Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
Marco Santangelo
Ha pubblicato il libro

Marco Santangelo - Il muro sporco





 
 
 
 
 
Collana I salici (narrativa) 14x20,5 - pp. 100 - Euro 7,30 - ISBN 88-8356-835-4 

Prefazione
Poesie


Presentazione
 
Quando la propria immagine allo specchio diventa irriconoscibile e si fa fatica a sopportare quel corpo magrissimo, gli occhi spenti e la mente persa chissà in quale mondo, ecco allora che ci si può considerare un "errore ambulante" in ostaggio di una vita che è un incubo: tutto diventa indifferente e si può vendere anche il proprio destino.
Eppure Andrea scrive il suo diario e non é solo perchè vicino a lui c'è il fedele amico Hoisciar: entrambi sono dispersi nella vita, segnati dalla sofferenza per le occasioni perdute e devastati nel corpo per gli errori commessi ma il tempo non offre scampo, e la rinascita diventa sempre più improbabile.
Marco Santangelo racconta il disagio d'una generazione perduta e lo fa in modo struggente non dimenticando mai di essere sincero con parole strazianti, laceranti, vibranti.
I veri miracoli sono la forza della parola, il miracolo dell'amore, il valore dell'amicizia: "Non vendere mai le tue idee perchè ti accompagnano lungo il cammino, tieni vicini i tuoi veri amici, quelli che ti vogliono davvero bene, che ci tengono a te".
 

Massimo Barile


Il muro sporco
 

 
"Ah, che palle: tagliati i capelli, vestiti decentemente, non fare sempre lo zingaro".
 
Mi restano poche ore di via e non mi interessano più queste banalità.
Solo ora riesco a capire; ho vissuto vent'anni per niente.
Ho trascorso il mio tempo a domandarmi se i capelli gialli mi donassero o meno, oppure se minimamente interessassi alla vicina di casa. Per me era un problema un voto negativo, come tante altre piccole cose.
Soltanto ora che sto per abbandonare questo mondo schifoso, mi rendo conto che passiamo ogni mattina della nostra esistenza a dannarci per cose assurde.
Perdiamo amicizie importanti perché facciamo l'occhiolino alla ex del nostro amico.
Ora vorrei tanto averlo vicino quel mio ex amico, invece sono qui da solo; guardo la mia immagine allo specchio e non la riconosco più.
Sono diventato magrissimo, le mie orecchie sono trasparenti e gli occhi spenti.
Purtroppo ho sbagliato, ma ormai è tardi per piangere sui miei errori.
Questa sera a cena (penso di non esserci alla prossima), ho chiesto a mia madre di darmi un formaggio. È rimasta stupita; sa che è una cosa che detesto, ma questa volta l'ho mangiato.
Mi spiace molto per mia madre. Le sto dando molte preoccupazioni per niente.
Poverina, credeva in me ed ecco il mio ringraziamento nei suoi confronti. Sta soffrendo molto, sono già due giorni che non mangia.
Spero tanto che non abbia deciso di morire insieme a me.
Le ho spiegato che io sono un errore ambulante e come tale non può permettersi di seguirmi.
Poverina, da quando mio padre è andato via con quella ragazza portoghese, la sua vita, anzi la nostra, è diventata un incubo.
Siamo stati sfrattati dalla nostra abitazione; il suo lavoro non le consentiva di pagarmi gli studi e di mandare avanti la casa. Così ci ritroviamo in questa baracca di periferia.
Non voglio detestare questo ammasso di lamiere; ma è da qui che è cominciato tutto, qui ho venduto il mio destino, solo per la voglia di provare nuove esperienze.
Ora questo pezzo di carta si sta bagnando, non ho mai pianto così tanto in vita mia, anzi ho sempre deriso chi lo faceva; che stupido, è così bello piangere.
Comunque ho chiesto a mia madre di non lasciarsi andare, la sua vita deve continuare, ora deve pensare solo alla piccola Katia.
È così piccola che non si rende conto nemmeno di cosa stia succedendo qui dentro, dopotutto ha solo quattro anni.
Guardo fuori e vedo quel muretto che un mio conoscente ha graffitato con delle bombolette.
Dietro lì fumavo di nascosto, avevo paura di farmi scoprire da mia madre.
Quel maledetto muro sporco.
Lì cominciò tutto tre anni fa, quando quel tizio con la faccia simpatica e rotonda disse: "Noto che sei rimasto indietro nel tempo, fumi ancora le sigarette, prova questa".
Io acconsentii e lui mi iniettò dell'eroina nelle vene.
 
 
 
Ma chi mi tira la camicia?
Non voglio neanche girarmi, lo avrò sicuramente immaginato.
Sei tu Katia...
Da quanto tempo sei lì dietro ad ascoltare? Vedo che piangi, suppongo che tu abbia capito tutto.
Vieni qui che il tuo fratellone ti prende in braccio e ti canta una canzoncina.
Sai, penso che tu non sia in grado di rispondere, ma di capire sì.
Ascolta allora queste mie ultime parole.
Non piangere. Volevo dire ascolta le mie parole.
 
Tu sei una brava bimba, promettimi di comportarti bene, cerca di dare alla mamma un sostegno morale; falle da scudo.
Lei è stata segnata ingiustamente dalla vita e purtroppo gli anni passano anche per lei.
Forse sto usando un linguaggio poco appropriato, considerando la tua giovane età, ma sei l'unica persona con cui posso confidarmi.
 
"Katia, tra poco partirò"
"Dove vai?"
"Devo andare in Germania a studiare, però preferirei che tu non chiedessi nulla di me o meglio della mia assenza alla mammina. La lontananza potrebbe recarle dei dispiaceri. Hai capito, Katia? Su rispondi, hai capito?"
"Sì"
"Ora ti canto una canzoncina, così ti addormenti".
 
La piccola cominciò a chiudere gli occhi.
Sembra essersi addolcita, ascoltando la mia voce. Ogni tanto riapre gli occhi, è ancora sveglia. Riprovare non costa nulla, a me piace cantarle la ninna nanna.
 
"Meno male che si è addormentata, magari ha pensato che sono bravo, un artista; ma che artista e artista, sono soltanto uno scarto della società".
 
Ritorniamo a noi...
L'unica cosa che mi resta da fare ora è pensare, pensare e pensare ancora.
Vorrei pensare a qualcosa che permetta a mia madre e alla mia sorellina di trascorrere una vita economicamente tranquilla e soprattutto lontano da qui.
Questo non è assolutamente il posto ideale per crescere un bambino. Voglio provare a pensare ad una rapina in banca.
 
"Siamo in due, io e un mio amico, anzi conoscente, amico è una parola troppo grossa.
È già da diverse ore che controlliamo una banca. È notte fonda e fino ad ora tutto procede per il meglio. In fondo, noi che cosa abbiamo da perdere? Io sto in piedi a malapena, lui è convinto che lì non ci sia una banca ma un bar, nonostante ci sia un'enorme insegna luminosa.
Comunque il piano non è ancora escogitato.
So solo che siamo a bordo di un vecchio furgone, il classico mezzo che non passa inosservato.
Se ci fossero in giro i poliziotti, si fermerebbero da noi per controllarci.
Sta di fatto che scendo e mi avvicino alla banca per controllare.
Ho in mano una torcia, se la situazione è tranquilla gli segnalo di avvicinarsi.Dopo aver girato intorno all'obiettivo per diversi minuti, gli punto la luce.
Lui, però, non ha alcuna reazione, forse si è addormentato, non ha neanche acceso il motore.
Riprovo; nessuna reazione da parte sua.
Insospettito, mi avvicino al furgone e lo tropo ripiegato sul volante. Non sta dormendo, è morto.
Questa volta ha deciso di chiudere per sempre con la vita.
Si è suicidato, ha ancora una siringa puntata nel braccio, è morto per overdose.
Non sono un medico, ma queste cose riesco a capirle, ne ho vista troppa di gente morire. Io rimango indifferente; la droga mi ha tolto anche i sentimenti.
La sua morte mi ha lasciato indifferente.
So solo che la banca era munita di un antifurto a distanza; sono qui in galera senza neanche rendermene conto.
Due carabinieri mi hanno arrestato.
Ho cercato di spiegare loro che quei soldi non erano per me, ma per il futuro dei miei cari. Loro giustamente hanno svolto il loro dovere.
Purtroppo in galera ci finiscono i ladri affamati, i ladri di polli.
È sbagliato ma è così".
 
Comunque è notte fonda e non ho assolutamente la minima voglia di dormire.
Non voglio proprio, voglio morire sveglio, voglio rendermi conto degli sbagli fatti prima dell'arrivo della vecchia con la falce.
L'ho vista già diverse volte; ogni volta mi guardava in modo strano come se volessi dirmi: "Ehi, tu, è giunta l'ora".
Rideva sempre, però non mi ha mai portato via con sé, si divertiva a prendermi in giro.
In effetti, molte volte mi è comparsa nei sogni; ma altre volte ha cercato di catturarmi sul serio.
Ricordo due anni fa in autostrada; ero passeggero sulla potente moto del mio amico.
Adesso come adesso non ricordo più il modello, so solo che la velocità si aggirava intorno ai 200 km/h.
Avevo paura, non osai però dirgli nulla, mi sembrava felice, felice come un bambino solo a cui veniva regalato un piccolo meticcio trovato per strada o in qualche canile.
Comunque lui si divertiva a sorpassare le macchine, sfiorando i loro specchietti retrovisori di qualche millimetro.
Sfortunatamente, una macchina non ci vide sopraggiungere, si spostò e lui perse il controllo della motocicletta.
Io ho trascorso un mese della mia vita in coma profondo, nel momento del risveglio, ho chiesto di lui piangendo (come se sapessi già tutto).
Il dottore disse: "Purtroppo non siamo riusciti a salvare il suo amico, è morto sul colpo."
Presumo che non sarebbe durato a lungo, era conciato quasi come me adesso.
 
"Ehi, Jonathan, ti sto infastidendo eh!
Non preoccuparti tra poco tornerai ad essere tranquillo come prima.
Sei un canarino strano anche tu.
È da un po' di tempo che non canti più.
Mangi pochissimo, spero non sia malato anche tu.
Ma vi ho contagiati tutti qui dentro?
Ultimamente mi sembra di essere attorniato solo ed esclusivamente da tristezza.
Ogni angolo di questa palafitta, mi sembra nero e tetro.
Mi accendo una sigaretta e guardo fuori; il cielo è stellato.
Ma le stelle mi sembrano rosse...
Che stupido, ho sempre pensato che fossero gialle."
 
Mi cade lo sguardo su quel muro.
Non vorrei più vederlo, ma i miei occhi, come se nulla fosse, guardano sempre lì.
 
"Eccola, la vedo!
La vecchia con la falce è seduta sul muretto, mi guarda e ride.
 
"Ehi, dico a te!
Vieni qui, non continuare a ridere; non ho paura di te.
Aspetto solo che tu venga a prendermi!
 
"Andrea, hai qualche problema? Come mai sei ancora sveglio?"
"No, mamma, non preoccuparti, non ho nulla, torna pure a dormire tranquilla!"
"Perché urlavi allora?"
"Gridavo contro quella vecchia lì fuori!"
"Dove?"
"Quella sul muretto, continua a guardarmi e a ridere."
"Io non vedo nulla!"
"Hai ragione mamma, sicuramente è stato frutto dell'immaginazione."
"Ma cosa stai scrivendo?"
"Scrivo perché non ho sonno; dicono che scrivere lo concili!"
"A me risulta che leggere concilia il sonno, non scrivere."
"Cosa cambia?"
"Come non detto, ti lascio continuare; buonanotte Andrea!"
"Notte ma'!"
 
È vero, scrivere non concilia assolutamente il sonno, ma io non voglio mica dormire.
 
Provo ancora a guardare fuori, la vecchia è andata via; ma sento che il mio cuore sta scoppiando.
Forse sta scoppiando perché non si è mai ritrovato solo contro il mondo a raccontare la verità.
Intanto questo foglio continua a bagnarsi e le lacrime sembra che non vogliano coprire e cancellare definitivamente queste mie parole.
Mi sembra di vivere nel video di una canzone dei Cure; mi torna in mente Elisabetta. L'unica ragazza che mi è stata vicino in questo lungo periodo di angoscia.
Questa canzone è intitola "Homestick", che tradotto significa nostalgico.
Effettivamente Robert Smith in questa canzone, cita una ragazza che a lui piaceva, ma lei è troppo superficiale ed attratta soltanto dai vestiti firmati e dalle belle macchine.
Io sono nostalgico di Elisabetta perché so che tra un po' non potrò più vederla.
Dovevo scegliere tra lei e qualcosa che poteva rovinarmi veramente. Bene, ho scelto la via più disastrata.
Forse a volte pensiamo che il mondo sia nostro, ma noi siamo soltanto delle piccole particelle di passaggio.
 
Comunque voglio riascoltare per l'ultima volta questo brano e voglio provare a tradurlo nuovamente.
 
Nostalgico.
He, he! Solo un po' e camminerò lontano da tutte le cose che ha vinto.
Vado in giro a piedi dalla sera fino al mattino del giorno dopo e dimentico però, quanto muovermi quanto la mia bocca è secca e i miei occhi stanno scoppiando.
Cuori in una macchia di sangue, sciano, oh, era dolce, era selvaggio come noi.
Tremavo affondando nel miele che si appiccicava a me.
Così, ancora per un po', ancora per un po', vado camminando e inspiro in me che non tornerò mai più a casa.
Oh, ancora un po' e camminerò lontano da tutte le cose che hai vinto, che hai e che hai osato paragonare a me.
Giro ancora per la notte e inspiro in me che non torno più a casa.
 
Robert Smith è un po' tetro, non è un ragazzo molto allegro ma questa è una delle canzoni più vivaci.
Infatti, in questo brano, lui non suona il violino.
Penso che per lui questo strumento significhi qualcosa di brutto.
A volte quando suona questo strumento, si regge in piedi a malapena tenendo gli occhi chiusi, dando così una cadenza ancora più triste al testo.
Ognuno è fatto alla sua maniera, lui è così; io sono così.
Io penso che sia necessario trovare soltanto delle cose in comune con le persone.
So anche che non è facile, fa male all'orgoglio.
Siamo abituati a comportarci egoisticamente nei nostri confronti, figuriamoci verso gli altri.
Molte volte secondo me fingiamo per sentirci più protetti.
Io credo che questi scudi non dovrebbero esistere, soprattutto alla nostra età.
Mi rendo conto che la vita è dura, tutti prima o poi subiamo qualche sconfitta e col passare degli anni queste esperienze ci rendono più ostili e diffidenti.
Ma noi, non dobbiamo fare così, perché dobbiamo essere continuamente sottoposti a delle scelte?
Noi siamo il futuro del mondo (Voi).
Se ci odiamo a vent'anni, cosa faremo a quaranta e a sessanta?
Io lo so, solo adesso mi rendo conto perché qui vicino c'è già una fossa nella terra che mi sta aspettando. Comunque, secondo me alla fine del nostro cammino, mediteremo perché sarà il momento in cui ci renderemo conto delle scelte che abbiamo fatto.
Per essere più preciso suppongo che ci accorgeremo di aver vissuto una vita per niente; insomma nella maniera più stupida.
Io credo che il denaro, le auto potenti, non possano rendere felici una persona.
Nel mio caso se avessi del denaro potrei essere felice per il futuro della mia sorellina. È vero anche che alla gente non importa nulla del resto.
È meglio avere una personalità di cui poter essere soddisfatti, che fingere un sorriso per paura di non essere compresi (da gente che magari nel nostro inconscio non accettiamo neanche volentieri).
Comunque sia, sembra che le pulsazioni del mio cuore man mano si riducano. Mi accendo un'altra sigaretta e fisso il soffitto.
Che strano, è marroncino chiaro e non bianco.
Non riesco a capire, magari si tratta semplicemente di un'altra illusione ottica dovuta all'astinenza.
 
Jonathan, mi guarda sempre più insospettito. Mi sembra addirittura che stia leggendo nei miei occhi qualcosa di cui (poverino), non riesce neanche a rendersi conto.
Lui adesso fissa me, tra poco forse fisserà questa sedia vuota.
Io non so più che fare; penso che vorrebbe consigliarmi; purtroppo però non è in grado di parlare, può solo guardarmi con gli occhi tristi.
Sposto lo sguardo verso altre cose, vedo una foto.
Ero bambino; adesso come adesso non so quanti anni avrei potuto avere. Vedo però mia madre che copre il ruolo della donna più felice al mondo, forse perché ha in braccio il suo bambino.
 
Adesso invece sembra invecchiata di vent'anni.
Forse si sta rendendo conto che il suo bambino tra poco la lascerà.
 
Il tempo trascorre ed io ricomincio a piangere. Sto cadendo nella disperazione più assoluta.
 
Mi volto e osservo la piccola Katia.
Dorme tranquilla, forse sta sognando.
Spero per lei che sia qualcosa di buono e che la renda allegra almeno per il resto di questa nottata. Il sonno comincia a farsi sentire, ma io non voglio assolutamente dormire.
Voglio morire da sveglio, vado a fare quattro passi fuori...

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