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Guido Iannone

Iannone Guido, poeta e scrittore. Nasce in Centrache (CZ) nel "45 e vi rimane fino al "63, anno in cui, diciottenne, lasciò con sofferenza la sua Calabria per trasferirsi in Lombardia. L'impatto con la didattica scolastica lombarda, differente da quella catanzarese, gli procura un tale disorientamento che, in breve, lo porta a disertare la scuola. E, infatti, non conclude gli studi tecnici iniziati nella sua Catanzaro. Attraversa un periodo relativamente breve di confusione mentale e una sorta di crisi di identità, che sfoga "bighellonando", in lungo e in largo, per quella Milano grigiastra di smog, nebbiosa, turbolenta, caotica, ma anche tremendamente affascinante, alla ricerca di equilibri interiori, necessari per lenirgli i subbugli esistenziali che lo traversavano. E di quegli anni, infatti, sono alcuni suoi giovanili versi colmi di vaghezza, amarezza e pessimismo.
Nel "66 entra a lavorare in qualità di applicato semplice nel comune di Garbagnate Milanese. Ritorna a scuola. Serale. Frequenta un liceo scientifico privato e recupera gli anni perduti. Qualche anno più tardi consegue, da autodidatta, la maturità magistrale. Si iscrive alla Cattolica a lettere moderne, ma al terzo anno, i gravosi impegni familiari e lavorativi lo costringono ad abbandonare il corso di laurea.
Si realizza nel lavoro, riuscendo a toccare, in breve tempo, i più alti vertici della carriera. Diventa dirigente. Svolge questo ruolo pubblico con alto senso di responsabilità e impegno fino al "91 quando, "ubriaco" di "burocrazia", abbandona il comune per iniziare altre attività lavorative in proprio. E' sposato dal "72 e ha due figli maschi.
Non ha mai scordato la sua aspra e selvaggia Calabria, dove spesso si rifugia per "ritrovarsi" e rigenerarsi.
Scrive nei ritagli di tempo

SILENZI
 
Fantastico di te
nei miei lunghi silenzi
per divorare angosce
Già
colmo le vaghezze esistenziali
coi profumi del vento sulle onde
che sanno
di salmastro e di zagare
e l'anima rischiaro

AQUILONI
 
Mi inventerò per te
il giuoco tuo più bello
Te lo porterò nel sogno
tra cielo e mare
il tuo aquilone azzurro
dalle lunghe code
intrecciate di anelli colorati dall'iride superbo
dopo il temporale
Lo faremo volare il tuo aquilone
quando s'alza la brezza del mattino
e l'onda dolce increspa
e spumeggiante sveglia la riva ed accarezza scogli
Lo faremo volare
al risveglio dei candidi gabbiani
Lo faremo volare
quando la brezza s'alza nella sera
e spinge il sole oltre l'orizzonte
per acquietare il mare
Lo faremo volare
nella quiete del buio
a notte fonda
spinto nel cielo
dal tuo sogno di bimbo
profumato di giglio e spensierato
 

MAREE
 
Bassa marea
che spoglia dalle spume delle onde
scogli verdastri e rive desolate
come la vaghezza dei miei vuoti
che mi denuda dentro fino in fondo
e stagna turbolenze ed emozioni
La guardo cogli occhi
semispenti dal timore
questa bassa marea che mi beve
La guardo e aspetto
che ritorni alta l'acqua marina
Alta marea
che porta in superficie
nuove essenze
che riempie i miei vuoti
e mi trasforma

NON PIOVE
 
Non piove qui
c'e un cielo grigio e cupo
tutto paro
e l'aria è ferma
come addormentata sulle case
distesa sulle strade senza gente
Non piove qui
c'è una mutezza intorno
che scava con fragore nella mente
e libera pensieri
per risvegliare l'aria
per far tornare
un alito di vento
che spazzi via dal cielo
la cupezza
 

VORREI
 
Vorrei rubarti tutta la tristezza
per far tornare
il cielo solo azzurro
nei tuoi occhi
Vorrei donarti parole sussurrate
come il vento d'aprile
che accarezza le cose
e con voce sottile
le rinnova
Vorrei portarti verso l'aurora
coi suoi trapassi pieni di mistero
e pure dentro l'alba fresca
di rugiada irrorata e scintillante
quando s'alza nel giorno
e squarcia
col suo sole
di rosso tremolante all'orizzonte
tutte paure della notte
e dissolve fantasmi

 
UN AMORE
 
Sei brezza di marina che mi sfiora
Sei anche
Il vento di scirocco e il maestrale
Sei la tempesta
ed anche la sua quiete
Sei l'onda devastante del mio mare
E quella dolce che accarezza scogli
Sei un abisso un baratro profondo
In cui io annego con le mie tristezze
Sei il mio bagliore
forte come il sole
Sei tutto quel che sei quanto io lo sono
Tu sei un Amore

 
ORIZZONTI
 
Corriamo
accarezzando il mare
Corriamo insieme
dove l'onda s'increspa e si confonde
e coi pensieri si fonde
e poi ritorna ancora
E noi corriamo
Corriamo paralleli
senza punto d'incontro
Corriamo insieme
vicini ma lontani
verso il sole
che cala e si inabissa
dove sfuma tutto il suo chiarore
cogliamo quell'istante
cerchiamo disperati
di toccare quel punto
quella fuga prospettica
proprio in quel punto
tutto esplode d'incontro
E' là che tutto
è Amore
 

LA PIANA BUIA
 
Vado a cullare
l'angoscia che mi ingoia
nella piana buia
dove non spira
un alito di vento
dove il mistero
alberga nel silenzio
Vado nel luogo
dove vanno a morire
gli aquiloni
stanchi e stremati
di graffiare il cielo
 

VUOTO
 
Mi pare interminabile il silenzio
Il vuoto mi sovrasta e mi inviluppa
mi chiude dentro sé e mi smarrisce
come il buio cupo che tutto si divora
come la nebbia che cancella il cielo
come il sonno profondo senza sogno
 
Io mi ricerco allora
ma non mi trovo intero
Tento di ricompormi
ma sento che non sono quel che sono
sono sdoppiato
spaccato in due
una parte di me la sento piena
colma delle cose che io vedo
colma delle cose che io tocco
l'altra
la sento colma di vaghezze
piena di vuoto
quella parte di me che vola via
che va molto lontano
verso il mare
che riempie il miei vuoti di tristezze
io tento di fermarla
io cerco disperato di afferrarla
quella parte di me che scappa via
E corro sulla cresta delle onde
e gioco col candore dei gabbiani
e ancor mi sfugge
quella parte di me che vola via
e ancor la inseguo
con l'affanno in gola
col fiato corto che preme dentro il petto
con l'angosciante ansia del navigante
che disperato volge alla deriva
 
 

Brani da "Partenze e spartenze"
 
Anch'io, prendendo coscienza di quanto stava accadendo, cominciai ad intristirmi, a commuovermi, ma non ero del tutto convinto che i miei amici partissero veramente per sempre.
Ridomandai a Tonino, che era ancora seduto lì sul gradino:
"Tonino, ma veramente andate via per sempre, per sempre e non tornate più?"
"Così dicono papà e mamma. Lo sa anche tuo padre che ha dato al mio le carte per partire e il passaporto per attraversare il mare." -Rispose lui convinto- Poi, sentendosi chiamare dal padre, se ne entrò moggio, moggio in casa.
Non ebbi, allora, più dubbi. Era vero. I miei migliori compagni di giochi se ne stavano andando via per sempre.
Non mi rassegnai. Accorato corsi da mia nonna e la implorai di andare a casa di Tonino per convincere i suoi genitori a non andare via, a non partire. Mia nonna, paziente e con dolcezza, cercò di tranquillizzarmi e, rispondendo amorevolmente a qualche mio perché, per distogliermi dal pianto, concluse il suo discorso dicendomi:
"Figlio mio questo è il cammino della vita e non si può arrestare, sei piccolo ancora per capire ma, un giorno, anche tu capirai e te ne farai una ragione, vedrai sarà così."
Mia nonna non mi aveva convinto per niente. A me non stava per niente bene di dover capire un giorno, chi sa quando e chi sa cosa, per me non c'era niente da capire, c'era solo da agire, e subito, per evitare una spartenza dai miei più cari compagni di giuoco. Deluso, mi convinsi che nessuno voleva intervenire per fermare quel brutto evento che mi procurava tanto dispiacere e dolore.
Ritornai di corsa sul terrazzo e, attaccato al parapetto mi sollevai di nuovo sulla punta dei piedi. Sull'uscio di fronte non c'era nessuno.
Il padre di Tonino, su e giù per la scala, iniziava a portare nel vico i vari bagali e la roba approntati per la partenza.
Mi rivolsi a lui accorato:
"Compare Vito, vi prego, vi prego, non partite, non andate via."
"Guiduccio, sei troppo piccolo per capire, anche a me dispiace, ma dobbiamo farlo." -Mi rispose serio e netto-
Anche lui come mia nonna. Non avevano voluto capirmi. Richiamai:
"Tonino, Tonino."
"Tonino." -Gridò il padre a voce alta-
Sull'uscio non si affacciò solo Tonino, apparvero anche la madre con in braccio Bettinella, l'altra sorellina, la più piccola, e poi, presi per mano da Manuela, gli altri fratellini, Onofrio e Pasqualino. Tutta la famiglia, ora stava sul ballatoio.
"Stiamo per partire. -Mi disse Tonino- Tra un po' viene la macchina a prenderci."
Poi si avvicinò al mio parapetto, allungò le mani verso di me e mi diede la sua pirroccia.
"Prendi, -mi disse- tienila, è tua, ieri ho spaccato la tua patacca, mi è dispiaciuto. Te la regalo. Dove ce ne stiamo andando forse non si gioca con la pirroccia. Quando la farai girare ti ricorderai di me, ne sono certo."
La presi impietrito.
 
Il vico, intanto, si popolava di gente. Parenti, compari e comari, anche mia nonna, mio padre, mia madre mio fratello e mia sorella, maggiori, scesero nel vico a salutare gli emigranti. Quasi tutti, specialmente le donne, piangevano cantilenando una unica litania: "Dio mio, Dio mio, quanto è brutta la partenza, quanto è brutta la spartenza."
Quei pianti accorati mi scavavano dentro, mi facevano male tanto da non sopportarli più.
Me ne scappai via. Corsi di sopra, mi buttai sul letto e scoppiai in un gran pianto.
Provavo una grande angoscia perché stavo perdendo i miei più cari compagni vicini di casa, ma avvertivo pure una forte rabbia per la mia impotenza a fermare quella spartenza. Mi alzai lacrimante, presi il forcone, nero di carbone, dalla stanza del forno e cominciai a strapazzare i manifesti delle grandi navi appesi alle pareti. Ripulii i muri fino a far cadere i calcinacci e a sollevare una gran nebbia di polvere. Raccolsi la cartaccia, la arrotolai e la buttai nel forno di mattoni, accesi un fiammifero di legno, quelli asfissianti e puzzolenti di zolfo e lo scaraventai sulla carta che prese fuoco in fretta sfavillando nel forno grandi linguacce di fuoco. Provai anche un sentimento di vendetta verso mio padre, che aveva affisso i manifesti e che, per via del passaporto, si era reso complice della spartenza che si stava consumando nel vico. Singhiozzando, poi, mi ributtai sul letto e mi colse il sonno.
Più tardi fu mia nonna a risvegliarmi e, dalla sua mano, scendendo giù, guardavo, segretamente, l'uscio della casa dei miei compagni.
Tutto era chiuso, sbarrato, certo per sempre e nel vico danzavano, coi fantasmi dei bambini, le mutezze.
 
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Ins. 05-12-2008