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               Neve
               appena caduta Racconterò
               per l'ennesima volta come si sono svolti realmente i
               fatti anche se questi non sembrano avere nulla a che
               fare con la realtà. A memoria d'uomo era stato
               l'inverso più rigido che si fosse mai
               registrato nell'intera regione; per giorni
               incessantemente aveva nevicato con una tale abbondanza
               da rendere impraticabili le vie principali
               interrompendo così ogni collegamento con i
               paesi vicini. In seguito ci fu riferito che dalla
               valle era addirittura impossibile distinguere il
               nostro paesello abbarbicato sulla cima dei monti dal
               resto del paesaggio; la neve aveva coperto tutto
               trasformando l'orizzonte in una vasta distesa bianca.
               La taverna del Cacciatore era l'unico posto dove non
               si pativa il freddo e fu lì che la vidi. In
               piedi davanti al bancone stringeva con entrambe le
               mani una tazza fumante e prima di avvicinarla alle
               labbra per sorseggiare la bevanda contenuta, soffiava
               sul fumo stringendo la bocca a forma di cuore. I suoi
               lineamenti erano chiari e delicati come neve appena
               caduta. Bella, distante e pericolosa come una rupe
               sembrava volermi chiamare a sé. In un piccolo
               centro dove tutti gli abitanti si conoscono fin dalla
               nascita un forestiero non solo si nota subito ma desta
               una sorta di diffidente curiosità e quella
               donna avvolta da un mantello di pelliccia bianca
               emanava un misterioso magnetismo tanto da sentirmene
               attratto come una falena dalla luce. Messa da parte la
               mia inguaribile timidezza mi avvicinai e le dissi
               È un tempo da lupi!" pentendomi subito per la
               banalità della frase. Lei mi sorrise dolcemente
               e poi rivolgendo lo sguardo verso la finestra disse
               "Il laghetto sicuramente si sarà gelato, deve
               essere bellissimo. Vorrei vederlo". La donna con una
               pausa studiata aspettò che le sue parole
               facessero presa su di me lasciandole aleggiare come
               docili aquiloni spinti dal vento. Chiunque, anche uno
               un po' imbranato come me avrebbe colto in quel
               discorso apparentemente casuale un invito e subito mi
               offrii di accompagnarlo. Una volta rimasti da soli
               cercai di soddisfare la mia curiosità
               domandandogli come fosse riuscita a raggiungere il
               nostro paese in quei giorni di bufera. "Sono scesa
               dall'alto!" rispose con un tono tanto severo da
               ammutolirmi e così, in silenzio, ci
               incamminammo verso il laghetto. Durante il tragitto,
               senza farmi vedere, osservavo con rapidi movimenti
               degli occhi il profilo imbronciato della donna;
               sembrava preoccupata come se dovesse affrontare un
               lungo viaggio e non una, se pur difficile, passeggiata
               nei boschi nelle prime ore di un pomeriggio di sole.
               Quando passava vicino ad un albero o a qualunque altra
               cosa che interrompesse con una variazione cromatica il
               candido paesaggio nevoso sembrava che questi colori,
               deformati come da una lente, gli attraversassero le
               guance come fossero trasparenti: il suo volto sembrava
               fatto di finissimo cristallo. Riprese a nevicare e la
               neve appena caduta era così soffice che rendeva
               più faticosa la marcia, ma quella misteriosa
               donna continuava imperturbabile a camminare verso la
               sua meta senza mostrare alcun segno di stanchezza.
               Qualche volta si allontanava di alcuni metri dal
               sentiero per fermarsi a gesticolare senza parlare in
               direzione degli alberi e fu in occasione di una di
               queste brevi deviazioni che mi accorsi che i suoi
               piedi non affondavano nel delicato tappeto di neve. Mi
               voltai per osservare il tratto di bosco che fino ad
               allora avevano percorso notando subito che dal candore
               della neve spiccavano i segni scuri di una sola fila
               di orme: le mie. Prima non avevo dato troppo peso
               all'apparente trasparenza del suo volto attribuendo
               quel curioso fenomeno ai bizzarri scherzi della
               rifrazione che si possono verificare in presenza di
               neve e di ghiaccio, ma come potevo ignorare o spiegare
               l'assenza di impronte? Il primo impulso fu quello di
               scappare a gambe levate allontanandomi il più
               presto possibile da quella creatura ma la paura mi
               paralizzava, poi riflettendo mi convinsi che se
               l'avessi accompagnata fino al laghetto, che orami
               distava poche centinaia di metri, mantenendo
               così il mio impegno, lei mi avrebbe lasciato
               andare via senza farmi del male. E così feci.
               Il lago ghiacciato sembrava un disco d'argento su cui
               i riflessi della luce del sole verticalizzandosi
               formavano una colonna di una luminosità
               accecante. Quel fascio di luce si alzava maestoso fino
               al cielo fondendosi con le poche nuvole che gonfie e
               dense si stavano dilatando fino a raggiungere in un
               ampio abbraccio la terra. "Va via, non perdere tempo,
               i lupi hanno sentito la tua presenza!" mi disse prima
               di immergersi in quella colonna di luce, scomparendo
               così dalla mia vista. "Lupi?! Non ci sono lupi
               in questa regione, l'ultimo è stato ucciso un
               secolo fa!" dissi ad alta voce, rivolto più a
               me stesso per incoraggiarmi che alla donna, ormai
               svanita come un fiocco di neve caduto su di una cima
               innevata. Non feci in tempo a concludere la frase che
               si alzarono inequivocabili degli ululati minacciosi.
               Stentavo a crederci, non c'erano lupi in questa
               regione, ed anche se ci fossero stati non avrebbero
               mai attaccato un uomo di giorno, ma avevo assistito a
               troppe cose inspiegabili per fidarmi della ragione e
               così scappai. Corsi a rotta di collo lungo lo
               stretto sentiero rischiando più volte di
               scivolare e finire rovinosamente contro i rami bassi
               degli alberi, e correndo ripetevo nella mia mente,
               come facevo da bambino prima di addormentarmi, una
               vecchia filastrocca che si recitava per tenere lontano
               l'uomo nero. I miei più terribili incubi
               infantili stavano prendendo forma nella realtà
               ed io mi opponevo ad essi difendendomi con le stesse
               armi puerili che usavo da bambino. Durante la fuga,
               preso da una paura indicibile, misi un piede in fallo
               ed iniziai a rotolare sulla neve una, dieci, cento
               volte. pensavo che non mi sarei mai più fermato
               ed avrei continuato a girare come una biglia impazzita
               per sempre quando una staccionata di legno
               arrestò quel mio vorticoso moto. L'urto contro
               i paletti fu forte ma mai quanto la sorpresa  di
               scoprire lì vicino l'esistenza di una piccola
               abitazione dal tetto spiovente. Conoscevo quei posti
               come le mie tasche ed ero pronto a giurare che in quel
               punto preciso non c'era mai stata una casa grande o
               piccola che fosse. Per fortuna, tranne che per delle
               contusioni, non avevo niente di rotto e mi alzai
               dolorante ma tutto intero. Dalla casa uscì un
               uomo curvo, ingobbito, che per aiutarsi a camminare
               utilizzava una lunga scure come bastone. Si
               avvicinò e fissando i miei abiti con occhi che
               per via delle pesanti rughe erano ridotti a sottili
               fessure esclamò "Tu devi venire dal dopo! Su
               entriamo". La piccola abitazione era arredata solo da
               un lungo tavolo rettangolare, due sedie e un
               pagliericcio, e gli utensili anche se sparsi sul
               pavimento sembravano posti secondo un certo ordine.
               "Il mio compito è quello di dare
               ospitalità a chi si perde" disse il vecchio
               "Qui spesso capita gente del prima, sono molto rare le
               visite di quelli del dopo. Come si vive nel tuo
               tempo?" "Bene" balbettai, non comprendendo il senso
               delle sue parole. Il vecchio mi offrì del
               formaggio e un pezzo di pane su di una ciotola di
               legno ma, non sentendomi troppo stanco e confuso per
               mangiare, rifiutai il cibo ed accettai il vino che
               sorseggiai direttamente da una piccola anfora di
               terracotta. "Ora va a dormire. Domani non
               nevicherà" disse indicandomi il misero
               giaciglio. Mi addormentai subito scivolando in un
               profondo sonno privo di sogni, in uno stato di quiete
               che ora rimpiango di aver irrimediabilmente perduto.
               Doveva essere qualcosa di molto simile al nirvana di
               cui parlano i buddisti, la pace infinita del nulla
               assoluto, e non perdonerò mai l'energumeno che
               mi ha svegliato (lui sostiene dia vermi salvato) di
               avermi sottratto a quel dolce vuoto. Con le sue mani
               callose prese a scuotermi finché non mi
               svegliai, aperti gli occhi, notai subito che la casa e
               il vecchio erano scomparsi. Mi trovavo sdraiato sulla
               neve con quel'uomo sopra di me che non faceva altro
               che chiedermi come stavo e cosa fosse successo, ed io
               iniziai a raccontare per filo e per segno tutto quello
               che era accaduto, ed oggi, a distanza di anni, non
               faccio che ripetere lo stesso racconto. Adesso sono
               stanco e vorrei ritrovare la dimensione magica di quel
               sonno interrotto tempo addietro ma anche qui in questa
               stanza dalle pareti bianche e morbide come neve appena
               caduta non mi vogliono lasciare in pace; più
               volte al giorno entra un uomo in camice bianco che
               vuole che ricominci daccapo a racconto. |