LA PIÚ GRANDE
ANTOLOGIA VIRTUALE
DELLA POESIA ITALIANA

Poeti contemporanei affermati, emergenti ed esordienti
Eugenio Magri

Eugenio Magri è nato il 31 gennaio 1932 a Pieve di Cento (BO), dove attualmente risiede.
Laureato a Bologna in Medicina e Chirurgia, nel 1967 conseguiva la specializzazione in Anestesia e Rianimazione e sei anni dopo diventava Primario dell'omonimo servizio all'Ospedale di Cento. Ad interim, dal 1982 è stato per due anni Direttore sanitario e per sette anni Responsabile delle Medicina del territorio della sua U.S.L..
Nel quinquennio 1970-1975 è stato Sindaco di Pieve di Cento e poi, per dieci anni, Capogruppo della Minoranza consigliare.
È sposato, ha tre figli e due nipotini.
Ha vinto alcuni premi letterari e si è distinto in numerosi altri. Nell'aprile del 1996 ha pubblicato la raccolta di poesie "...e il suo respiro diventa un canto".
 
 
Clicca qui per leggere la poesia inserita nell'antologia Il Giunco 1998
Bufera
 
È sera ed alberi scarmigliati
si esibiscono
ad un lubrico vento di tramontana,
tiepido, insistente, turgido di pioggia.
Folate improvvise si abbattono sui rami,
tesi e vibranti
dinanzi a così tenera violenza.
Ma la furia vince la tenerezza
e molte fronde,
in silenzio, docili si schiantano
e nella loro cedevolezza le penso felici
di fronte all'ardente carica
dei venti occidentali traboccanti umidore.
 
È notte e decido di coricarmi.
Irrequieto sotto le lenzuola,
ascolto i pettegolezzi del vento
mille volte amplificati
da fronde, tralci e foglie in tumulto.
Di tanto in tanto, una raffica
porta mille rami
a strisciare smaniosi
sulla grondaia
ed un frastuono stridente
vibra nel buio sul mio letto
e penso
a figure vezzose
coi corpi fasciati da veli
adesi pe'l vento.
Un sonno stentato mi coglie:
e la bufera sembra allontanarsi e perire.

 
Quando la notte muore
 
Mentre a levante illividisce il cielo
dove le stelle son svelte a languire
e dove al tripudio il sole s'appresta,
fisso la nebbia che ondeggia strisciando,
che pigra e impacciata pare acquattarsi
certa di morte al bagliore del giorno.
Lontano riecheggia il canto di un gallo
e sembra avvertirmi che ciò che inizia
non è che la fine.
 
Se un augure etrusco fossi stamane
per leggere in terra auspici ed in cielo,
ecco che annunciare a tutti vorrei
giorni felici e terreni ubertosi
dove protrarre si possa la vita
senza l'assillo di ciò che verrà.
Un peso m'opprime, tetro, improvviso
perché i presagi che reggono il mondo
annunciano morte.
 
Fuggo dall'alba che il cielo intristisce,
dal gallo che canta effimera gioia,
dal sole che scalda poi se ne va.
S'io fossi nebbia pronta a dissolversi
sapendo che questo è il mio destino
mi poserei su tutto e su tutti
per inglobare in un ultimo abbraccio
ciò che la vita ha donato di bello
e fondermi ad esso.
 

Il matronimico
 
Oggi, 13 giugno 2097, si festeggia un giorno indimenticabile, una ricorrenza che solo una nazione civilissima può inserire nei calendari e disporre che nelle scuole e nei pubblici uffici si faccia vacanza. Esattamente cento anni fa, in data 13 giugno 1997, quasi si volesse chiudere in bellezza un secolo orrendo per le brutture avvenute a tutti i livelli ed in tutti i campi (dalla cultura all'economia, dalla politica in senso lato alla gestione pratica delle pubbliche amministrazioni), veniva introdotto in Italia, dopo un paio di millenni di barbarie, il matronimico.
Scorrendo i giornali ingialliti (e deliziosamente odorosi di muffa) di quel lontano periodo, ho avuto modo di seguire le polemiche, astiose e talora offensive, i richiami storici, i confronti etnici che, poi, portarono il governo del tempo a varare la legge che sopprimeva, a favore dei figli che sarebbero nati, il cognome paterno instaurando il matronimico che molti - l'ignoranza, nel secolo scorso, era veramente incommensurabile - scambiarono per uno strumento più perfezionato atto a scandire il tempo nello studio della musica.
Ma, per grazia di Dio, si trattava di ben altro! La Camera dei Deputati ed il Senato (cent'anni fa, figuratevi, esistevano deputati e senatori!) approvarono definitivamente una legge di riforma in seconda e tardiva stesura, la N. 1358 del 13 giugno 1997 ma più nota al volgo come "Ritorno alle origini", in base alla quale fu appunto disposto che i figli nascituri avrebbero dovuto assumere il cognome della madre. Le polemiche del tempo furono ferocissime, aspre, anche ingiuste: molti avevano asserito che il desiderio di progresso aveva fatto compiere alla nostra società un passo falso tornando alle abitudini - sembra - del periodo pre e proto-storico e tutto ciò per compiacere le violenze verbali e le costruzioni teoriche proprie del furibondo vetero-femminismo del ventesimo secolo.
Le polemiche durarono circa un decennio, finché la seconda versione (appunto la n. 1358) temperò la legge precedente: i nascituri avrebbero potuto assumere sia il cognome materno che quello paterno: coloro che erano nati prima del 13 giugno 1997 e portatori (pensate!) del solo patronimico e coloro che, nascendo, avevano aperto gli occhi sui tempi nuovi, sulla modernità, sulla civiltà e che pertanto erano portatori del cognome della madre potevano scegliere se tenersi il patronimico o il matronimico oppure decidere di unire, di seguito al loro nome di battesimo, il cognome materno e paterno.
Io che ero nato il 31 gennaio 2032 e che avevo optato per il doppio cognome - comportandomi diversamente mi pareva di offendere la memoria dei miei genitori - assunsi il nome di Adriano Cherubini Dallapiccola. Nel 2063 sposai la signorina Maria Michelangeli Battaglini e dalla felicissima unione nacque Michelino Cherubini Dallapiccola Michelangeli Battaglini, il quale, crescendo "in grazia e sapienza", ebbe modo di invaghirsi follemente di una bellissima fanciulla dal nome carinissimo di Marina Ottaviani Giorgini Interlenghi Marianetti. Non a caso, felicemente, i genitori di Marina avevano pure optato per la novità e la modernità.
Michelino e Marina si sposarono e vissero in armonia dieci anni di vita coniugale non allietata dalla nascita di figli e questo fu per me un dispiacere davvero grande ma che evitai sempre di manifestare apertamente ai due sposini. Che peccato! Il giorno del matrimonio sognavo ad occhi aperti di cullare almeno un nipotino, un maschietto bello, vispo, sano che fosse aperto, col tempo, alle novità ed alla modernità come si conviene ad un vero uomo, ad un maschiaccio alto, forte e scattante. Eh sì, che peccato, che dispiacere non poter vedere il suo pisellino d'oro, le sue palline magiche e, col passar degli anni, il petto villoso, i baffi, la sua barba... Che dispiacere, davvero!
Mi rassegnai e con me mia moglie che, a sua volta, mi confessò che si sarebbe divertita come ad uno spettacolo televisivo a cambiare il pannolino e sostituirlo con uno pulito, agendo con sovrumana leggerezza per non premere troppo sui testicolini e sul delicatissimo pisello. Mia moglie diceva che lo avrebbe chiamato Leonardo come suo nonno e se i genitori avessero rifiutato quel bellissimo nome, ebbene lei lo avrebbe comunque usato come suo nomignolo privato: ad una nonna poteva essere proibita una delicatezza simile? Sperava proprio di no.
Ci rassegnammo all'assenza del nipotino maschio col quale giocare e ridere e correre, come facevamo con Nicolino quando, bambinello, si aggirava insicuro per la casa combinando guai sempre perdonati.
Che guaio veder interrotta la mia progenie ora che la parità fra uomo e donna era stata finalmente raggiunta anche nei cognomi, che dispiacere grande non poter giocherellare e portare a spasso uno sperato Leonardo...
 
Leonardo arrivò dodici anni dopo il matrimonio portando una felicissima confusione fra genitori e nonni: sembravamo tutti impazziti dalla gioia. Quando andammo a denunciarlo allo Stato civile della città, incontrammo altri genitori e nonni felici, per cui la formalità burocratica risultò abbastanza lunga. Finalmente, Leonardo - i genitori avevano accettato volentieri il suggerimento di mia moglie - Cherubini Dallapiccola Michelangeli Battaglini Ottaviani Giorgini Interlenghi Marianetti era cittadino italiano a tutti gli effetti ed anche lui, come gli altri ragazzi, avrebbe portato nel portafoglio una minuscola agenda dove trascrivere i suoi bellissimi nome e cognomi, da consultare per ogni pratica da evadere negli uffici pubblici.
Smaniando dalla felicità, dicevo a mia moglie Maria - e quasi mi veniva meno la voce - che speravo di poter in futuro cullare anche i figli di Leonardo: ma non avevo avuto il coraggio di dirle che avevo già acquistato una bella agenda, non tanto piccola, rilegata in pelle con gli angoli rinforzati in oro, da regalare un giorno al bisnipote per far fronte in modo opportuno a tutte le necessità burocratiche che uno stato moderno impone.
Che cosa meravigliosa il progresso civile, che conquista immensa l'eguaglianza dei sessi e dei cognomi!

 

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Agg. 29-09-2003