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Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
Alberto Barletta
Ha pubblicato il libro
Alberto Barletta, Lembi di olocausto, editrice Montedit, 2000, Collana I gigli (poesia), pp. 48 - L. 11.000 - Euro 5,68
ISBN 88-8356-038-8
 
Prefazione
 
Grondano sensualità e inquietudine le liriche di questa silloge, opera prima del giovane poeta campano Alberto Barletta. Una sensualità fatta di parole assai esplicite e di atmosfere cupe, vagamente torbide, che lasciano uno strascico d'ombra denso e spesso, quasi tangibile, al pari di quella della notte con cui si apre la raccolta.
In questa notte collocata fuori dal tempo e dallo spazio si muovono presenze oniriche, un io narrante dalla visione allucinata che incontra nei meandri della propria mente immagini frammentarie, come spezzate dal riverbero di un caleidoscopio: segmenti di corpi umani e di oggetti d'uso quotidiano si mescolano tra loro e danno vita per un attimo a scene che si stagliano, isolate, su uno sfondo di mistero, impregnandosi di esso. Così accade che una tavola apparecchiata, un bicchiere e il solito programma TV, svuotati dai consueti significati denotativi, balzino all'improvviso all'occhio del poeta quasi con violenza, denunciando con forza la propria estraneità rispetto all'io del poeta stesso, che in tal modo si staglia solo, e protagonista, in un mondo che si costituisce esclusivamente attraverso le percezioni della mente e dei sensi.
Il viaggio della mente inizia come si è detto di notte; ma ancor prima che la notte, nella prima lirica, viene posta in grande evidenza un'altra parola, la cui scelta non può apparire casuale: laringe. Alla voce, o meglio al prodotto della voce umana, fosse anche solo un gemito, viene assegnata un'importanza fondamentale nel mondo di cui stiamo assistendo alla costruzione; è una voce che emerge dal vuoto, dal silenzio, dalla solitudine ("Ma fui cauto, nel nulla / a costruirmi un silenzio / &endash; Templio di voci grevi. / Gli echi di solitudine stillarono il suono, / le labbra si chiusero / alternandosi in forme") per cercare, forse inutilmente, le parole che possano stabilire un contatto con l'esterno e ridare un senso al caleidoscopio impazzito del mondo (la lingua, scrive il poeta, è "chiusa a sublimi toni"); una voce che, ci sembra, rincorre disperata i sensi venendo sopraffatta dalla loro urgenza primordiale. Ed è proprio tale urgenza a straripare, letteralmente, da ogni lirica; lembi di lenzuola, quasi sipari che separano il teatro della notte da quello del giorno, si sollevano di continuo lasciando intravedere corpi ritratti nella loro feroce nudità, nell'atto di strappare piaceri che solo di rado appaiono morbidi e dolci: la "dolce ginnastica dei corpi" si tramuta presto, per i sacerdoti di questo culto senza nome, nell'incontro con il peccato ("Io guardo, e guardato / tremo nella colpa / del peccato") e con la morte (l'orgasmo porta requie mentre il lenzuolo diventa un sudario). L'atto sessuale è dunque estasi e tormento insieme, godimento estremo che porta all'estremità della vita; non è cosa, sembra dire il poeta, su cui si possa ancora giocare con fremiti e palpiti del cuore. Esso viene esposto in una luce cruda, senza sfumature, senza tenerezze; è l'atto con cui l'angelo perde le sue ali restando senza piume sul dorso, spiumato icaro caduto su una terra la cui pesantezza è avvertita in ogni fibra dell'essere. La poesia di Barletta si muove tra questi estremi: la voce e il silenzio, la luce e il buio, la pesantezza e la leggerezza, l'alto e il basso, in un continuo oscillare tra senso del sacro (con forti richiami alla simbologia cristiana: si pensi alla lirica disposta in forma di croce) e minaccia del peccato; peccato che incombe e fagocita l'uomo (si veda in questo senso il ricorrere dell'immagine della mantide e dell'area semantica del mangiare), ne violenta la purezza scagliandolo lontano da se stesso. Quel sentimento del peccato aspramente percepito come un morso nelle viscere pare attenuarsi nella tenue rassegnazione dell'ultima lirica, dove il poeta guarda fuori di sé &endash; e allora sì l'esercizio dell'amore è e rimane "dolce" &endash; verso un tramonto che addormenta la periferia sentendosi solo "un po' colpevole:" lo sguardo non è innocente, ma è comunque un non-gesto, una non-partecipazione, e quindi una sorta di ancora di salvezza. Ma prima di arrivare a ciò, la poesia di Barletta ci ha fatto percorrere tutti i sentieri che portano all'annullamento di sé, compreso quello dato dall'eroina, in un vortice infernale di riti dannati e dannanti scanditi da una serie di figure retoriche che giocano sul costante rimando tra parole dai suoni simili (l'amante/la mantide, seme/speme, erme/orme per non citare che tre esempi) per creare una rete di significati che percorre l'intera raccolta disegnando un mondo dove l'uomo si trova impietosamente nudo, inchiodato alla propria croce di angelo caduto.
 
Olivia Trioschi
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Inserito il 23 maggio 2000