Uno alla volta, tutti se ne andarono via
e lui s'accorò nel vedere ridere alcuni
ed altri ancora darsi allegre gomitate.
 
Passò il tempo
e scemò a Vienna l'interesse per le sue poesie
e giù a picco calò la fama
di Franz Wegeler, il poeta dell'amore.
 
Ma lui, ai suoi versi mai rinunciò
e nei bar li recitò ogni sera
in cambio di una fetta di sacher.
 
L'ascoltava la gente e sbadigliava
perché la sua bocca più non proferiva
la parola amplesso ed il verbo bramare.
 
Una sera fredda d'inverno,
tacque in un bar al primo sbadiglio
e calda gli calò giù una lacrima sul viso.
 
Si commosse una signora dall'aria vissuta
e fasciata di seta pervinca
che mai si era persa una serata.
 
Dal suo tavolo, lentamente lei s'alzò
ed andò dritta verso Franz.
Fra le sue odorose mani gli prese il viso
e su quella lacrima
pose il bacio più tenero della sua vita.
 
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