Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Gianni Ferrara
Con questo racconto ha vinto il decimo premio ex aequo al concorso
Fonopoli - Parole in movimento 2003, sezione narrativa

Neve appena caduta
 
Racconterò per l'ennesima volta come si sono svolti realmente i fatti anche se questi non sembrano avere nulla a che fare con la realtà. A memoria d'uomo era stato l'inverso più rigido che si fosse mai registrato nell'intera regione; per giorni incessantemente aveva nevicato con una tale abbondanza da rendere impraticabili le vie principali interrompendo così ogni collegamento con i paesi vicini. In seguito ci fu riferito che dalla valle era addirittura impossibile distinguere il nostro paesello abbarbicato sulla cima dei monti dal resto del paesaggio; la neve aveva coperto tutto trasformando l'orizzonte in una vasta distesa bianca. La taverna del Cacciatore era l'unico posto dove non si pativa il freddo e fu lì che la vidi. In piedi davanti al bancone stringeva con entrambe le mani una tazza fumante e prima di avvicinarla alle labbra per sorseggiare la bevanda contenuta, soffiava sul fumo stringendo la bocca a forma di cuore. I suoi lineamenti erano chiari e delicati come neve appena caduta. Bella, distante e pericolosa come una rupe sembrava volermi chiamare a sé. In un piccolo centro dove tutti gli abitanti si conoscono fin dalla nascita un forestiero non solo si nota subito ma desta una sorta di diffidente curiosità e quella donna avvolta da un mantello di pelliccia bianca emanava un misterioso magnetismo tanto da sentirmene attratto come una falena dalla luce. Messa da parte la mia inguaribile timidezza mi avvicinai e le dissi È un tempo da lupi!" pentendomi subito per la banalità della frase. Lei mi sorrise dolcemente e poi rivolgendo lo sguardo verso la finestra disse "Il laghetto sicuramente si sarà gelato, deve essere bellissimo. Vorrei vederlo". La donna con una pausa studiata aspettò che le sue parole facessero presa su di me lasciandole aleggiare come docili aquiloni spinti dal vento. Chiunque, anche uno un po' imbranato come me avrebbe colto in quel discorso apparentemente casuale un invito e subito mi offrii di accompagnarlo. Una volta rimasti da soli cercai di soddisfare la mia curiosità domandandogli come fosse riuscita a raggiungere il nostro paese in quei giorni di bufera. "Sono scesa dall'alto!" rispose con un tono tanto severo da ammutolirmi e così, in silenzio, ci incamminammo verso il laghetto. Durante il tragitto, senza farmi vedere, osservavo con rapidi movimenti degli occhi il profilo imbronciato della donna; sembrava preoccupata come se dovesse affrontare un lungo viaggio e non una, se pur difficile, passeggiata nei boschi nelle prime ore di un pomeriggio di sole. Quando passava vicino ad un albero o a qualunque altra cosa che interrompesse con una variazione cromatica il candido paesaggio nevoso sembrava che questi colori, deformati come da una lente, gli attraversassero le guance come fossero trasparenti: il suo volto sembrava fatto di finissimo cristallo. Riprese a nevicare e la neve appena caduta era così soffice che rendeva più faticosa la marcia, ma quella misteriosa donna continuava imperturbabile a camminare verso la sua meta senza mostrare alcun segno di stanchezza. Qualche volta si allontanava di alcuni metri dal sentiero per fermarsi a gesticolare senza parlare in direzione degli alberi e fu in occasione di una di queste brevi deviazioni che mi accorsi che i suoi piedi non affondavano nel delicato tappeto di neve. Mi voltai per osservare il tratto di bosco che fino ad allora avevano percorso notando subito che dal candore della neve spiccavano i segni scuri di una sola fila di orme: le mie. Prima non avevo dato troppo peso all'apparente trasparenza del suo volto attribuendo quel curioso fenomeno ai bizzarri scherzi della rifrazione che si possono verificare in presenza di neve e di ghiaccio, ma come potevo ignorare o spiegare l'assenza di impronte? Il primo impulso fu quello di scappare a gambe levate allontanandomi il più presto possibile da quella creatura ma la paura mi paralizzava, poi riflettendo mi convinsi che se l'avessi accompagnata fino al laghetto, che orami distava poche centinaia di metri, mantenendo così il mio impegno, lei mi avrebbe lasciato andare via senza farmi del male. E così feci. Il lago ghiacciato sembrava un disco d'argento su cui i riflessi della luce del sole verticalizzandosi formavano una colonna di una luminosità accecante. Quel fascio di luce si alzava maestoso fino al cielo fondendosi con le poche nuvole che gonfie e dense si stavano dilatando fino a raggiungere in un ampio abbraccio la terra. "Va via, non perdere tempo, i lupi hanno sentito la tua presenza!" mi disse prima di immergersi in quella colonna di luce, scomparendo così dalla mia vista. "Lupi?! Non ci sono lupi in questa regione, l'ultimo è stato ucciso un secolo fa!" dissi ad alta voce, rivolto più a me stesso per incoraggiarmi che alla donna, ormai svanita come un fiocco di neve caduto su di una cima innevata. Non feci in tempo a concludere la frase che si alzarono inequivocabili degli ululati minacciosi. Stentavo a crederci, non c'erano lupi in questa regione, ed anche se ci fossero stati non avrebbero mai attaccato un uomo di giorno, ma avevo assistito a troppe cose inspiegabili per fidarmi della ragione e così scappai. Corsi a rotta di collo lungo lo stretto sentiero rischiando più volte di scivolare e finire rovinosamente contro i rami bassi degli alberi, e correndo ripetevo nella mia mente, come facevo da bambino prima di addormentarmi, una vecchia filastrocca che si recitava per tenere lontano l'uomo nero. I miei più terribili incubi infantili stavano prendendo forma nella realtà ed io mi opponevo ad essi difendendomi con le stesse armi puerili che usavo da bambino. Durante la fuga, preso da una paura indicibile, misi un piede in fallo ed iniziai a rotolare sulla neve una, dieci, cento volte. pensavo che non mi sarei mai più fermato ed avrei continuato a girare come una biglia impazzita per sempre quando una staccionata di legno arrestò quel mio vorticoso moto. L'urto contro i paletti fu forte ma mai quanto la sorpresa di scoprire lì vicino l'esistenza di una piccola abitazione dal tetto spiovente. Conoscevo quei posti come le mie tasche ed ero pronto a giurare che in quel punto preciso non c'era mai stata una casa grande o piccola che fosse. Per fortuna, tranne che per delle contusioni, non avevo niente di rotto e mi alzai dolorante ma tutto intero. Dalla casa uscì un uomo curvo, ingobbito, che per aiutarsi a camminare utilizzava una lunga scure come bastone. Si avvicinò e fissando i miei abiti con occhi che per via delle pesanti rughe erano ridotti a sottili fessure esclamò "Tu devi venire dal dopo! Su entriamo". La piccola abitazione era arredata solo da un lungo tavolo rettangolare, due sedie e un pagliericcio, e gli utensili anche se sparsi sul pavimento sembravano posti secondo un certo ordine. "Il mio compito è quello di dare ospitalità a chi si perde" disse il vecchio "Qui spesso capita gente del prima, sono molto rare le visite di quelli del dopo. Come si vive nel tuo tempo?" "Bene" balbettai, non comprendendo il senso delle sue parole. Il vecchio mi offrì del formaggio e un pezzo di pane su di una ciotola di legno ma, non sentendomi troppo stanco e confuso per mangiare, rifiutai il cibo ed accettai il vino che sorseggiai direttamente da una piccola anfora di terracotta. "Ora va a dormire. Domani non nevicherà" disse indicandomi il misero giaciglio. Mi addormentai subito scivolando in un profondo sonno privo di sogni, in uno stato di quiete che ora rimpiango di aver irrimediabilmente perduto. Doveva essere qualcosa di molto simile al nirvana di cui parlano i buddisti, la pace infinita del nulla assoluto, e non perdonerò mai l'energumeno che mi ha svegliato (lui sostiene dia vermi salvato) di avermi sottratto a quel dolce vuoto. Con le sue mani callose prese a scuotermi finché non mi svegliai, aperti gli occhi, notai subito che la casa e il vecchio erano scomparsi. Mi trovavo sdraiato sulla neve con quel'uomo sopra di me che non faceva altro che chiedermi come stavo e cosa fosse successo, ed io iniziai a raccontare per filo e per segno tutto quello che era accaduto, ed oggi, a distanza di anni, non faccio che ripetere lo stesso racconto. Adesso sono stanco e vorrei ritrovare la dimensione magica di quel sonno interrotto tempo addietro ma anche qui in questa stanza dalle pareti bianche e morbide come neve appena caduta non mi vogliono lasciare in pace; più volte al giorno entra un uomo in camice bianco che vuole che ricominci daccapo a racconto.

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 Ins. 17-01-2004