LA PIÚ GRANDE
ANTOLOGIA VIRTUALE
DELLA POESIA ITALIANA

Poeti contemporanei affermati, emergenti ed esordienti
Home Page di
Margherita Teresa Lasso
Margherita Teresa Lasso, Scrittrice e poetessa, è nata a Corigliano Calabro (Cosenza) il 30 maggio 1974 ed ivi risiede.
 

 
Un sogno al di là delle stelle

(segnalato dalla giuria al premio Jacques Prèvert ed 2004)

 
 
Il cielo del pianeta Boems era diverso da qualunque altro cielo Alan avesse mai visto nei suoi viaggi. Aveva meravigliosi riflessi madreperlacei e colori che mutavano nell'arco della giornata a seconda del sole più vicino. Al tramonto era di un delicato color verde che sfociava in un morbido azzurro, non appena il primo sole tramontava, e in seguito in un magnifico porpora. Quando anche il terzo sole cominciava ad abbandonare la volta celeste, il cielo si riempiva di sfumature giallognole, fino a spegnersi nell'incanto vellutato della notte stellata.
 
Alan, si era fermato più volte ad osservare quel suggestivo tramonto, che poteva durare dalle tre alle quattro ore, ma a causa del suo lavoro era arrivato sempre quando il terzo sole cominciava il suo declino. Dato che però, in quel momento, non si trovava a bordo decise che si sarebbe goduto lo spettacolo sin dall'inizio. Arrestò il suo veicolo per trasporti speciali, stonecar, vicino ad un suggestivo precipizio che cadeva a picco sul mare sottostante. Scese e si lasciò cadere sul prato erboso. Respirò l'aria profumata e fragrante del mare indomito e selvaggio, principale fonte di sostegno per gli abitanti di quel mondo, e chiuse gli occhi per poter stabilire un legame fra sé e quel luogo alieno, quasi primitivo.
Il rumore delle onde che si infrangevano sulla scogliera era una musica deliziosa, che infondeva allo stesso tempo energia e timore.
 
Alan tolse dal taschino della giacca un pacchetto di sigarette sgualcito e quasi vuoto. Ne prese una e l'accese semplicemente strappando, con forza, una piccola porzione sagomata della sigaretta stessa. Il composto chimico del quale il tabacco era imbevuto a contatto con l'aria bruciò leggermente e dopo neanche un secondo, un piccolo rivolo di fumo biancastro uscì.
Senza distogliere lo sguardo dallo splendore del cielo, mise insieme tutte le informazioni che possedeva su quel pianeta. Sapeva che era un luogo aspro e selvaggio, che viveva principalmente di pastorizia e pesca. Il suolo era povero di minerali e anche la roccia era di pessima qualità, quindi invendibile, ma in compenso il pesce di quel posto era il migliore che potesse esistere sul mercato. Aveva un alto valore nutritivo e un gusto delizioso; i migliori chef erano disposti a pagare cifre esorbitanti per quel genere di prodotto.
 
A scoprire Boems era stata Melissa Shazar, la sua bisnonna, capitano della nave Queenstar III. Aveva compiuto sul pianeta un atterraggio di fortuna, dopo il violento attacco di un gruppo di pirati. In seguito vendette la licenza di commercializzare con i boems ad altre due compagnie.
Il pianeta era stato scoperto all'incirca cinquecento anni prima, ma Alan era convinto che in tutti quei secoli non fosse cambiato poi tanto.
Sugli abitanti sapeva molto poco; in quell'ultimo mese di soggiorno non aveva mai avuto modo di frequentarli visto che la sua nave era ormeggiata nel deserto di roccia, lontano da ogni insediamento.
Di solito ad intrattenere rapporti commerciali con i boems era Jacob Byron, un giovane di soli venti anni. Aveva ereditato da suo padre il posto di addetto al settore commerciale di quella galassia e, anche se a prima vista non sembrava, era davvero molto bravo nel suo lavoro. Di solito era lui che a quell'ora portava lo stonecar e le sue cisterne al vicino villaggio di Seals, affinché venissero riempite con la pesca del giorno, solo che la sera prima aveva avuto un brutto incidente. Era andato accidentalmente a sbattere contro il pugno di uno degli addetti al settore sette della nave, o almeno così aveva scritto sul suo rapporto. Sharp, capitano della nave, odiava qualunque genere di rissa a bordo e non aveva mancato di punire entrambi, rinchiudendoli per una settimana nelle prigioni.
Alan aveva deciso di prendere il posto del ragazzo perché desideroso di curiosare un po' in giro e immagazzinare la cultura e le tradizioni, di quella civiltà sconosciuta, nel suo bagaglio di esperienze personali. Nonostante fosse più un soldato che un mercante, diversamente da quello che si raccontava sul suo conto, amava più conoscere e studiare che distruggere e uccidere.
 
Quando anche l'ultimo brandello di cenere cadde dalla sigaretta ed in bocca gli rimase solo il filtro, l'uomo, si sollevò a sedere e si accorse di non essere solo in quel luogo. Poco lontano, qualcuno, restava seduto a penzoloni sul margine della scogliera poi, quella figura si sollevò in piedi ed il vento sciolse con prepotenza la lunga coda nella quale erano tenuti prigionieri i suoi lucenti capelli biondi. Era una ragazza. Indossava un orribile abito marrone con una gonna larga che svolazzava selvaggiamente intorno alla sua figura. Si avvicinò ancora di più al baratro e per un attimo Alan ebbe come l'impressione che si stesse riflettendo in esso. Con un gesto lento e teatrale sollevò le braccia come se potesse abbracciare il cielo e la sua immensità: un piccolo passo… e si vibrò nel vuoto con ali che non possedeva.
Per un attimo Alan fu convinto che presto gliene sarebbe spuntato un paio sulle spalle e lei sarebbe volata in cielo come un angelo.
Si destò con violenza da quella sorta di sogno ad occhi aperti e corse verso la scogliera. Si tuffò dietro di lei &endash; per fortuna la sua velocità di caduta era superiore a quella della ragazza &endash; così riuscì ad afferrarla per la cintura della sua veste.
Quando fu certo di averla presa, puntò la mano, ricoperta da uno strano guanto argentato, verso l'alto; abbassò l'indice e dal guanto partì una sorta di arpionatura che si infilzò con forza nella roccia sovrastante. Lo strappo dovuto al contraccolpo per poco non gli lussò la spalla.
Abbassò un altro dito e il minuscolo rocchetto nascosto nel guanto cominciò a riavvolgere il cavo metallico, a cui i due erano appesi, riportandoli in cima.
Con una forza spaventosa sollevò il corpo inerte della ragazza sopra il costone roccioso, lanciandolo lontano dal vuoto, poi risalì anche lui e quando ebbe il tempo di riprendere fiato la fissò con fare furibondo. "Maledetta stupida!" le gridò contro. La raggiunse e l'afferrò per il bavero sgualcito del logoro abito. "Perché stavi facendo una cosa tanto insulsa?" ma guardandola meglio si accorse che era priva dei sensi e che il suo viso sporco di fango era rigato dalle lacrime.
Era giovane, dannatamente giovane, non doveva avere più di diciannove anni. La lasciò scivolare dalle mani e il corpo della ragazza si accasciò per terra. Alan si lasciò cadere a sua volta e rimase ad ammirare il cielo, che stava passando dal verdognolo all'azzurrognolo, poi posò nuovamente lo sguardo su di lei. Cosa doveva farne adesso? Se l'avesse lasciata lì chi gli assicurava che non si sarebbe gettata di nuovo?
La caricò sullo stonecar, posandola sul sedile accanto al proprio. L'avrebbe portata con sé a Seals, in fondo era molto probabile che provenisse da lì, non c'erano altri villaggi nei dintorni.
Tornò a dedicarsi alla strada impervia, che lo avrebbe portato al villaggio, e più volte, lungo il cammino, le parole che Sharp gli aveva ripetuto, prima che partisse per Seals, gli tornarono in mente: "Qualunque cosa tu veda o senta, ricordati sempre di non interferire mai con la vita e i costumi della gente del posto! Noi siamo qui solo per commerciare, il resto non conta! Ricordati: non interferie mai, qualunque cosa succeda!".
Non aveva fatto in tempo ad allontanarsi di una trentina di chilometri dalla nave che già aveva fatto il contrario di quello che gli era stato ordinato. Comunque non aveva alcuna intenzione di farsi coinvolgere maggiormente. Avrebbe lasciato la ragazza al villaggio e avrebbe evitato di riferire a Sharp quello che era successo.
Giunto a Seals, l'uomo si ritrovò davanti alla realtà che si era immaginato. Il villaggio contava all'incirca quattrocento abitanti e, a detta di Jacob, era uno dei più grossi villaggi del pianeta. Così come gli altri era diviso in rigide classi sociali. C'erano i pescatori, i quali rappresentavano la classe più elevata, visto che in pochi potevano permettersi il lusso di costruirsi una nave e pagare un equipaggio, poi i pastori che erano la classe sottostante, il popolo e gli schiavi.
Per quanto strano un popolo pacifico, come quello dei boems, era solito tenere in schiavitù una sorta di umanoidi dalla pelle verde e gli occhi enormi e lucidi che ricordavano quelli di un cucciolo abbandonato.
Alan aveva saputo, sempre da Jacob, che i pastori e soprattutto i pescatori erano riusciti ad arricchirsi semplicemente perché erano uomini la cui vita durava centinaia di anni, al contrario di quella dei semplici popolani, &endash; sicuramente su quel pianeta esistevano diversi ceppi di vita umanoidi &endash; inoltre le donne di queste due importanti classi sociali conoscevano il segreto per poter migrare da un corpo all'altro.
 
Osservandosi intorno con fare interessato, Alan si rese conto di una cosa, che in un primo momento non aveva affatto notato. Persino il popolo e gli schiavi indossavano abiti più belli e puliti della ragazza che aveva salvato.
 
Guidando con prudenza, attraversò il villaggio e raggiunse il piccolo porto naturale, scavato dal mare nelle rocce. Le navi stavano facendo ritorno dalla loro lunga giornata di pesca. Avanzavano lentamente e goffamente sulle acque e la linea di galleggiamento era appena visibile. Questo voleva dire che avevano le stive piene di pesce fresco.
Nell'attesa che attraccassero, Alan, si avvicinò ad un vecchio magro e sdentato. Aveva una lunga barba bianca, che gli copriva quasi per intero la faccia, mentre nemmeno un capello gli rivestiva nuca. Il vecchio si reggeva pesantemente ad un bastone, e quando Alan gli fece cenno di raggiungerlo vicino allo stonecar, l'uomo si mosse servendosi di questo.
"Dov'è Jacob? Avevamo una partita da concludere!" disse il vecchio rivolgendosi a lui nella lingua dei mercanti, un gergo molto semplice da adoperare dotato di poche espressioni soprattutto di natura commerciale che permettevano ai mercanti e alle diverse popolazioni di comunicare fra loro.
"Non potrà venire per un po'! Verrò io al suo posto!" rispose Alan
"Peccato, non voglio aspettare dieci anni per terminare quella partita! Digli che se abbandona perde!" disse l'uomo indispettito.
"Glielo farò sapere, ma ora dimmi, conosci questa ragazza?" gli chiese mostrandogli il tenero fagotto adagiato sul sedile del suo veicolo.
"Certo che la conosco, è Julia, la figlia di Bells Farrel! È Il proprietario di quella barca rossa! Ma cosa le hai fatto?" chiese il vecchio guardandolo con un cipiglio.
"Niente! L'ho trovata svenuta lungo la strada per il villaggio e l'ho portata sin qui!" rispose. Il fatto che la figlia di un pescatore andasse in giro vestita peggio di una serva lo mise immediatamente in allarme e per questo mentì per lei.
"Jacob ti ha mai parlato delle shell, ragazzo?" gli domandò il vecchio, guardandolo con più sospetto.
"Le shell? Cosa diavolo sono?" e questa volta non ebbe bisogno di mentire.
Il vecchio lo fissò con attenzione studiando la sua figura. Alan era giovane, almeno all'apparenza; non sembrava avere più di trennt'anni, e il vecchio sapeva che molto spesso i mercanti mostravano almeno una quarantina di anni in meno rispetto alla loro effettiva età. Allora lo guardò negli occhi. Erano grigi e penetranti, occhi profondi e remoti che sembravano non saper sorridere. Occhi di un uomo abituato al comando. Non aveva lo sguardo di un trentenne, ma nemmeno quello di un settantenne. Un uomo non riusciva ad avere uno sguardo così profondo nemmeno a cento anni. Comprese allora che il suo interlocutore non era da sottovalutare, non era un giovane inesperto, ma un uomo senza tempo, come lui, abituato però a domare e conquistare.
"Creature condannate a morte lo stesso giorno in cui sono state chiamate shell per la prima volta!" affermò il vecchio in maniera enigmatica. "Dimmi la verità ragazzo, no… non devo farmi ingannare dal tuo aspetto, tu sei una creatura senza tempo. Dimmi tu non hai trovato questa ragazza… tu l'hai salvata vero? Stava tentando il suicidio!" gli chiese con fare accusatorio senza smettere di guardarlo dritto negli occhi, pronto a cogliere ogni più piccolo segnale di tentennamento.
"Te l'ho già detto! L'ho trovata svenuta lungo la strada e l'ho riportata qui! Quello che stesse facendo lì non sono affari miei e non mi riguardano!" rispose con voce serena e controllata, mentre il suo sguardo restava limpido e fermo. Il vecchio si morse un labbro con la gengiva sdentata. Non aveva a che fare con uno stupido, questo lo aveva compreso subito, ma non immaginava nemmeno con un uomo così controllato.
 
Le navi attraccarono e alcuni pescatori scesero. I ragazzi del villaggio salirono a bordo per ripulire tutto il pesce e sventrarlo, così da caricare le cisterne dello stonecar. Alan sapeva che alla fine del lavoro avrebbe dovuto ricompensarli con delle barrette di metallo, ricordandosi di darne due a testa ai ragazzi del gruppo che avesse terminato per prima.
 
Il vecchio fece cenno ad un uomo alto e robusto di avvicinarsi allo stonecar. Alan comprese immediatamente che si trattava del padre di quella ragazza, perché aveva gli stessi identici capelli biondi della figlia.
"Questa è la tua shell, vero Bells?" chiese il vecchio indicando con il bordone la ragazza.
L'uomo lo guardò stupito e poi si voltò verso Alan. "Cosa le è successo?" chiese con fare interrogativo
"Il mercante dice che l'ha trovata svenuta lungo la strada!" intervenne il vecchio, impedendo ad Alan di rispondere.
"Capisco!" si limitò a rispondere l'uomo prendendola fra le braccia e portandola via di lì. Il mercante lo vide dirigersi verso la propria casa, che sorgeva poco lontana dal porto. Era una grande villa rinchiusa fra mura di siepi e roseti. Proprio davanti al cancello di legno della casa alcune ragazze chiacchieravano tranquille. Una di loro guardò sconvolta l'uomo portare Julia fra le braccia e fece attenzione a tenere la giusta distanza da entrambi. Anche quella doveva essere una delle figlie del pescatore visto che aveva il suo identico colore di capelli. Contrariamente alla sorella, però, indossava un meraviglioso abito color zafferano e delicati sandali di corda ai piedi. Il suo collo e le sue braccia erano ornati da stupendi gioielli, acquistati sicuramente da qualche mercante. Aveva i lunghi capelli biondi raccolti in una meravigliosa treccia ricamata con perline e gemme preziose. Una piccola principessa.
Prima che potesse farsi o fare altre domande la raccomandazione di Sharp risuonò nella sua mente come un campanellino d'allarme. Girò sui tacchi e ignorò completamente il vecchio e le domande che avrebbe voluto rivolgergli e si sforzò di concentrarsi sul suo lavoro.
I ragazzi erano veloci e precisi nello svolgere la loro mansione, inoltre gli analizzatori posti all'imboccatura di ogni cisterna impedivano che pesce vecchio e sporco venisse introdotto all'interno. Lo stonecar era fornito di cinque cisterne, una per ogni nave. Sul fondo delle cisterne e sulle pareti erano disposti migliaia di sensori collegati non solo al computer del velivolo, ma anche a quello della lega intergalattica dei mercanti, situata ad anni luce di distanza da lì, che proteggevano da truffe e abusi tanto i mercanti quanto i loro fornitori e clienti.
 
Dopo qualche ora, Bells, fece ritorno al porto e si avvicinò ad Alan. Si era cambiato d'abito e doveva essersi fatto anche un bagno visto che non odorava più di pesce, ma di una fragranza molto simile al sandalo. Indossava abiti di sfarzosa seta rossa e nera sopra stivali di pelle. "La mia nave è stata svuotata?" chiese con quella sua voce burbera ed autoritaria
"Sì, pochi minuti fa!" rispose Alan e si avvicinò al computer per stampare la relativa ricevuta di pagamento.
"Bene! Questa è per aver aiutato mia figlia! Sono sigari di alghe, a Jacob piacciono, spero che lo stesso valga per te!". Alan prese la scatola di legno senza dire nulla o fare domande e, l'uomo, abbastanza contento della cosa, tornò a bordo a dare gli ultimi ordini ai suoi uomini.
Il mercante si avvicinò al gruppo di ragazzi che aveva finito per prima e consegnò loro ben due barrette di metallo. Rivendendole avrebbero guadagnato una piccola fortuna che gli avrebbe permesso di vivere tranquilli per qualche mese.
 
Dopo un'altra mezz'ora tutte le cisterne furono riempite e i manovali ricompensati. Era già calata la notte e Alan si stava apprestando a fare ritorno alla sua nave quando il suo sguardo si posò inconsciamente sulla casa di Julia. Rimase sorpreso vedendola affacciata dalla finestra della torre più alta. Sembrava proprio stesse guardando verso di lui. L'uomo distolse lo sguardo. Non era certo che fosse lei, poteva benissimo essere la sorella.
 
Era già notte fonda quando finalmente arrivò all'Urania, l'imponente nave spaziale nera e blu la cui forma riportava alla mente quella di un antico veliero terrestre. Affidò lo stonecar agli addetti e lasciò la stiva per raggiungere le prigioni. Aprì la porta della cella di Jacob e gli lanciò la scatola di sigari. Il ragazzo che era ancora sveglio l'afferrò al volo e lo guardò stupito. Era severamente vietato dal regolamento di bordo portare qualunque cosa ad un prigioniero. "Come sono andate le cose oggi?" chiese poi con quel suo sorriso irriverente, dopo aver compreso che Alan, in fondo, non era poi così malaccio come aveva creduto all'inizio. Jacob era un giovane di bell'aspetto, di carnagione mulatta con lunghi e lisci capelli neri e occhi intriganti. Aveva molto successo con le donne e la cosa non lo disturbava affatto. Si diceva addirittura che si era ritrovato in quel guaio proprio per colpa di una donna.
"Bene! Il vecchio del porto ti fa sapere che se abbandoni la partita hai perso!" disse riferendogli il messaggio.
"Quel vecchio imbroglione! Allora come ti è sembrato Seals, era molto diverso da come te lo aspettavi?" chiese ancora Jacob.
"Abbastanza!" rispose sinceramente Alan.
"Perché non ti fermi un minuto e non ci fumiamo un sigaro insieme? Ormai il regolamento è infranto!" dichiarò e l'altro accettò sedendosi anche lui sulla branda. Jacob accese i sigari servendosi di una sorta di accendino abbastanza comune poi ne passò uno a Alan, che si rese conto che non avevano affatto un pessimo sapore, anzi…
"Cosa sono le shell?" chiese di punto in bianco l'uomo e per poco Jacob non si affogò con il fumo del proprio sigaro.
"Come mai questa domanda?" chiese non appena riuscì a smettere di tossire.
"Ne ho incontrata una oggi!" confessò Alan.
"Ti ricordi che ti avevo parlato della capacità delle donne nobili di trasferirsi da un corpo all'altro?"
"Sì!"
"Quando il loro corpo diventa inadatto per generare figli, loro uccidono, con un potente veleno, l'anima delle shell e si impossessano del loro giovane corpo per poter tornare a generare figli. Come avrai notato da solo, i nobili Boems non sono molto numerosi e questo perché non sono una razza feconda al contrario del popolo e degli schiavi! Quindi se non vogliono essere totalmente sopraffatti da questi devono continuare ad essere numerosi, generando sempre più figli! Comunque, secondo il mio parere, il loro scarso potere riproduttivo dipende in larga misura dal fatto che le madri si servono delle proprie figlie per continuare a vivere. E quindi non hanno nessun rimescolamento del materiale genetico. Diventano una razza sempre più pura e sempre più infeconda!" gli spiegò Jacob.
C'erano molti punti oscuri che Alan non riusciva ancora a comprendere. Per quale motivo una ragazza condannata a morte certa cercava scampo nel suicidio? Forse perché non voleva che la madre usasse il suo corpo?
Era una spiegazione assurda, ma era l'unica che riuscisse a darsi.
"Ti ringrazio per il sigaro, ma ora devo andare!" lo salutò dopo una decina di minuti.
"Grazie a te per la compagnia! Comunque perché non prendi un po' di sigari, in fondo sono certo che li hanno regalati a te!" disse Jacob, ma l'altro fece segno di diniego con la mano.
"Quando ne avrò voglia verrò a fumarne uno con te!" rispose
"Con piacere!". Alan richiuse la porta della cella e tornò al ponte superiore dove si trovava la sua stanza. Aveva sonno e desiderava solo chiudere gli occhi e dormire.
PER COMUNICARE CON L'AUTORE mandare msg a clubaut@club.it
Se ha una casella Email gliela inoltreremo.
Se non ha casella Email te lo diremo e se vuoi potrai spedirgli una lettera presso «Il Club degli autori - Cas. Post. 68 - 20077 MELEGNANO (MI)» inserendola in una busta già affrancata. Noi scriveremo l'indirizzo e provvederemo a inoltrarla.
Non chiederci indirizzi dei soci: per disposizione di legge non possiamo darli.
©2004 Il club degli autori, Margherita Teresa Lasso
Per comunicare con il Club degli autori:
info@club.it
Se hai un inedito da pubblicare rivolgiti con fiducia a Montedit
 
IL SERVER PIò UTILE PER POETI E SCRITTORI ESORDIENTI ED EMERGENTI
Home club | Bandi concorsi (elenco dei mesi) | I Concorsi del Club | Risultati di concorsi |Poeti e scrittori (elenco generale degli autori presenti sul web) | Consigli editoriali | Indice server | Antologia dei Poeti contemporanei | Scrittori | Racconti | Arts club | Photo Club | InternetBookShop |
Ins. 29-09-2004