LA PIÚ GRANDE
ANTOLOGIA VIRTUALE
DELLA POESIA ITALIANA

Poeti contemporanei affermati, emergenti ed esordienti
Giampaolo Merciai
Ha pubblicato il libro

Giampaolo Merciai - Una stanza con quarantaquattro finestre




 

 

 

 

Collana Le schegge d'oro (i libri dei premi)

14x20,5 - pp. 64 - Euro 9,00

ISBN 88-8356-896-6


Pubblicazione realizzata con il contributo de

IL CLUB degli autori in quanto l'autore con la poesia «K102403 » si è classificato 1° nel concorso letterario «Poeti dell'Adda» 2004

Prefazione
Poesie


Prefazione
La vita è una continua corsa nel "vuoto del tempo" e gli eventi "nascosti dietro l'angolo" sono sempre portatori di sorprese che possono far gioire o procurare rimpianti che conducono la mente in labirinti dai quali è difficile trovare una via d'uscita: il nostro percorso è un tappeto di sogni/scritti e cancellati dal tempo, è un cammino costellato da incomprensioni, speranze perdute e ferite non ancora rimarginate. Tra le nebbie esistenziali si fatica ad assaporare il gusto della vita e Dio viene crocifisso ogni giorno in un silenzio sofferente, in una cupa indifferenza di individui ormai involucri senz'anima, scheletri d'uomini, maschere con la paura negli occhi.
Un senso d'inquietudine cala tutt'intorno e una sommessa rassegnazione alle sofferenze che la vita porta con sé s'impadronisce della mente e capita che le ombre funeste scendano sui giorni, che il cielo non abbia più colore e l'Uomo si trovi a seguire la direzione che porta inesorabilmente a binari morti.
La poesia di Giampaolo Merciai ha come presupposto quello di recuperare una sequenza di ricordi che si sommano e si plasmano: l'intenzione è di rivivere un simbolico tuffo nei ricordi, un viaggio nel giardino segreto del tempo, per non dimenticare, per non lasciarsi impossessare dall'oblìo d'una vita senza più entusiasmo. E i ricordi si fanno intensi, a volte struggenti, come nella lirica Millenoventoquarantacinque: Nella piazza c'era una vecchia casa. Nella casa una donna piangeva. Un bambino camminava senza scarpe... Nella piazza c'era un giardino. Un giardino senza bambini. Gli alberi non avevano foglie... Il pane era sempre più duro... Erano tutti morti in guerra... e poi ancora, il suo sguardo, sempre acuto e critico, si rivolge al mondo odierno con le sue contraddizioni, le distorsioni e le vergogne: un presente soffocato dall'immoralità e da velenose complicità dove ormai la dignità è in vendita al miglior offerente Soldi, sesso e potere/l'uomo è una bestia/con il cuore/nascosto da persiane di piombo... ormai l'uomo cammina in un manicomio/di cemento senza porte e gli occhi straziati del poeta non vogliono più vedere un simile spettacolo che porta con sé grida di morte, sangue d'innocenti, e flagelli che si abbattono su questa povera terra. E quegli stessi occhi, smarriti e dispersi tra cumuli di falsità e sentimenti sepolti, vorrebbero diventare gli occhi d'un semplice mendicante di pace.
Giampaolo Merciai non vuole dimenticare il passato, chi è stato e quello che ha compiuto nelle stagioni del suo viaggio: ha visto nascere le parole, il vento portarle via, la polvere sedimentarsi con i desideri e ora, davanti ad un virtuale specchio del tempo, vuole riportare alla luce i frammenti esistenziali, gli spiragli di memoria, le schegge di pensiero, i ricordi celati nelle zone più profonde del proprio animo.
Il cammino è sempre faticoso e irto di insidie, spesso il dolce si fa amaro, l'estasi diventa tormento, eppure tutto si consuma come in un lento dissolvimento, in una dispersione in pulviscolo di tutto ciò che è stato: il timore è di ritrovarsi in prossimità della mèta ormai logorati dagli anni, custodi dell'ultima solitudine e senza più tempo a nostra disposizione per poter cambiare le cose, pronti solo per essere portati via.
Infine emerge il dilemma esistere o essere fantasmi in un sogno?
La volontà di Giampaolo Merciai è sicuramente quella di attraversare le pagine della vita ancora per molto tempo e ricercare quella scintilla vitale che possa donare agli occhi una nuova meraviglia, per non lasciarsi consumare dall'indifferenza: andare oltre le pietre della memoria, le ombre del passato, i graffi della vita, le voci dissolte nel tempo, gli incanti infranti, i sogni incagliati nelle proprie origini, per farsi catturare dalla gioia di vivere, dal desiderio di amare ancora, affidandosi al soffio dell'inevitabile disegno riservato ad ognuno di noi.
Come una barca a vela navigare nella vita, tra girotondi d'emozioni fino all'approdo nell'ultimo porto dove poter ancora raccontare, sorridere e non stancarsi mai d'essere Uomo.
 

Massimo Barile


Una stanza con quarantaquattro finestre
I figli
sono pezzi di stelle cadute dal cielo...
 
a Michele, Alessia e Francesca
 
 

Parte Prima
 
"Niente sarà dimenticato!"
 
 
 
 
 
Senti la tristezza
del ramo che si secca
del pianeta che si spegne
dell'animale infermo
ma innanzitutto la tristezza dell'uomo.
 
(Nazim Hikmet)
 
 

 
 
NON ERANO STELLE
 
 
È caduta una stella nel mare,
inondando.
 
È caduta una stella nel prato,
distruggendo.
 
È caduta una stella nel deserto,
violentando.
 
È caduta una stella nel monte,
devastando.
 
È caduta una stella nel villaggio,
uccidendo.
 
Non erano stelle
ma sputi di aeroplano!

 
 
K102403
 
 
Mi tuffo nei ricordi
e brucio semi di tempo.
Fuggo disperata dalla luce nera
di notti insonni
dove strade d'ombre
sembrano non finire.
Ti vedo ancora su quella panca
dove posasti i tuoi stracci
sotto gli occhi di uniformi criminali.
Il burattinaio sterminatore
abbassò il sipario
sul tuo torbido destino.
 
Madre, dov'è quel tuo bel seno
che mi nutriva da bambina?
Dove sono i tuoi occhi
che sapevano parlare agli uomini?
Il tuo petto è piatto come un lago,
le tue pupille, mute senza più parole.
Le tue ossa, sporgono
come un rumore nella notte,
il tuo cuore, è diventato uno specchio rotto,
un libro strappato,
una grotta nuda nel deserto del Sinai.
Lacerante è il tempo!
 
Una mattina di dicembre
ti facesti trasparente.
Sulla neve bianca che nascondeva la vita
la tua quercia liberò le ultime foglie;
lontana dalla tua terra
abbracciasti una nuvola.
Il vento restò paralizzato, il cielo
non pianse sangue.
Il tuo nome
rimarrà impresso per sempre
in quel cielo grigio come la tua cenere:
K102403, cielo di Auschwitz!

 
 
MILLENOVECENTOQUARANTACINQUE
 
 
Nella piazza c'era una vecchia casa.
Nella casa piangeva una donna.
Un bambino camminava senza scarpe.
Il pane era secco.
Il formaggio odorava di sughero.
Non c'erano quadri alle pareti.
 
Dietro la piazza c'era un fiume.
Nel fiume correva l'acqua.
Nell'acqua non c'erano pesci.
Erano tutti morti in guerra.
L'inverno era triste.
Il sole tramontava verso nessun luogo.
 
Nella piazza c'era un giardino.
Un giardino senza bambini.
La panchine erano vuote.
Gli alberi non avevano foglie.
Le scuole insegnavano il silenzio.
I maestri erano ciechi.
 
Nella piazza c'era un ponte.
Un ponte senza carrozze.
La carrozze erano senza cavalli.
Li aveva tutti mangiati la guerra.
Non fischiava il treno.
Le finestre erano chiuse.
 
Nella piazza c'era un mercato.
Nel mercato volavano pesci rossi.
I gatti saltavano a vuoto.
Nelle tasche non c'erano monete.
Il pane era sempre più duro.
La tavola era sempre più vuota.
 
Arrivarono soldati stanchi.
Bussarono alle porte delle case.
Di cioccolato avevano la pelle.
Di pane colme le bisacce.
Cantava la donna nella vecchia casa.
Il bambino correva con le scarpe.
 
Nel fiume nuotavano i pesci.
Nel giardino giocavano i bambini.
Sul ponte correvano le carrozze.
Nel mercato i gatti saltavano.
Nella vecchia casa l'uomo tornava la sera.
Finita era la guerra!

 
 
NEI GIARDINI DEL TEMPO
 
 
Nei giardini del tempo
la luce si fa scura,
l'Amore più non legge.
Il cielo non ha colore
nella nebbia, l'uomo,
corre su binari di treni morti.
L'onesto sudore della fronte
non porta denari alla sua banca,
nessuna traccia di palpiti,
i cuori, sono caverne vuote.
 
Bambini accartocciati
nelle miniere,
senza più mani né occhi,
muoiono dentro
prima di conoscere il sapore della vita.
Schiave di colore
e schiave dalla pelle chiara
come la luna dell'est
puliscono marciapiedi
con le loro scarpe bucate.
Polvere bianca
che non è farina
brucia le valvole
di ragazzi contaminati
da uomini spazzatura.
 
Dio viene crocifisso ogni giorno
nelle cantine dei grattacieli,
negli occhi infossati della paura,
nel buio di abiti da sera
che vestono scheletri
dalle ossa di diamante.
 


 
 
LA FAME NEL MONDO
 
 
Se la fame
si nutrisse di parole
questo mondo
sarebbe più che sazio.
 
Anche la parte buia della luna
vede e soffre in silenzio!


 
 
 
IN UN CAMPO DI GRANO
 
 
In un campo di grano
un uomo
mi ha venduto un cavolo.
Il cavolo
veniva dall'est.
Aveva due piedi e due mani,
due occhi gialli per la fame
e parlava da solo.
 
Luna bastarda!
Perché non hai spento la tua luce?
Perché non hai bruciato quel grano?
Perché sei stata complice del mercato?
 
Nella nebbia inesorabile
di un traffico immorale
sordo
è stato l'urlo della tempesta.
L'uomo, ha nascosto i suoi denari
e chiuso il baule rimasto vuoto,
se n'è andato.
Se n'è andato verso est...
 


 
 
LA STAZIONE
 
 
Vecchio,
non dovevi smettere di respirare!
 
È deprimente,
davanti al tuo corpo ancora caldo,
vedere figli e parenti
trasformati dalla voglia di denaro.
Pronti,
a vendersi quella dignità
nascosta in una tasca vuota.
 
Se tu fossi partito
senza lasciare bagagli,
la stazione,
non avrebbe avuto bisogno
di avvocati.


 
IL BHUDDA DI GIADA
 
 
Accadde là, nel caos di Shanghai.
 
Dove sotto il sole d'oriente
milioni di esseri umani respirano
e come formiche in un formicaio, si inseguono.
Dove venditori all'aperto
non si vergognano dei loro negozi sporchi
che odorano di zolfo e di petrolio.
Dove grattacieli di cristallo
oscurano la vecchia Cina dalle case di cartone
zeppe di promiscuità senza regole.
 
Accadde là, nel caos di Shanghai.
 
Dove il contrasto fra oriente e occidente
va scomparendo
e resterà solo nelle cartoline di un tempo.
Dove ricchezza infinita e povertà infinita
si confrontano ogni giorno
nello specchio di finestre arrugginite.
Dove giovanette senza età
si prostituiscono negli alberghi di lusso
in cambio di una manciata di dollari.
 
Accadde là, nel caos di Shanghai,
nel tempio della pace.
 
Fra monaci rapati e pellegrini genuflessi,
fra bracieri di incenso e preghiere di vetro
mi venne incontro il Bhudda di Giada,
immagine di un Dio che piangeva.
Il volto, luce di miele,
la veste, candida come la luna
e occhi neri di calamita
che parlavano di dolore.
Bello, dolce, immobile, impotente!
 

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Ins. 04-07-2005