Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
Un racconto di

Marco Cardinali

 
 
Il Naso
 
Il naso
«Cosimo, portami la cravatta!»
«Arrivo, papà, un attimo.»
«Su, sbrigati, altrimenti farò tardi...»
Il professor Amedeo Laurenti stava per vivere una domenica molto particolare.
Già di prima mattina avvertiva quello strano stato di tensione che lo accompagnava ogniqualvolta doveva sostenere qualche parte importante o partecipare a qualche convegno in veste di relatore.
Insegnante di italiano presso un insigne istituto di Mantova, nonché valoroso commediografo-soggettista-sceneggiatore, godeva di buona fama ed era tenuto in grande considerazione per le sue qualità umane che lo rendevano molto popolare soprattutto presso gli allievi, i quali non perdevano tempo a farsi vivi per un qualche consiglio, e non solo di natura scolastica, ma , spesso, tendente a coinvolgerlo anche nella loro vita privata. Benché schivo e modesto nei modi, era riuscito a farsi voler bene un po' da tutti, anche se non mancavano i soliti che, mossi da invidia, parlavano di lui con non poca ironia.
Ormai uomo di mezza età, aveva tre figli prossimi alla vita indipendente: Cosimo, primogenito, chimico di professione; Vanna, secondogenita, neolaureata in giurisprudenza e Donata, la più giovane, ad un passo dalla laurea in medicina.
Tutti e tre erano molto legati al professore, soprattutto dopo la scomparsa della povera moglie dopo una lunga e terribile malattia, e nessuno di loro manifestava la reale intenzione di andarsene da casa.
Quel mattino erano stati tutti e tre coinvolti nella meticolosa preparazione del professore, fermamente intenzionato a raggiungere il teatro senza un secondo di ritardo, poiché avrebbe dovuto impartire le ultime direttive ai suoi allievi attori.
Veniva rappresentata una sua commedia, vincitrice del premio Val padana per l'arte drammatica, dal titolo, invero, altisonante: "Prestigio" e che era interamente recitata dai suoi allievi di liceo, ormai volti a proseguire i loro studi presso la Scuola d'Arte Drammatica.
Il professore, che insegnava Storia del Teatro e Recitazione al Liceo sperimentale, s'era fatto in quattro affinché gli aspiranti attori si trovassero a proprio agio ad esibirsi davanti ai loro concittadini, di cui conoscevano a perfezione lo scarso interesse per ogni manifestazione artistica che non fosse di grido.
Certo, c'erano il sindaco e tutte le autorità municipali e il teatro, bellissimo, era stato interamente addobbato, a guisa di cerimonia nuziale, ed odorava di fiori; era stata addirittura organizzata una sorta di servizio interno di ristoro, se così si poteva definire, o meglio, di aperitivo, offerto dal professore stesso, che si era occupato anche dell'allestimento delle scene e dei lavori di stampa dei copioni, nonché della ricerca dei costumi adeguati, delle luci ed i relativi movimenti in scena, della stampa dei programmi e degli inviti; insomma, in parole povere, di tutto.
I suoi figlioli lo sapevano e, con una stretta al cuore, non avevano saputo negargli il loro aiuto.
Donata aveva perfino rinunciato da una gita sul Po e s'era data un gran daffare a preparare
il necessario per il pranzo, affinché non ci fosse alcun ritardo od impedimento alla cerimonia.
Vanna, invece, aveva posto l'abito grigio gessato di papà, sotto un'accurata revisione, durata quasi
una settimana; Cosimo, dal canto suo, si sentiva in dovere di ricoprire una parte puramente manuale nell'organizzazione di tutta la cerimonia, sapendo bene che suo padre, malgrado ci mettesse tutta la buona volontà, da solo non ce l'avrebbe mai fatta. Eravamo dunque agli sgoccioli.
Qualche decina di minuti e la recita avrebbe avuto inizio.
«Ecco la cravatta, papà.»
«Grazie... figlio mio, come siamo in ritardo! E devo ancora dare le ultime indicazioni ai ragazzi... Tu, sei pronto?»
«Tranquillo, papà, io sono pronto.»
«E Vanna e Donata?»
«Siamo pronte, possiamo andare, papà.»
«Bene, bene.» disse, con un lieve tremore nella voce, il professore.
così, chiuso l'uscio di casa dietro sé, la famiglia Laurenti al completo s'avviò verso l'automobile, una vecchia millecento grigia, che l'avrebbe portata al teatro.
Mentre Cosimo guidava e le ragazze davano gli ultimi ritocchi al trucco, il professore tormentava uno dei programmi di sala, con le mani sudaticce per la tensione che l'attraversava e continuava a fare l'inventario delle azioni che ancora gli restavano da fare, una volta giunto in teatro.
Scorgeva i passanti che tornavano dalla Messa e che popolavano le vie della città, in abito da festa, i più con quell'espressione inconsapevole di chi non s'accorge di recitare la parte, tipicamente festiva, del dolce far niente.
S'accorse di essere attraversato da un larvato senso di invidia per loro, per la loro serena incoscienza, mentre lui, invece, era sottoposto a tutte quelle prove di responsabilità, piene di timori e di tensioni.
Passarono davanti all'ex casa del fascio, poi sotto un lungo viale alberato.
Egli guardava dai finestrini dell'auto, senza che alcuna immagine potesse fissarsi in lui.
Le strade, i palazzi, i monumenti, finivano col confondersi ai pensieri, in uno scintillio confuso di parole, gesti ed espressioni che animavano la trama della sua commedia.
Tentò, invano, di allontanare le preoccupazioni aggiustandosi la cravatta.
Manco a dirlo, il regista della rappresentazione aveva finito coll'esser lui, dato che nessun addetto ai lavori, in città, s'era reso disponibile.
Quando furono in prossimità del teatro raccomandò a Cosimo di posteggiare l'auto in una viuzza laterale, evitando, così la ressa generale. Giunti finalmente in teatro, furono accolti dagli allievi-attori che subissarono il povero professore di quelle che ritenevano dovessero essere le ultime domande sulla recita.
C'era Paolo Gramegna, tutto truccato; così vistosamente truccato, da sembrare un pezzo raro del museo delle cere; c'era poi Pietro Balducci che, nella commedia, avrebbe dovuto baciare la protagonista, in un momento particolarmente idilliaco, e che riusciva a farlo solo palesando notevole imbarazzo ed ostentando un vistoso rossore che gli permaneva sul volto per i restanti venti minuti della recita; c'erano anche Laura Patrignani, la succitata e non meno imbarazzata protagonista, Ugo Malnati, Oreste Schiano e Mario Bardini, i tre ufficiali d'alto rango e così via, tanti altri.
C'era, infine, Ines Morelli, la quale se ne stava in un cantuccio, quasi indifferente a ciò che le accadeva intorno. Il professore la conosceva più di chiunque altro e sapeva benissimo dei timori che scorrevano nel suo piccolo, ma sensibile cuore, in circostanze come quella, ove avrebbe dovuto fare i conti con una spiccata emotività, una volta in scena. Il suo rapporto col pubblico era sempre stato piuttosto travagliato da mille paure che, spesso, le impedivano di vivere serenamente le recite.
Il professore l'aveva praticamente vista crescere, essendo lei la primogenita del dottor Morelli, suo medico di fiducia, uomo fiero e stimato in tutta la città, nonché carissimo amico.
Di indole inquieta, come già detto, ed emotiva, aveva manifestato, sin da piccola, notevoli attitudini per la recitazione ed il teatro in genere, non perdendo occasione di gettarsi nella mischia allorché si trattava di calarsi in qualche personaggio a lei particolarmente gradito. Ma, talvolta, la natura si diverte a canzonare gli esseri umani, con le sue trovate misteriose e contraddittorie. Ed era il caso della povera Ines. Ecco come una ragazza, eterea e soave nei modi e nei pensieri, si trova a far i conti con un nasone aquilino e grosso, da far invidia perfino a Giacomo Casanova.
La simpatia che ispirava attraverso la sua sensibilità, ahimè, non bastava a cancellare l'oltraggioso profilo che, troppo spesso, si stampava sui muri della scuola o sulle pareti di casa. Ogni tanto, lo sconforto se la prendeva e se la scorrazzava per i mesti pascoli della commiserazione, dai quali riemergeva con la speranza che, un giorno, finalmente, la natura, che così distrattamente non s'era curata di donarle la dovuta bellezza, le avrebbe, almeno, destinata la forza di amare il suo naso.
Le sue capacità, nell'arte di recitare, erano, a dir poco eccezionali. Riusciva addirittura a piangere, con tanto di lacrime agli occhi e possedeva una voce calda e suadente, che avrebbe procurato i brividi lungo la schiena di qualsiasi ascoltatore radiofonico.
Il professor Laurenti le aveva destinato il monologo conclusivo della sua commedia, brano cui era legata tutta la forza morale dell'opera e che avrebbe dovuto chiudere la rappresentazione ispirando gli intervenuti a profonde riflessioni sull'enorme vanagloria insita nell'animale umano e sulla sua potenza devastante.
«Hai ripassato i punti cardine?» le chiese avvicinandosi.
«SÏ,» rispose «ma oggi sento che non va proprio.» e le si inumidirono gli occhi.
«Andiamo, Ines,» disse, quasi spazientendosi, il professore «ancora con la solita storia! Ma ti vuoi render conto che la bellezza è tutt'altra cosa... che te la porti dentro... e poi sei bravissima, nessuno sa recitare come te... « e le accarezzò i lunghi e lisci capelli che le si perdevano sulle spalle.
«Ha ragione, la ringrazio, professore, lei è sempre buono con me, ma io provo un tal senso di angoscia; non riesco mai a capire se gli altri mi prendono in giro o no... poi, guardi il Malnati;
manco s'è accorto di quel che provo per lui... è così carino e sensibile, ma, proprio non mi vuol notare...»
«Un giorno ne troverai cento, di Malnati,» tagliò corto il professore «su, forza, dai un'ultima occhiata alla parte, che tra pochi minuti si comincia ed io mi aspetto grandi cose da te, oggi.» e le diede un buffetto sulla guancia, in segno di augurio.
Il teatro, intanto, s'era riempito in ogni ordine di posti.
Chi era venuto per curiosità, chi per passare qualche ora di quella domenica, c'era in sala un gran brusio.
Cosimo, Vanna e Donata avvisarono il professore che tutto era pronto e che la recita poteva iniziare, finalmente.
Egli s'era mantenuto, fino a quel momento, dietro le quinte con l'intenzione di non essere troppo disturbato da tutto quell'andirivieni di persone. Aveva provato perfino un attimo di smarrimento e di nostalgia per la sua povera moglie, alla quale, idealmente, dedicava l'onore del premio a lui conferito quel giorno.
«Ti senti bene, papà?» chiese Cosimo.
«Sì, sì, stai tranquillo. È tutto pronto?»
«Certo, sono tutti pronti. Sei sicuro che la Ines stia bene? Deve avere qualcosa che non va...» disse il giovane.
«Ma no, fa così all'inizio di ogni recita... sai, la tensione, e poi, sai come sono le donne... Su, coraggio, fai aprire il sipario.»
La recita poté così avere inizio, tra il brusio del pubblico e qualche sparuto fischio dei soliti intellettuali di turno.
Man mano che i minuti scorrevano e sul palco si consumavano le azioni create dal professor Laurenti, ci si accorse, dietro le quinte, (e forse fu proprio lui il primo a rendersene conto) che il pubblico presente stentava parecchio a trovare un silenzio decente, o, perlomeno, rispettoso degli sforzi profusi dagli attori. E ciò, non perché questi ultimi non fossero all'altezza della situazione, ma perché, troppo spesso, in una città di provincia, è costume che mal si sopporti il successo di un concittadino, specie se di vita integerrima e quindi per nulla chiacchierabile, come quella del professore.
Il brusio latente creava una condizione equivoca, quasi fosse bastata la sola presenza degli spettatori ad onorare l'opera del professore e che tal onore fatto, li autorizzasse a far chiacchiere tra di loro.
Così, tra il primo ed il secondo atto, il Sindaco si vide costretto ad intervenire con parole di gran lode per la commedia e colse l'occasione per ricordare la grossa opportunità che riuniva la cittadinanza, quel mattino, e che, pertanto non doveva essere offuscata dall'eccessivo entusiasmo.
E, finalmente, fu la calma.
Dunque, divenne possibile assistere con la dovuta devozione perfino al bacio tra Pietro Balducci e Laura Patrignani, momento topico della commedia che ispirò molto imbarazzo in sala e qualche ironico fischio goliardico.
Inutile dirlo, il pubblico aveva preso a spazientirsi di nuovo; qualcuno, addirittura, scartocciava senza pietà delle caramelle.
Il povero Laurenti non sapeva più cosa fare. I suoi figlioli, sconsolati, scotevano la testa, delusi, e molti suoi collaboratori, con qualche scusa dell'ultimo istante, s'erano defilati.
E di lì a poco, sarebbe toccato alla Ines col suo monologo.
Tutto quel baccano! Con la ragazza in quelle condizioni, poi.
Proprio non ci voleva.
Rassegnato, andò nel corridoio del teatro ed entrò nello stanzino del custode che stava preparandogli uno dei suoi caffè con la napoletana. Almeno quello l'avrebbe aiutato a superare il triste momento.
Quando prese la tazzina, se la portò dietro le quinte, attendendo la fine dello spettacolo.
L'intenso profumo di caffè gli riportò alla mente una distesa di ricordi: la sua infanzia, gli studi, il fidanzamento, la moglie, la festa di laurea e tante, tante altre immagini, e sul suo viso, inconsapevolmente, s'era adagiato un sorriso benevolo, un po' infantile, in quella penombra, quasi in lui fosse scesa una quiete notturna.
I suoi pensieri navigavano placidi, senza alcun tormento, sotto l'influsso di quell'odore di caffè ed aveva appena cominciato a sorseggiarlo, quand'ecco arrivargli dal proscenio qualcosa di inatteso, con la potenza di un autentico ceffone...
«Naso? Dove... Come...» si domandò, stupito.
«Ma sì, una parola come un'altra... Ma, un momento... io, nella mia commedia, non ce l'ho messa...»
Poi ebbe un colpo di fulmine.
«Mio Dio, la Morelli...» esclamò tra sé e si precipitò sul palco. In un istante, s'accorse di essere entrato anch'egli in scena.
«Perdinci, deve aver saltato qualche battuta.» pensò, e fu preso da un'ardente emozione che, per poco non gli fece saltare il cuore, quando si rese conto di non poter più tornare sui suoi passi.
In sala era sceso un silenzio religioso.
Nessuno osava distogliere lo sguardo dal palcoscenico.
Ines quasi barcollò e si temette stesse per svenire, poi alzò lo sguardo sul pubblico e, con voce vellutata, ma risoluta, cominciò a raccontare della gioia incommensurabile che scorreva in lei, in quell'istante, sentendo finalmente suo, quel naso che ella stessa aveva, fin lì, rifiutato.
Il professore si rese conto che non stava recitando.
Nella voce della ragazza splendeva la profondità di chi sta realmente raccontando se stesso, donando, in tutto e per tutto, la felicità di una liberazione troppo spesso vanamente attesa.
Le lacrime che rigavano quel volto rinato, splendido nella grazia di una inattesa confessione, erano di gioia!
Perfino Malnati, con gli occhi lucidi, dietro le quinte, non poteva allontanare lo sguardo da lei.
Tutto quello, ormai, faceva parte della commedia, anche se non era mai stato scritto.
E quando Ines concluse il suo monologo con un accorato ringraziamento a quanti potevano condividere con lei quel momento, il pubblico s'alzò in piedi e proruppe in un lungo, fragoroso e sincero applauso.
Fece un piccolo inchino di saluto e, quando s'accorse che anche il professore era in scena, si gettò nelle sue braccia, senza più dire una parola, ma, semplicemente, poggiandogli il capo su una spalla.
Per qualche istante non dissero nulla. Il pubblico era quasi in delirio.
«Mai vista una cosa del genere dai giorni della Liberazione.» osservò qualcuno.
Poi Ines salutò e ringraziò il professore, il quale, guardandola negli occhi, non seppe dire null'altro che:«Brava.»
«Mi perdona?» chiese la giovane, quasi sottovoce.
Laurenti sorrise dolcemente.
«Mah, forse devo, più che altro, ringraziarti... come ti senti, ora?»
«Molto meglio, mi sento risorta.» disse la ragazza.
«Anch'io...» fece il professore.
Poi, guardando il Malnati, che se ne stava in disparte col cappello in mano:
«Vai,» disse «c'è qualcuno che ti sta aspettando...»
Ciò detto, strinse calorosamente la mano alla ragazza e s'avviò verso il palco delle autorità, per la premiazione, che si svolse nel tripudio generale.
Quando tutto ebbe termine, all'uscita del teatro fu assalito da un sacco di gente che voleva congratularsi con lui.
«Caro professore, lei ha saputo conciliare, con questo suo lavoro, la parola col sentimento. Bravo, e veramente bravi anche i suoi allievi.» azzardò uno dei tanti.
«Grazie, grazie, davvero, il merito è tutto loro.» ripeteva quasi a pappagallo ed anche un po' sfinito
per la stanchezza.
Il suono insistente di un clacson lo salvò da quell'assalto.
Era la sua mille cento che si faceva strada tra la folla.
«Papà, sali, che andiamo a casa.» gridò Cosimo dal finestrino, mentre le ragazze, dietro, gli facevano segno con la mano di avvicinarsi.
«Andate avanti voi, io vi raggiungo a casa... voglio fare una passeggiata a piedi... sarò là giusto per il pranzo.»
«D'accordo, ma non tardare troppo e... complimenti, maestro.» fece Cosimo, ammiccando.
Egli sorrise ed alzò la mano come per dare un buffetto sulla guancia al figliolo, poi, mentre i figli si allontanavano strombazzando, s'incamminò lentamente.
Pian piano, s'accorse che i contorni delle case ed il verde degli alberi si scioglievano insieme, nei suoi occhi...
Una lacrima, silenziosa e discreta, gli cadde vicino al naso, quasi a ricordargli di pregare che le emozioni vissute in quella giornata, non fossero mai le ultime.

 

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inserito il 5 Febbraio 1998

modificato il 9 ottobre 1998