Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
Mimì De Palo
Ha pubblicato il libro
Mimì De Palo - Briciole e schegge di vita
 
 
 
 
 
 
 
 
Collana I salici (narrativa) 15x21 - pp. 176 - Euro 13,20 - ISBN 88-8356-373-5
 
 
 

 

Prefazione

Incipit

Prefazione
 
 

"Racconta il tuo villaggio

e sarai universale"

 

L. Tolstoj

 

"La memoria dovrebbe essere

come la campana,

giubilo e rintocco funebre...

fra tanti dubbi

e incertezze,

una certezza l'ho conquistata:

Semplice è bello"

 

M. De Palo

 
Ho scelto quella frase di Mimì De Palo per trovare una chiave di lettura (è proprio il caso di dirlo...) di queste pagine. Perché ad un versante di descrizioni suggestivo incantato intrigante, succedono pagine intrise di sofferenza, di forte disagio esistenziale. E Mimì racconta e narra: racconta quando è al centro della pagina, narra quando si decentra e dà la parola ad altri protagonisti, ad altri personaggi...
Racconta soprattutto l'incantamento, la nostalgia dell'infanzia, quando riesce a 'convocare' un coro familiare suggestivo ed eloquente, quando recupera spazi e luoghi e situazioni che mi hanno riportato alla "mia" infanzia quando, per esempio, "quel" negozio la mia famiglia non sempre se lo poteva permettere...E Mimì narra e sembra dare la parola ad una serie di personaggi di oggi e di ieri, magari rubati ad alcune pagine del Vangelo..., e li immerge in un'azione che dà ulteriori opportunità d'azione a personaggi consacrati ad un ruolo, ad un significato, e a cui Mimì offre un'altra dimensione, un altro spessore esistenziale.
Ora, è proprio in queste pagine che si rivela la vena morale e moralistica dell'Autore: morale, quando lascia al lettore di tirare conseguenze e di definire la 'lezione'; moralistica, quando l'urgenza della rappresentazione, la ragione di essa, urgono in una 'regia' che pone sulle labbra dei protagonisti una osservazione, una conclusione, un'espressione in cui si risolve la breve vicenda e si cristallizza la situazione.
Toccherà al lettore, com'è toccato a me, fare le sue scelte, dare preferenze, restare affascinato da una o dall'altra storia: certo è che si rimane spesso colpiti dall'efficacia delle descrizioni, dalla dialettica dei vari personaggi e dal loro contrappunto linguistico e, prim'ancora, psicologico...Si resta intrigati da uno stile letterario che viene da lontano, da studi efficaci e da buone letture, da un vissuto 'pagato' talvolta a caro prezzo, dalla sincera sedimentazione di situazioni necessarie a farci capire da quale 'altezza' esistenziale scendono tante pagine di un libro necessario e positivo. "Quando il tuo cuore sanguina, è difficile essere in sintonia con gli altri...".
Ecco, allora, il punto ove saldare il nostro rapporto attivo con questo libro. Tocca "agli altri", cioè a noi, essere in sintonia con l'Autore, fargli spazio, lasciarlo raccontare: è un prezioso risarcimento a cui ha diritto, perché certi momenti della sua vicenda umana e professionale hanno distillato umori che non devono andare perduti, che non vanno sprecati! Giustamente Vincenzo Cerami osserva che "ad ogni concezione del lavoro (letterario) corrisponde una concezione della realtà. Parlare di come si costruisce un oggetto artistico costringe a parlare anche di come è strutturata la vita degli uomini". E Cerami stava parlando di Cechov.
Allora, buona lettura! Ci sono tanti personaggi di ieri e di oggi che vi attendono. Tocca al lettore scoprirli e riscoprirli grazie alla mediazione letteraria in cui Mimì De Palo li ha recuperati e riproposti. Per il godimento del lettore ben disposto.
 

Marco Vacca

 
 
 
Incipit
 

 

Alla memoria

del professor Ottavio Leccese.

Se questo libro c'è,

è anche merito suo.

 

 

 

 

A Pierfrancesco e Raffaella

e a tutti i bambini

figli di genitori separati.

 

 
 
Mia madre
 
Non era alta ma altera, bruna ma di carnagione chiara, occhi scuri e vivacissimi, sempre in ordine, elegantissima. Ho un vago ricordo di un suo cappello nero ornato di frutti e uccellini. Un'altra donna sarebbe stata ridicola con quel cappello, lei no, era di una raffinata eleganza. Quand'ero bambino me la ricordo affettuosa ma mai tenera, languida, svenevole. Era severa al punto e al momento giusto. Quando era no, era no, senza discussioni e senza cedimenti o ripensamenti e, se ci voleva uno scapaccione o uno schiaffo, lo mollava volentieri salvo poi accarezzarti e farti capire che avevi sbagliato. Il bastone e la carota.
Era allegra, quando era serena, e divertente, pronta allo scherzo, alla battuta. Parecchi clienti del negozio di alimentari, che mandava avanti con mio padre, ammettevano di venire al negozio soprattutto per lei, che chiamavano affettuosamente Ninetta, così come per tutti i miei cugini era zia Ninetta, la zia con la quale si poteva scherzare.
Aveva un simpatico difetto: era molto permalosa, di una permalosità non petulante e acida ma divertente. Ricordo che, quando la sera tornava dal negozio con la grande borsa di pelle marrone patchwork piena di cose buone da mangiare, io la sfottevo «Mammà, adesso non fingere di essere stanca, lo sappiamo che non hai fatto niente tutto il giorno tranne che spettegolare con le clienti». Per una, che era stata tutto il giorno in piedi a servire i clienti, sistemare la merce, pulire e rassettare e tornava a casa, stanchissima, con una borsa pesante non era piacevole sentirsi dire quelle cose, sia pure per scherzo. Mia madre era una gran lavoratrice, come tutte le mamme d'altronde, ma lei lo era un po' di più. Badava alla casa, al negozio, ai sei figli e ai loro problemi, alle loro esigenze. Era lei che ci comprava i vestiti, ci comprava i libri per la scuola. Era la matriarca di casa, dinamica, risoluta e al tempo stesso dolce e comprensiva.
Era ovvio che reagisse, col risentimento impostole dalla sua permalosità «Ah sì? Perché non vieni tu a sfacchinare al negozio invece di startene qui a fare il signorino: voglio questo, desidero quest'altro» e lo diceva con una divertente mimica del volto e con gesti spassosi da commediante. Le piaceva giocare a scopa, era l'unico gioco che conoscesse con le carte. Era molto fortunata e, quando perdeva, barava perché non le piaceva perdere.
Era sufficientemente religiosa e quando, stanca e mezza addormentata per la lunga giornata di lavoro, recitava il rosario in latino rispondeva «ora pro nobìs» ponendo l'accento sulla i come se chiedesse il bis a teatro. Le piaceva far regali che tirava fuori dal suo sancta sanctorum 'u stepone' che era poi il suo armadio, parte integrante del mobilio della sua camera da letto realizzata da un 'mestedasce' (maestro d'ascia) all'epoca del matrimonio e che non aveva mai voluto cambiare. Durante l'infanzia la sera della vigilia dell'Epifania ci diceva «Ragazzi, adesso è tardi, andate a letto». Noi capivamo che doveva arrivare la Befana, la quale è arrivata fino ai nostri vent'anni. Busta con denaro e raccomandazioni varie. Ci è mancata la Befana, quando non è più venuta.
Grande risparmiatrice e grande fiuto per gli affari. Quei pochi beni immobili di famiglia furono tutti acquistati da lei. Comprò un giardino che divenne area fabbricabile. Finanziò i miei primi acquisti di mobili antichi assecondando quella mia passione e i miei primi viaggi di studio in Inghilterra. Da lei ho preso sia il senso dell'umorismo e dell'ironia sia il fiuto per gli affari. Vendetti a mio fratello Nino la mia collezione di monete e francobolli e, quando finì di pagarmela a rate, si fidanzò e cominciò a pensare ad altro. Io, affinché la collezione non restasse trascurata ed aggiornata, la rivendetti ad un amico. È rimasto l'unico grande affare della mia vita.
Era una gran cuoca. Il suo squisito e delicato sugo con le acciughe che preparava la sera della vigilia dell'Immacolata, di Natale e di Capodanno è una prelibatezza di alta culinaria. Anch'io, in un certo periodo della mia vita, ho coltivato l'hobby della cucina ma non ho raggiunto le sue vette. Ho superato mia madre solo nel fiuto degli affari come dimostra ampiamente la storia della collezione di francobolli. Col passare degli anni perse il suo cipiglio anche nei momenti in cui aveva tutte le ragioni per essere arrabbiata. Aveva smussato tutti gli angoli del suo carattere forte e deciso e non teneva più 'il muso', come era solita fare, nel caso di contrasti o dopo diverbi con qualcuno. Era divenuta dolce e paziente senza scivolare mai nel mellifluo. La vecchiaia aveva cancellato i silenzi gelidi, totali ed implacabili nei quali perseverava, quando era arrabbiata con te, e che ti facevano sentire il peso della sua muta disapprovazione.
Era bella e simpatica anche da vecchia. Sopportava serenamente i suoi mille acciacchi, che combatteva con pillole e sciroppi che scandivano, a brevi intervalli, la sua giornata. L'abbassamento di un rene avvenuto in gioventù la faceva soffrire molto, ma ha tenuto duro fino alla fine. «Mimì, me sente tutta chiene de delore» (mi sento tutta piena di dolori) mi diceva ed io «Mammà, li ho anch'io i dolori, bisogna imparare a convivere con questi compagni indesiderati e non graditi». Non aveva perso l'innata eleganza anche nel portamento. Non l'abbiamo vista camminare faticosamente poggiandosi ad un bastone, non l'abbiamo vista incurvarsi nonostante l'artrosi e i reumatismi. Lucida e autosufficiente fino alla fine.
Pregava affinché non arrivasse una lunga malattia, come era successo per mio padre. Il suo pensiero fisso, che era anche la sua speranza, consisteva nel non voler morire lentamente 'per non dare fastidio ai figli'. Era un atto estremo di amore e rispetto per tutti i suoi figli. Lassù qualcuno accolse la sua supplica. Una mattina si alzò dal letto, recitò le sue preghiere dopo aver disposto dinanzi a sé le immaginette di tutti i principali Santi del Paradiso, si preparò il caffè, si sentì male, fu portata all'ospedale, morì la notte stessa, come aveva desiderato.
Sul letto di morte, il suo viso aveva un'espressione serena. Pareva che dormisse e non dimostrava i suoi ottantotto anni. Era elegantissima col suo bel vestito e le scarpe che aveva preparato da tempo e che aggiornava, di tanto in tanto, per tenersi al passo con la moda. Si è allontanata in punta di piedi e senza far rumore, per non disturbare. È morta elegante e con eleganza, come aveva vissuto. Mi vengono in mente alcune parole della nenia-ninnananna ch'ella cantava ai miei fratelli più piccoli per farli addormentare «U lupe s'è mangiate la picurella». Era avvenuto esattamente così. La morte, ovvero 'u lupe', aveva mangiato una linda, stanca, dolce ma indomita pecorella.
 
 
Scolaro, alunno, studente
 
L'asilo e le elementari le ho frequentate dalle monache vincenziane al 'Carmine'. Suor Pollina era la dolce suora dell'asilo. Virginea, angelica, dolce, materna. Suonava il piano e c'insegnava una canzoncina, che ancora ricordo. «Quel galletto che cantava, una voce che innamorava...». Era un piacere vedere quelle suorine, che il loro strano copricapo, faceva assomigliare a colombe. Quel copricapo è assurto a simbolo di suora in generale. L'abito faceva la monaca. Le vincenziane erano gli angeli degli ospedali, nella realtà e soprattutto nei film.
Suor Pollina aveva una collaboratrice laica, piccolina, sorridente e gentile. Minuscola com'era, quando si presentava, strappava un sorrisetto anche alla persona più contegnosa. «Piacere, signorina Gigante». Si chiamava Gigante ed era Pollicino. Non era consentito ironizzare sul suo cognome. Da gentile diveniva tagliente, quasi cattiva.
La capisco. Anch'io, tutt'ora, quando dico che sono nato a Bitonto e sono bitontino, sento immancabilmente esclamare: «Ah, bis tonto». Una, cento, mille, centomila volte. Se sono di malumore, reagisco anch'io in maniera spropositata e incomprensibile per l'interlocutore. Non sa d'essere stato preceduto da un fiume di geniali battutari. È un'ossessione che mi rende solidale con la signorina Gigante.
Le eteree suorine erano parecchio venali. Si era nell'immediato dopoguerra ma questo non le giustificava. Ci vendevano, per una, cinque, dieci lire, un cartoccio di farina lattea, che consumavamo immergendovi la lingua. Era un dono degli americani. Faceva parte del Piano Marshall e loro ne approfittavano. Ci vendevano pure bastoncini con puntine di sale, che gli americani già usavano per accompagnare l'aperitivo. Ebbero in dono anche un piccolo proiettore e, per trenta lire, ci facevano vedere filmetti da 6 mm. di cartoni animati, che s'interrompevano ogni tre minuti. Gli esclusi, quelli che non potevano permettersi neppure quelle modeste cifre, singhiozzavano inconsolabilmente.
Con Piero, Pippo, Paolo, Mario ho frequentato il Carmine e siamo rimasti amici per tutta la vita. Mario era tanto prepotente e litigioso all'asilo quanto mite e conciliante è da adulto. All'ultimo anno dell'asilo, Gaetano, figlio del medico condotto del paese, ci mise in testa che avremmo dovuto ribellarci alla ferrea disciplina e al regime delle bacchettate. La dolce suor Pollina ci voleva rigidamente attenti alle sue parole, nei nostri grembiuli bianchi, seduti ai nostri tavolini celesti. La protesta doveva manifestarsi inserendo, a nostro piacimento, un momento di ricreazione fuori programma. Per essere più trasgressivi, scegliemmo il momento della recita del rosario, che per noi bambini era un supplizio quotidiano.
Improvvisamente sei di noi, ad un segnale di Gaetano, ci alzammo e ci mettemmo a giocare: facevamo finta di duellare. La suora inorridita e gli altri bambini a bocca aperta. Fu uno scandalo in tutto il paese. Si occuparono i nostri rispettivi genitori di farci passare quelle strane idee di piccoli contestatori. Non ci permisero d'essere fieri di quella mattezza ma tutti ci guardavano male, facendocene vergognare.
Passai alle elementari. Grembiule nero e colletto bianco. Vi trovai una laica, un'acciuga brutta e acida. Il crocifisso di ottone che le pendeva da un cordone allacciato alla vita non riusciva ad ingentilire il suo tristo aspetto. Quella specie di camice azzurro a righe, che indossava, l'assomigliava ad una kapò dei lager nazisti. Non conosceva il perdono. Pareva che godesse a punire e il suo righello nero da mezzo metro serviva solo a bacchettare le palme delle nostre mani obbligatoriamente tese.
Sarà stata la paura della punizione (non mi sono mai vantato d'essere coraggioso), la mia scarsissima capacità di ritenere a memoria o il tono assillante e ultimativo della sua voce, un fatto è certo: io non riuscivo a rispondere alle sue domande sulle tabelline. Un dramma personale che si consumava ogni giorno, verso la fine della lezione. Mi nascondevo sotto il banco per non essere interrogato. «Dov'è De Palo?». Gli occhi felini di quella donna mi scovavano. Risposta sbagliata, mano bacchettata. Il suono della campanella era una liberazione.
Dopo la terza elementare, al Carmine fu vietata la frequenza agli esterni. Fui iscritto all'Istituto del Sacro Cuore retto da altre suore: le Maestre Pie Filippine. Tonaca nera e caratteristica cuffietta nera con il bordo arricciato. Mi viene in mente una suora in particolare: suor Zaira, rossa di capelli e pettoruta. Suora conturbante, strana nel portamento, nel modo di camminare, in certi atteggiamenti e affermazioni. Al ginnasio la monaca di Monza mi richiamerà alla mente quella suora dai capelli fiammeggianti e dal sorriso non privo di malizia. Conoscendola, non v'era chi non mettesse in dubbio la sincerità della sua vocazione. Se ne dicevano tante sul suo conto. Storie di incontri segreti con qualche prestante e galante genitore dei suoi alunni.
Le Maestre erano Pie ma altrettanto venali delle suore del Carmine. Molto fiscali nel pretendere la puntualità del pagamento della retta. Erano tempi duri per molte famiglie. Mi fanno venire in mente lo spot televisivo di una notissima marca di vermouth: no retta, no scuola. Rimandavano a casa i bambini i cui genitori erano in ritardo col pagamento della quota mensile. Tremende!
Agli esami di quinta elementare mi posero un'unica domanda:
«Repubblica si scrive con due o con una p?». Io avrei subito risposto con due ma ragionai 'Se fosse stato com'io allora credevo che si dicesse, la domanda sarebbe stata troppo semplice ed ovvia. Ci doveva essere un tranello'. Risposi: «Con una p» «Bravo, finalmente uno...» . Le suore esaminatrici intavolarono una dotta discussione sull'origine latina del termine e m'ignorarono per un quarto d'ora. Finita la discussione «Bene, puoi andare». «Come sono gli esami?» mi chiese qualche ansioso genitore. «Facilissimi» risposi. Meno male perché, essendo l'insegnamento carente, l'apprendimento si era adeguato.
Lasciai le elementari e il livello della mia impreparazione non mi permetteva di distinguere cultura da coltura. Abitavo allora in via Le Vergini. Quella strada completerà il tormentone. «Dammi il tuo indirizzo» «Via Le Vergini 10» «Le vergini? Esistono ancora?» «Bitonto» «Ah, sei due volte tonto. Non me n'ero accorto». Di fronte a casa mia abitava Ottavio Leccese, emerito professore di lettere della scuola media. Per raccomandazione fui aggregato alla sua classe. Ne fui contento. Pensavo che questo m'avrebbe favorito. Quando si accorse della mia crassa ignoranza e seppe che, al di fuori dei libri scolastici, non frequentavo alcun altro libro o giornale o settimanale, mi fece chiamare e mi dette alcune copie de 'Il calcio e ciclismo illustrato'.
Mi limitai a guardare le foto, che erano molto belle, scattate nell'attimo in cui il pallone gonfiava la rete o il calciatore, con plastico gesto atletico, calciava la palla. Mi disse che le collezionava e gliele riportai. Mi chiese:
«Hai letto qualche articolo?»
«Li ho letti tutti. Sono interessanti, soprattutto le foto»
«Sapresti farmi il sunto di qualche articolo che ti ha maggiormente interessato?»
«Tutti erano interessanti. Non posso mica...»
«Non dico di tutti, di uno solo. Scegli tu quale»
«Ieri sera se n'è andata la luce»
«Ma tu non dovevi leggerli tutti ieri sera. È da una settimana che te li ho dati»
«In questi giorni ho avuto tanti compiti da fare»
«Vuoi che non sappia i compiti che vi ho assegnato? Erano pochi e quei pochi li hai fatti male»
«Per forza! Dovevo leggere quei giornali....».
Non feci in tempo a completare la frase. Un ceffone, inatteso e sonoro, mi zittì. Due lacrimoni bagnarono una foto della rivista, rendendola più realistica. La fotografia ritraeva un campo di gioco inondato dalla pioggia. Non mi consolò, come faceva mia madre, che prima me le dava e poi mi accarezzava.
«Riprenditi quei giornali. Da oggi, ogni giorno, a quest'ora, verrai e mi farai il sunto scritto e orale di un articolo»
«Tutti i giorni?»
«Non ti preoccupare. La domenica non verrai».
Stavo per andarmene.
«Mimì»
«Sì, professore»
«Lo sai che l'ho fatto perché ti voglio bene»
«Sì, professore».
Avrei preferito che mi amasse un po' meno. Non volevo neppure pensare all'eventualità che mi odiasse. Elaborare un tema, riempire una paginetta intera di frasi allineate, che avessero un senso, era un dramma per me. Non avevo idee. Non sapevo come cominciare e come finire, ma anche il centrocampo mi dava problemi. Il professore, fissando particolarmente me, diceva: «Tema». Non capisco perché mi desse del lei e non mi restava che obbedire. Temevo. Dio quanto temevo quel compito! Dopo la correzione il foglio protocollo si adornava di tanti fregi rossi e blu e il numero indicato sul foglio era più amico dello zero che del sei, era più a suo agio col meno che col più. Spessissimo era tre. Il numero perfetto sanciva la grave imperfezione del componimento. Pretendeva sempre che mio padre lo firmasse. Ogni volta, rivolto a mia madre e mia sorella, diceva: «Abbiamo speso tanti soldi per mandarlo alle monache. Con quei soldi...». Dopo iniziava la ramanzina a me. Nessuno mi costringeva a fare alcunché. Dovevo decidere io cosa fare ma quello che avessi deciso di fare, dovevo farlo bene.
Non era colpa mia. Mi sentivo nato mediocre, anzi 'ciuccio', parola che qualificava gli alunni molto scarsi. Decisi di non andare più a scuola. Non era per me. «Non se ne parla proprio» rispose il professor Leccese, interpellato da mia sorella Camilla, «Ha le capacità e può far bene. È solo una questione di volontà». La mia volontà era schiacciata dall'altrui volontà. Il professore decise di eliminare la polvere che si era accumulata sui libri della biblioteca scolastica, ignorata fino a quel momento, e c'impose di leggere un libro alla settimana.
Il lunedì, a caso, chiamava due o tre alunni a fare sunto e commento o leggere quello scritto. Il caso mi privilegiava sempre e ogni lunedì il mio sunto e commento si sottoponeva, con timore, al severo giudizio del professore. Severità e incoraggiamento a fare meglio. Fare meglio del tre era tre più. I ceffoni erano privati e intervenivano al momento del sunto dell'articolo sportivo. Non mi umiliava dinanzi agli altri e gliene ero grato. Faceva un uso salomonico, non so quanto appropriato, del bastone e della carota.
Per amore o per forza finii coll'appassionarmi alla lettura. Se stavo leggendo, dovevano chiamarmi tre o quattro volte per pranzare o per cenare. Ottenuto questo risultato il professor Leccese passò all'analisi grammaticale e logica del periodo, alla ricerca imperativa della sintesi, all'attenzione a non ripetersi, alla coloritura della frase con un'appropriata aggettivazione. Grazie a questa cura d'urto, iniziai la seconda media senza più alcun timore per il tema. Per quanto mi riguardava, quel componimento scritto poteva anche cambiar nome.
Cominciavo ad essere contento di portare a mio padre il tema da firmare. Una domenica glielo sottoposi per la firma prima che andasse alla partita. Volle premiarmi portandomi con sé a vedere la partita del Bari allo Stadio della Vittoria. Da allora divenne un'abitudine. Tiravo fuori i temi dopo il pranzo domenicale e mi conquistavo il diritto ad accompagnarlo allo stadio.
Dopo alcuni mesi divenni addirittura redattore e articolista del primo giornalino scolastico del paese, dal titolo: CALZONI CORTI. Qualche ceffone, di tanto in tanto, scappava ancora al professore. Non riguardava più il tema ma qualche furbata o marachella. Nella nostra classe si creò un grande spirito di corpo e l'autorità del professore mutò in carisma. La domenica mattina, non essendo sposato, veniva a giocare a pallone con noi nella palestra scoperta, interna all'Istituto Carmine Sylos. Sudava e si arrabbiava come fosse uno di noi. «Professore, dovevi passare la palla, con i piedi che ti ritrovi non avevi nessuna possibilità di segnare». La domenica potevamo permettercelo.
Si scherzava e rideva. Severo ma comprensivo. C'insegnava ad avere il senso del limite. Oltrepassarlo significava trasformare una magnifica giornata di sole in un'altra uggiosa e piovosa. Uno dei miei più cari compagni di quella famosa I B delle medie, Filippo, mi ha ricordato che è stato nostro compagno in quella classe anche Michele Mirabella, il dotto conduttore televisivo. Io, chissà perché, l'ho completamente cancellato dalla memoria. Per quanti sforzi faccia non riesco a ricordare un solo fotogramma della sua presenza in quella classe.
Il professor Leccese e il professor Morea, che c'insegnava matematica, sono rimasti le colonne del mio sapere. Il professor Morea da me invidiato perché sempre impeccabilmente elegante, alla mia domanda di come facesse ad avere il nodo della cravatta sempre perfetto, rispose «L'eleganza è matematica». La scuola, per me, s'identifica con questi due professori. Alla IV ginnasiale fui inserito nella classe del professor Tedeschi, completamente sordo e miope. Nessun Pierino cinematografico o scenetta d'avanspettacolo poteva uguagliare la greve comicità che si creava in quell'aula scolastica. Era un gran casino. Alcuni studenti si calavano i pantaloni quando erano interrogati.
Io, Peppino e Paolo migrammo all'Orazio Flacco di Bari. Erano iniziate le incompiute e il tourbillon di professori. Tornato alla base, perché la pendolarità, con le strade d'allora, era molto faticosa, la quinta ginnasiale iniziò nel migliore dei modi. Pareva che si fosse riannodato il filo con la scuola media, interrotto dalla quarta ginnasiale. Avevamo una professoressa di lettere, la Piepoli, esigente ma brava. Era un professor Leccese in gonnella. Mi alzavo all'alba per scrivere il commento a brani dei Promessi Sposi. Ci aveva promesso che i migliori sarebbero stati pubblicati in un libro.
In seguito ho disimparato più che accrescere il mio sapere. Al liceo c'era un turnover spaventoso di insegnanti. Alla prima liceo cambiai sette insegnanti di matematica e quattro di lettere nell'arco dell'anno scolastico. Ricordo due insegnanti in particolare: la professoressa Pasculli e la Camarrone, non molto ferrate nelle rispettive materie ma due grandi donne. Ci davano importanti lezioni di vita più che di greco e di filosofia. L'insegnamento era carente e l'apprendimento si adeguava. Finiva così com'era cominciato. Il cerchio della mia scuola si chiudeva perfettamente.
Torna alla Home Page

Torna all'inizio

Se desideri acquistare questo libro e non lo trovi nella tua libreria puoi ordinarlo direttamente alla casa editrice.
Versa l'importo del prezzo di copertina sul Conto Corrente postale 22218200 intestato a "Montedit - Cas. Post. 61 - 20077 MELEGNANO (MI)". Indica nome dell'autore e titolo del libro nella "causale del versamento" e inviaci la richiesta al fax 029835214. Oppure spedisci assegno non trasferibile allo stesso indirizzo, indicando sempre la causale di versamento.
Si raccomanda di scrivere chiaramente in stampatello nome e indirizzo.
L'importo del prezzo di copertina comprende le spese di spedizione.
Per spedizione contrassegno aggravio di Euro 3,65 per spese postali.
Per ordini superiori agli Euro 25,90 sconto del 20%.
PER COMUNICARE CON L'AUTORE mandare msg a clubaut@club.it Se l'autore ha una casella Email gliela inoltreremo. Se non ha la casella email te lo comunicheremo e se vuoi potrai spedirgli una lettera indirizzata a «Il Club degli autori, Cas. Post. 68, 20077 MELEGNANO (MI)» contenente una busta con indicato il nome dell'autore con il quale vuoi comunicare e due francobolli per spedizione Prioritaria. Noi scriveremo l'indirizzo e provvederemo a inoltrarla.
Non chiederci indirizzi dei soci: per disposizione di legge non possiamo darli.
©2002 Il club degli autori, Domenico De Palo 
Per comunicare con il Club degli autori:
info@club.it
 
Se hai un inedito da pubblicare rivolgiti con fiducia a Montedit

 

 

IL SERVER PIÚ UTILE PER POETI E SCRITTORI ESORDIENTI ED EMERGENTI
Home club | Bandi concorsi (elenco dei mesi) | I Concorsi del Club | Risultati di concorsi |Poeti e scrittori (elenco generale degli autori presenti sul web) | Consigli editoriali | Indice server | Antologia dei Poeti contemporanei | Scrittori | Racconti | Arts club | Photo Club | InternetBookShop |

Ins. il 21-10-2002