Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
Iolanda Narciso

Tracce di vita

 
Ai miei familiari e a tutti coloro
che sono proiettati nel futuro,
perché si rendano conto del presente
con uno sguardo al passato.
 
 
POESIE
 
 
TRACCE DI VITA
 
Un po' di ieri:
un appunto su un libro di scuola
una canzone e un ballo
un temerario progetto di follia
un bacio d'amore
una speranza e un'illusione
un profumo di giovinezza in fiore.
 
Un po' di oggi:
un giudizio critico, disincantato,
una pelliccia di visone
una poltrona al San Carlo
una ciocca di capelli tinti
ancora un desiderio di vita
in un rosso tramonto di sole.
 
Un po' di domani:
uno sguardo spento sul mondo
un'ansia sopita
i dolori finalmente inceneriti
una processione di lieti
e tristi ricordi ricorrenti
e mai dimenticati
in prolungati lunghi cerchi
di echi sulle onde dell'etere.
 
 
FIGLIULELLE
 
Passano a chiorme
'e figliulelle,
mo ca è staggione.
Pareno palomme e sfarfalléano allere.
Vanno cercanno 'o doce 'e cierti sciure;
cu 'e veste
lègge e trasparente
che s'aizano a ogne sciuscio 'e viento.
So' belle, fresche e spensarate
Int' 'a sti juorne d'està.
Vonno abballa',
ridere, pazzia'
e lassano
nu poco 'e oro e argiento
attuorno a lloro:
'o pérdono d' 'e scelle
a ogne giro 'e ballo,
ma che fa,
sulo na vota
se vive 'a gioventù
sulo na vota!
 
 
COMME NASCE NA CANZONE
 
Quanno vola na palomma
ncoppa 'a rosa avvellutata,
quanno ride na criatura
assettata nzino a' mamma,
quanno 'a sotto a na cuperta
chiena 'e luna e chiena 'e stelle
jesce allero e surridente
chistu sole lustro e bello,
quanno ammore tuppetèa,
sente l'omme na canzone.
Canta 'o core e nun pazzèa.
 
Sent'a Dio, sent' 'a vita,
pene e guaie se carrèa
e turmiente nun ne sente,
famme e morte appisulèa,
dà perdono a tutte quante,
guarda 'o mare ntenneruto,
nzerra ll'uocchie pe' sunna'.
Nasce allora na canzone:
vase lacreme e suspire,
e giranno tutto 'o munno
conta 'a storia 'e sta città.
 
 
RICORDI
 
 
Latte non pastorizzato
 
Mi narrava mia madre che avevo già otto mesi e lei non voleva sfasciarmi (quelle fasce di picchè lunghissime che si usavano allora), perché si vergognava di mostrare le mie gambette sottili.
Abitavamo allora in un'antica strada di Napoli, S. Maria Antesaecula, e avevamo una balconata che prendeva due stanze. Quella casa era al primo piano e per questo si stava spesso al balcone, quando il sole declinava, per godere un po' di fresco.
Di quei tempi girava a quell'ora per le strade il vaccaio che mungeva la sua mucca a mano a mano che i clienti richiedevano il latte. Egli dava la voce: "Signò, calate!" invitando così le acquirenti a calare dai balconi i cestini (così detti panarielli) con i recipienti adatti a ricevere il latte. Un giorno, con grande meraviglia di mia madre, mentre ero nelle sue braccia, vedendo avvicinarsi dal fondo della strada l'uomo del latte, io a voce chiara e forte dissi: "Calate".
Fu allora che mia madre si convinse che era venuto il momento di levarmi quelle orribili fasce di tortura. Ormai cominciavo a parlare!.
Non c'è nei miei ricordi d'infanzia questo uomo che passava con il suo animale. Evidentemente, dopo poco tempo dall'episodio narrato, non giravano più per le strade cittadine le mucche, ma, tanti anni fa, esistevano a Napoli delle vastissime, lunghe e buie grotte che ospitavano in fondo in fondo una fonderia e ancora più giù una stalla con cinque o sei mucche.
Per raggiungere queste grotte si passava da via Cristallini, parallela alla via dove era ubicata la mia casa. Me la ricordo bene questa strada, perché mia madre mi mandava, in compagnia di una matura domestica, (allora non si chiamavano collaboratrici familiari), a prendere il latte, in quella vaccheria nelle succitate grotte, verso il tramonto. Avevo allora otto o nove anni e quelle altissime e buie grotte mi facevano veramente paura. Davo la mano alla mia accompagnatrice e lei, per rincuorarmi, parlava continuamente in modo che non avessi tempo di pensare. Ma quegli antri oscuri, alti quasi che non se ne vedevano le volte, e in basso, dove i miei piedi calpestavano labirinti umidi e scivolosi, erano per me la rappresentazione dell'inferno. Ad ogni curva temevo qualcuno in agguato. Ancor più terrorizzanti erano i muggiti, ampliati dall'eco, che si udivano da lontano. Riuscivo ad essere più tranquilla quando appariva il riverbero, un piccolo sprazzo di luce riflessa, dalla fonderia. Dopo una cinquantina di metri arrivava finalmente l'odore inconfondibile della vicina vaccheria. Potevo assistere, affascinata, alla mungitura di una mucca. Quel rivolo bianco riempiva piano piano la nostra bottiglia a collo largo. Mi piaceva sentire il tepore di quel latte attraverso il vetro e qualche volta avevo in dono un bicchiere di latte caldo, che bevevo avidamente. La strada del ritorno mi sembrava più breve e più agevole.
Non osavo raccontare a mia madre e a mio padre il terrore che mi incutevano quelle grotte, perché certamente mi avrebbero impedito di tornarci e quindi di godere lo spettacolo della mungitura che per me era un mito, un rito primordiale, che si ripeteva sempre uguale da migliaia di anni e sempre affascinante nella sua misteriosa semplicità.
Che bevono i bambini di ora? Sanno a malapena il sapore di latte pastorizzato fresco o a lunga conservazione, oppure latte in polvere per i più piccini.
Dove sono le mucche del mio passato? Dove le grotte delle mie paure? Sono state chiuse e murate o vi è stato impedito l'accesso in qualche modo? Oppure sono nascondigli di drogati o malavitosi da terrorizzare non solo i bambini?
Lo ignoro e non voglio approfondire. Amo il mio ricordo statico e poetico insieme di quegli anni che precedettero la mia adolescenza.
 
 
Racconto tratto dal libro curato da Vanda Riccardi "Napoli si racconta"
 
 
RACCONTI
 
Tim
 
La brusca frenata non era stata sufficiente a scansare quella bestiola che traversava la via Provinciale. L'automobilista si fermò, guardò rammaricato quel bastardo incrocio di lupo e pastore tedesco, bella bestia dal pelo fulvo e marrone, ma non potette far altro che accostarlo ai margini della strada; forse era un randagio, non portava collare ed accanto a lui non c'era nessuno, né un padrone e neanche un bambino. Una bestiola senza storia.
Ma quel cane una storia l'aveva, storia d'amore, di dedizione, di intelligenza e purtroppo di sfortuna. Da piccolo era un bellissimo cuccioletto, quasi un batuffolo marrone, con gli occhi sentimentali che fu regalato da un giovanotto alla sua fidanzata. Fu un regalo non troppo appropriato perché la casa della ragazza non aveva terrazzini o giardini e nessuno della famiglia era capace di educare la bestiola, né tanto meno poteva portarla a spasso due volte al giorno per necessità fisiologiche. Vi erano infatti cinque piani da fare a piedi perché non c'era l'ascensore. La famiglia era composta da quattro figlie, mamma e papà anziani. Tutti avevano da fare: lavoro, studi, impegni quotidiani improrogabili. Si sperava che quel bel cagnolino fosse di razza piccola e forse sarebbe stato accettato con poche riserve. Passavano i giorni e tutti si affezionavano a quella bestiola, ma specialmente la padrona. Le mise nome 'TIM'. Tutti i membri della famiglia cominciarono a giocare con lui, gli davano da mangiare solo i resti della mensa, ma non gli facevano mai mancare una ciotola con l'acqua.
Tim crebbe rapidamente e cominciò a fare tanti piccoli disastri. Rosicchiò e distrusse varie scarpe, i piedi delle sedie. Graffiò e scorticò irrimediabilmente due porte di casa: quella della cucina, perché un giorno era stato chiuso lì dentro quando tutti erano usciti, e l'altra porta del tinello perché, di notte i padroni chiudevano Tim in modo che non potesse girovagare e svegliare i padroni all'alba.
Crebbe tanto, Tim, da superare le dimensioni di un cane lupo.
Veramente quella casa era troppo piccola per lui, non poteva correre, né fare i suoi bisogni fuori dall'abitazione. Insomma una mezza tragedia, specialmente per la mamma delle ragazze che non si faceva scappare nessuna occasione per dimostrare che non c'era via d'uscita: quel cane doveva tornare da dove era stato preso. Questa drastica soluzione veniva procrastinata di giorno in giorno. Passarono così diversi mesi. Tim era una presenza invadente, ma tutti gli volevano bene. Infine ci fu un ultimatum, il cane doveva andarsene. Il giovanotto che non voleva assolutamente essere visto in cattiva luce, si incaricò di condurre il cane nel giardino della persona che glielo aveva venduto. Quel giardino distava dalla casa che aveva ospitato Tim circa cinque chilometri, ma oramai era lì la sua dimora.
Era trascorsa circa una settimana, quando la padrona di casa udì un leggerissimo fruscìo nella saletta d'entrata. Pensò che fosse il vento o qualcuno che salisse le scale del piano di sopra. Si avvicinò alla porta ed il rumore si fece più distinto. Non restò che aprire e vedere cosa c'era dietro. Ma come un fulmine, sgusciò dentro casa Tim, che si rifugiò, appiattendosi, sotto un mobile. Fu veramente un avvenimento inaspettato e commovente. Né la fame, né la sete riuscirono a farlo uscire di lì durante il giorno. Solo di notte, quando non c'era nessuno in giro, Tim lasciava il suo posto sicuro. La padrona cercò di parlargli dolcemente, lo chiamò per nome, gli offrì qualche bocconcino che sapeva piacergli molto, dopo qualche giorno, riuscì a tirarlo fuori dal suo nascondiglio. Aveva ancora legata al collo una cordicella che aveva sfilacciata e spezzata per fuggire.
Era stato assicurato ad un albero o a qualche cos'altro. Era stato così abile e aveva percorso tutta quella strada per tornare dai suoi padroni. Come si poteva mandarlo via di nuovo? Chi gli aveva insegnato la via del ritorno? Incredibile!
Un giorno venne in quella casa una bambina di sei anni. Fu subito attirata dal cane. Tim stava mangiando il suo cibo e la bambina si avvicinò troppo. Tim per timore che quella le volesse sottrarre la scodellina, addentò e graffiò leggermente la gamba della bambina. Fu una mezza tragedia. La madre la vide tornare a casa piangendo disperatamente, con qualche goccia di sangue sul polpaccio. Era accompagnata da una delle ragazze che cercò di spiegare l'accaduto. Subito si pensò di portare la bambina all'ospedale e con insistenza i parenti di quella piccina chiedevano di abbattere il cane. Fu un brutto momento per tutti. Il medico però convinse i richiedenti che non era prudente uccidere quella bestiola perché, solo sorvegliando, nei giorni successivi, il suo stato di salute ci si poteva convincere che non vi fosse pericolo d'infezioni, né tanto meno di rabbia. Così Tim fu salvo. Un altro episodio bisogna raccontare per dimostrare come Tim riuscì a salvare la famiglia da una morte sicura. Era d'inverno e non c'era riscaldamento in casa. Allora si riscaldava l'acqua per riempire le borse di gomma. La ragazza che si incaricò di questo servizietto stava discutendo animatamente, non so per quale futile cosa, con una delle sorelle. Chiuse la chiavetta del gas, ma non completamente. Non se ne accorse. Andarono tutti a dormire e lasciarono come al solito Tim nel tinello. Dopo un'oretta o forse più, Tim si mise ad abbaiare furiosamente. In alto, nell'uscio vi era una bussola di legno che aveva un vetro per far luce nel corridoio, nel quale c'era una piccola lucetta sempre accesa di notte. Si svegliarono tutti in casa, per quel abbaiare insolito di Tim, subito sentirono l'odore sgradevole del gas. Senza accendere altre luci corse in cucina una delle ragazze, aprì il balcone e chiuse la chiavetta del gas. Si aprirono tutti i balconi della casa e fu fugato il pericolo. Tim ebbe una carezza affettuosa dalla sua padroncina. Quel cane meritava una medaglia al valore! Passarono ancora vari mesi. Un altro fidanzato entrò in casa. La seconda figlia aveva anche lei il suo ragazzo. Scommetto che non indovinerete mai cosa regalò alla fidanzata il nuovo venuto: un cagnolino, ma questo era di razza piccola, un bastardino d'incrocio con un volpino. I due animali andarono subito d'accordo, ma chi non si poteva rendere conto che in una casa così piccola potessero convivere due cani era la madre delle ragazze. Intanto l'attaccamento alle bestiole era sempre più evidente e un altro episodio incredibile fece meravigliare tutti. Una sera, dopo cena, la famiglia era riunita intorno alla tavola sparecchiata. Si parlava del più e del meno e degli avvenimenti della giornata di ciascun componente. Ad un tratto la padrona di Tim prese in grembo il cagnolino più piccolo. Appena lo mise giù, con una mossa imprevedibile, mai accaduta prima, Tim saltò in grembo alla padrona. Era geloso delle attenzioni date all'altro cane. Quel posto spettava solo a lui, che mai era stato preso in braccio. Non si rendeva conto che era una cosa impossibile: era così grande e pesante! A Tim mancava soltanto la parola, come si suol dire, ma gli sguardi, le moine, le abitudini alle quali si era assoggettato, erano tutte dimostrazioni della sua grande intelligenza e del suo attaccamento ai padroni. Purtroppo il destino di Tim era segnato da varie circostanze che furono molto negative per lui. La sua padroncina si ammalò e non si capiva bene di che cosa, perché aveva una febbricola che la debilitava e che si protrasse per lungo tempo. La ragazza non aveva più la forza della determinazione per ritardare ancora l'allontanamento di Tim dalla famiglia. Altra negatività era il grave momento del dopoguerra, quando non si trovava ancora tutto ciò che faceva parte delle prime necessità. Infatti era quasi impossibile acquistare abiti o scarpe e ci si industriava per accomodare abiti in disuso. Anche i lunghi mutandoni delle nonne o delle mamme, raffinati e ornati di trine, divennero camicette carine e molto moderne. Come già detto si compravano zoccoli di legno senza le tomaie che venivano fatte di feltri di vecchi cappelli o rimasugli di borsette e pantofole di pelle, inchiodate con maestria e rifinite o abbellite in mille modi. Insomma non vi era neanche una discreta disponibilità di danaro per il necessario, figurarsi se ce ne era per il superfluo. Veniva ogni giorno in quella casa la figlia giovinetta di un ortolano a prendere ordinazione per fornire frutta e verdure. Le fu chiesto se voleva quel cane, poiché si capiva che aveva un piccolo podere fuori città con orto e frutteto. Infatti arrivava ogni giorno con suo padre e suoi fratelli su un carretto carico di frutta e verdura fresca; l'ortolana però non ne volle assolutamente sapere. Aveva già dei cani e non ne voleva altri. Dopo il primo seguirono altri tentativi di convincimento, ma sempre netto fu il rifiuto. Finalmente un giorno venne in mente a una delle ragazze di promettere, in cambio dell'accudimento di Tim, il metraggio per un abito nuovo fiammante. Fu come una folgorazione, e la speranza di un abitino nuovo, per lei che ne aveva visti pochi nella sua vita la decisero a promettere che si sarebbe presa cura di quel cane. Subito fu decisa la nuova famiglia e la nuova casa di Tim. In cambio con i soldini raggranellati giorno per giorno con immensi sacrifici, la padroncina di quella cara bestiola fece comprare la stoffa promessa e del colore che l'ortolana desiderava: 'rosa'. Quando Tim lasciò la famiglia che l'aveva ospitato per quasi due anni, fu un lutto per tutti, ma purtroppo era inevitabile, si erano accumulati elementi che ne avevano deciso la sorte. La ex proprietaria, ancora debole per la sua malattia, versò molte lacrime, per giorni e giorni. Per molto tempo si chiesero notizie di Tim e ogni volta l'ortolana rispondeva: "sta bene". Un giorno che quella non era venuta in città con i suoi fratelli, furono chieste notizie di Tim a uno di loro e questi candidamente confessò che il cane era scappato sulla via provinciale e un'automobile lo aveva investito. Oltre al rimpianto ci fu anche il rimorso di non aver saputo custodire quel caro animale fedele e affettuoso. Dopo tanti anni i telefilm con 'il commissario Rex' hanno fatto rivivere nella memoria Tim per gli stessi occhi dolci, gli stessi atteggiamenti, il colore del pelo, quasi simile, l'attaccamento al padrone e altro ancora. Non era stato mai dimenticato Tim da tutte le persone che lo avevano amato e che avevano sofferto con lui e per lui, ma quei telefilm ne avevano ravvivato il ricordo e anche gli episodi che lo riguardavano e che si erano susseguiti giorno per giorno in quella breve vita.
Per leggere la prefazione del libro "Tracce di vita"
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