Inediti On line
 
Farfalle
di

 Daniela Manzini Kuschnig

PARTE III (Giada)

Capitolo 13

 
I giorni incominciarono a scorrere come un fiume tranquillo che si riveste di scaglie splendenti e multicolori nel gioco continuo di luci ed ombre che si rincorrono da riva a riva. Lavoravo dall'alba al tramonto e la terra si riprendeva, incominciava a rispondere alle cura e alla fatica. Mara cresceva a vista d'occhio e Giada si dava da fare in casa, aiutava l'Ernesta, faceva il bucato, imparava a cucinare, accudiva la bimba. Ed era smagliante.
Era tanto bella che faceva rimanere a bocca spalancata i braccianti a giornata, i viandanti che venivano a chiedere da bere e magari da mangiare, solo qualcosa, grazie e in cambio raccontavano quello che avevano sentito dire in giro, nelle città per cui erano passati. C'era la ricostruzione, ovunque si ricostruiva quello che era andato perso, ovunque si commemoravano i caduti, si cercavano i criminali di guerra, per punirli.
" I morti non li fa tornare indietro né la ricostruzione, né una lapide con tanti nomi sopra... " disse uno un giorno. " Ma tant'é, dopo la guerra ci si accorge che bisogna piangere le vittime... io, per me, che sono un ignorante, vorrei che non ci fosse, la guerra, così non ci sarebbero vittime da piangere e nomi da scrivere su pezzi di marmo in piazza, non crede? "
" Sarebbe troppo semplice. Gli uomini non sono semplici. "
" No? Io dico che a non esser semplici sono quelli che comandono che ci hanno da guadagnare pur qualcosa nel mandare a morir la gente. Ma io sono un ignorante. " E se ne andò.
" Non ha poi mica torto torto... " commentò l'Ernesta.
Giada era accanto a lei e scosse la testa scura: " Non ho mai capito perché ci si deve ammazzare ... Spero che non ci sia più un'altra guerra. "
Sollevò Mara dal cesto di vimini e alzandola in aria, le disse: " Vero? Vero? " Le rispose un gorgoglio sorridente.
Aveva il seno sodo e gonfio di latte ben delineato sotto la camicia di tela che indossava, pareva la dea della maternità e insieme dell'amore e della fecondità.
Distolsi lo sguardo, presi la roncola e mi avviai al campo a est, sentendo un leggero formicolio su per le gambe: mi sentii colpevole e perciò lavorai furiosamente con Felix che scavava buche esattamente dove non doveva, ma bisognava capirlo, lui era un cane di città.
Ricominciarono a parlarmi, dapprima fu solo come un soffio d'aria che porta con sé sussurri e respiri, poi divenne un ronzio come di sospiri affrettati ed infine vennero le parole a rincorrersi nella mente.
Le voci non gridavano più, chiaccheravano, calme discutevano fra di loro, ponevano domande, attendevano risposte. Non avevo risposte da dare ed ebbi paura, paura di divenir pazzo, di non poter restare, di dover riprendere il cammino. Forse, pensai, era la mia punizione. Divennero a un tratto consolatorie, acquietanti. Le sentivo arrivare da lontano, un tintinnio fra le foglie e gli arbusti, fatte di materia leggera, balenanti, mi accompagnavano. Sarebbero rimaste con me per sempre, pensai, ed era giusto così, perché io non mi sarei mai perdonato. Non ci avrei mai neppure provato. Era capitato che perdessi di vista la linea ondulata che frangia la luce d'ombra, mi ero lasciato trascinare da una corrente impetuosa e avevo calpestato la mia giovinezza e la mia forza. Era capitato. Capita agli uomini in quanto tali di commettere errori, anche capitali. Avevo preso la mia anima fra le mani e l'avevo spremuta fino a lasciarla svuotata, ma adesso la mia ombra era di nuovo strettamente connessa al mio corpo e, anche se non sarei più stato quello di prima, pure avrei potuto continuare a vivere: me lo sarei concesso. Sentendomi colpevole.
Un pomeriggio, era estate piena, Giada venne nel campo e aveva con sé Mara. Camminava fra l'erba con a lunghi passi veloci ed insieme aggraziati, la testa eretta, le spalle scoperte nel sole. Mi vide ed agitò la mano, salutando e mi additò alla piccola. Passando fra l'erba alta, all'improvviso la terra s'animò. Fu come se cento, mille fiori sbocciassero in un colpo e si levassero in volo. Giada si fermò con il viso arrossato dalla sorpresa e seguì il disperdersi delle farfalle nell'aria: erano le farfalle rosso brune che nel sole parevano punte di fiamma, quelle di cui mio padre diceva " Ci sono state sempre in quel punto fra l'erba alta e ogni anno ritornano... "
Anche quell'anno erano tornate e frullavano intorno al volto di Giada, alle sue braccia fresche, alla sua gonna rialzata,un lembo nella cinta, come la portava un tempo l'Ernesta, le assomigliavano, lucenti, tutte colore, fascino e magia. Guardai Giada che si allontanava, piena di vita, fiorente di giovinezza e la desiderai.
Sul finir dell'estate s'incominciò a parlar di battesimo. Il nome c'era, mancava il sacramento. Si poteva fare tutto un giorno qualsiasi, bastava avvertire Don Fulvio, disse l'Ernesta. Lo sapevamo, vero, aggiunse, che Mara sarebbe risultata una NN ? Sì, perché Giada non sapeva chi fosse il padre e, ad ogni modo, nessuno l'avrebbe riconosciuta come figlia sua.
" Che peccato, piccolina! Se lo tirerà dietro tutta la vita. A scuola, Sul certificato di matrimonio... "
" Non è una tragedia. " dissi io.
" Forse no. Ma la gente ci bada a cose come questa, sa! " rispose lei.
Giada taceva, un'ombra le velava lo sguardo.
" Insomma, non è la fine del mondo. Le vogliamo tutti bene, NN o no! " tagliai corto io.
" Anch'io sono messa così. " disse Giada e scosse il capo, liberando una ciocca di capelli scuri.
Il discorso finì lì. Ma mi tornò in mente il giorno successivo e quello dopo ancora. Mi resi conto che non volevo che Mara incominciasse il suo cammino esposta alla critica o alla derisione o soltanto alla curiosità di quella stessa gente che di me poteva dire o pensare quello che voleva, tanto non mi importava. E il rimedio l'avevo a portata di mano.
" La riconosco io, Mara. " dissi quella sera, a cena, perché avevo ripreso a mangiare a casa, per godermi la bimba.Le due donne rimasero immobili, l'Ernesta vicino ai fornelli, Giada con il mestolo in mano pronta com'era a versar la minestra nei piatti: sembravano di cera.
" Èuna buona cosa. " La voce dell'Ernesta suonò leggermente distorta.
" Non sei obbligato... " saltò su Giada.
" Lo voglio fare. " tagliai corto.
Fu così che sulla carta divenni legalmente il padre di Mara. Il vecchio Don Fulvio mi trasse in disparte, nella canonica che sapeva di umido e di incenso e mi chiese: " Èfiglia tua? "
" No. " gli risposi
" Hai intenzione di sposare la madre? "
" No. "
" Si può sapere perché lo fai? "
" Se non lo faccio, sarebbe come lasciarle un marchio tutta la vita. "
" Ma cosa credi che diranno in paese? Riconosci la bambina, vivi in casa con la madre... che è, bene, è una bella ragazza, femmina la chiamano, e va bene che c'é l'Ernesta con voi, ma... "
" Ma che cosa? Uno deve sempre rispondere alla gente di quello che fa? Ma non viene in mente a nessuno che si possa far qualcosa in buona fede? "
" No, a nessuno. E nessuno ci crederebbe. "
" Allora possono andare tutti al diavolo. "
Mi guardò, interdetto, ma era anziano e ne aveva viste e sentite di tutto un po', credo che niente lo potesse più meravigliare. Forse proprio perché tanto aveva vissuto fra tante miserie del corpo e dello spirito, aveva voglia di vedere finalmente un qualcosa fuor dalle regole, per crederci e sperare in un miracolo anche se piccolo piccolo. Corrugò la fronte: " Dovrei dirti che non è questo il modo di parlare a un prete, che non è il modo di considerare gli altri... dovrei dirti che il tuo comportamento dà scandalo, ma manderesti al diavolo anche me. "
" Riconosco la bambina per il suo bene, per tenerla al riparo dalle... "
" Chiacchere? Quelle che stanno già facendo tutti? Sei incoerente, te ne rendi conto? " Scosse il capo che, in bilico sul collo ossuto, sembrò sul punto di cader giù da un momento all'altro.
" Forse. Penso che adesso Mara non può accorgersi di niente e che quando sarà cresciuta la gente avrà dimenticato... "
" Lo spero per lei, ma non ci credo. Però, se la tua intenzione è questa, davvero questa, fai bene. Èun'opera buona."
Non ne sapevo niente di opere buone io: andavo dove la mia ombra mi portava, fra nebbie e fruscii, con il gelo che si alternava alla fiamma dentro il cuore.
Divenni il padre di Mara.
L'estate si diluì in autunno, l'autunno fluì nell'inverno e la neve scese a coprire i campi e rivestì di bianco la croce sulla tomba della donna che aveva gli occhi più belli del mondo. Poi fu primavera ed ancora estate e la piccola Mara cresceva a vista d'occhio, correva carponi per la cucina dietro a Felix, si alzava in piedi aggrappata al mio dito indice, faceva versetti che erano già parole ed era un'incantatrice nata.
Fu un'estate torrida, il fiumiciattolo s'asciugò, le zanzare calarono a tormentare senza dar requie, tanto che improvvisai una specie di zanzariera appesa ad una canna robusta per il lettino di Mara, ma in compenso i campi erano pieni di lucciole che picchiettavano il buio della notte di mille lumi scintillanti e saltellanti, stelline cadute dal cielo, diceva Giada alla bambina.
Mi piaceva girare nel buio fra quelle luci briose come se andassi vagabondando sospeso fra terra e cielo e sempre di sera quando scendeva dalla collina un alito leggero a far respirare un poco le creature con Felix a fianco, perché ormai non mi stava più incollato alla gamba, ma aveva conquistato un po'di autonomia, camminavo allontanandomi della casa senza una meta precisa, senza un perché definito, solo per il gusto di muovermi.
Nel buio, una sera di quell'estate, sentii due voci venire da dietro il capanno degli attrezzi ed una era fuor di dubbio, quella di Giada.
" Lo so, lo so... puoi fare quello che vuoi... ma pensaci, cosa ci guadagni? "
" Non lo sai? Non far finta, lo sai quello che voglio. "
" Io... ho la bambina. "
" E allora ? Non mi interessa tua figlia. " Sghignazzò. " Deve crescere ancora un bel po'! Non fare tante storie! "
" Lasciami perdere, voglio solo star tranquilla, non faccio niente di male... "
" Sai come starà bene tua figlia quando le diranno che sua madre pestava i marciapiedi! Non è colpa mia se sei tanto bella che non ti si può dimenticare! Ti ho riconosciuta subito in paese, nonostante la vecchia e la bambina! "
" Non mi importa. Mi hai vista, mi hai riconosciuta, per me sei uno di quelli che mi pagavano per il mio mestiere, non ti ricordo, non voglio stare a sentirti... "
" Mi starai a sentire invece. Se non vuoi che vada in giro a raccontare la storiella della tua vita, se non vuoi che l'impari anche il tizio che ti tiene con sé, ti conviene star qui a farmi compagnia, per un'oretta, non sarà la fine del mondo, non avrai dimenticato come si fa, dai! "
" Se ti dicessi che il tizio con cui vivo sa già di me? Che l'ha sempre saputo... ? "
" Non ci crederei! "
" E faresti male. "
Ero uscito allo scoperto e gli stavo di fronte.
" Faresti male, continuai, perché è vero: l'ho sempre saputo e non mi è mai importato. "
Era un uomo di mezza età, alto e molliccio, il ventre prominente sopra la cinta dei pantaloni di tela. Si era immobilizzato al mio comparire così all'improvviso, stupito, ma recuperò subito.
" Davvero? , ghignò, Buon per te. Sei di bocca buona. Io per me... "
" Vattene. "
" Piano, piano, non si parla così a un galantuomo. "
" Vattene. Subito. Questa è la mia terra. Voglio che te ne vai. Con le buone o con le cattive, la scelta è tua. A me non importa. "
Mossi un passo verso di lui e alzai una mano, di scatto.
L'uomo fece dietrofront e sparì.
" Lo racconterà a tutti. " disse Giada.
" Lo penso anch'io. " le risposi.
" Mi dispiace. "
" Non è stata colpa tua. "
" In un certo senso sì. "
" No. Tutti hanno un loro passato, qualunque sia stato. Che insegna. Voglio dire, se il passato è importante, importante è anche quello che si è... , insomma il non continuare a fare gli stessi errori. "
" Dio, vorrei che fosse proprio così! Detto da te sembra facile. "
" No, non è facile. Per me, almeno. Ci si prova, ecco tutto. "
" Era troppo bello per durare, l'ho sempre pensato! " la voce suonava avvilita, sconfitta.
La guardai nel buio e gli occhi annegavano nell'ombra del viso.
" Ce la farai, a farlo durare. "
Mi si avvicinò e allungò una mano calda ed asciutta, me la posò sul braccio e sentii un brivido correre sotto la pelle, prendermi la gola e seccarla. Non riusii a trattenere le braccia che la presero, la strinsero con forza, mentre la bocca, la mia bocca, cercava la sua. Fu un bacio lungo, pieno di passione. Non la lasciai. La trattenni contro di me, accarezzandole i fianchi snelli e forti.
" Aspettavo da tanto, che lo facessi! " mormorò lei.
Allora la feci scivolare a terra e le fui sopra mentre un mare di lucciole volteggiava intorno ai nostri due corpi.
Era tardi, molto tardi quando rientrammo. L'Ernesta s'era addormentata sulla sedia nel cortile davanti alla casa. La svegliai. Si alzò, prese la sedia e fece per rientrare: " Buonanotte. " disse e ci guardò. Credo che pur semiaddormentata com'era, comprese che qualcosa era accaduto, perché dondolò fiaccamente una mano tendendola verso di me e borbottò: " Era ora! "
Incominciò in questo modo la storia con Giada, il suo corpo era luce del sole, il suo ventre promessa di un futuro, le sue labbra giovinezza e passione. L'amore per Mara aveva avuto il colore della luna, argenteo, dolcemente ammaliatore, quello per Giada aveva il colore della spiga dorata dei campi, riverberante nel sole. I miei amori.
 
 
" Te l'avevo dato per certo. Una donna cattiva. "
" L'avevi detto, sì. "
" Non ci volevi credere."
" Non sono poi affar miei. Neanche tuoi. Lavora, dai. "
" Ci si potrebbe stare a discutere. Chi ce la vuole una puttana in paese? "
" Cosa ridi, tu, lavora che ne hai da mangiare di pane per entrare in discorsi di donne! "
" Io almeno non ce l'ho una moglie che sbraita, voi sì! E come se sbraitano! Le si sente per tutta la valle! una puttana in paese! Ma, andate a far tacere le vostre galline! Ehi, no! Scherzavo! Non si può più scherzare! La piantate di tirar sassi? E se mi prendete? "
" Certo che la mia di moglie brontolava già prima, - solo perché la vedeva così bella e diversa... , ma adesso s'è fatta tutta un veleno. "
" La mia non vuol che venga a lavorare qui, per lui... "
" Vecchie befane. Galline. "
" Mica ce l'hanno tutto 'sto gran torto. Chè tu un pensiero non ce lo faresti?"
" Certo che bella è bella... "
" Bella? Solo bella? Ma quella è come il sole... ci pensi a averla sotto? "
" Sotto, sopra... insomma, sì... che donna! "
" Qualcuno è andato a lamentarsi col prete. Certune dicono poi che han paura per i figli... per la famiglia"
" Han paura ... Gridano allo scandalo. "
" Gran scandalo, alla fine. Ne son capitate ... tante anche qui... Ve lo ricordate il vecchio Filzi? Quello è scappato con la serva che se aveva vent'anni di meno che lui, era poco... "
" Ma le cose son state tenute ben coperte e quando son saltate fuori, ormai era tutto finito e se n'è riso... Io ho riso del Filzi e della serva. Voi no?"
" Già, proprio così. "
" Su, via, il tempo passa e poi c'è la bimba e poi da ultimo ripeto, non son affari nostri, e poi anche buona, cattiva, non è che voglia dir più di tanto... "
" Sono affari loro, che restano in casa loro. "
" Proprio così. Già. "
Ridono, lavorando nei campi - due ammogliati ed uno giovane giovane - e sbirciano la casa in distanza, dove lei, così bella e giovane, fottutamente puttana, vive. Sbirciano nella distanza solo per darle un'occhiata. Nell'animo uno sorride, un altro ride, hanno voglia, uno scuote il capo, disincantato e non è neppure il più vecchio. Scuote il capo, piegando la schiena e sogna d'incontrare un amore. Vero.
 
 
Incominciarono le chiacchere in paese. L'avevamo previsto, eppure fummo colti quasi di sorpresa quando, diretta come sempre, l'Ernesta disse che "... si doveva far qualcosa contro quelle brutte malelingue che finiranno per bruciare all'inferno."
" Quello che raccontano è vero. "
Rimase senza parole, per un momento solo.
" Non ha importanza! Devono smetterla! "
Accompagnai Giada alla messa quella domenica. Quando entrammo in chiesa molte teste si girarono a guardare e si chinarono a mormorare, gli uomini fissarono Giada dandosi di gomito, alcuni ammiccarono. Giada camminò fino a un banco centrale, né troppo avanti, né troppo indietro, guardando innanzi a sé, spalle dritte, il bel viso fresco, senza mostrare alcun timore imbarazzo o vergogna. Mi sedetti accanto a lei. Mi sembrava di sentire i commenti. Finita la messa, raggiungemmo don Fulvio nella sacrestia e, mentre si toglieva i paramenti gli dissi che avevamo deciso di sposarci.
" Era ora! " esclamò il sacerdote, proprio come aveva fatto l'Ernesta, anche se per altra ragione.
Ma chissà, l'Ernesta aveva l'occhio acuto e forse vedeva più lontano di molti.
Quando il nuovo inverno sopraggiunse, eravamo marito e moglie e Mara era nostra figlia e Giada era di nuovo gravida. Mi diede due figli maschi, li conoscete anche voi, forti e sani come li sapeva fare lei.
Con il tempo e la pazienza le chiacchere si fermarono, un torrente che a un certo punto trova un mare di sabbia e viene assorbito. Abbiamo vissuto la nostra vita insieme qui, fra i campi che erano stato di mio padre, faticando e maledicendo la grandine e la siccità, ridendo e scherzando per tutti i niente che erano tanto per noi... , ma vedete, non abbiamo mai scordato la mia Mara, sapevamo bene che cosa era stata nella nostra vita, io la rivedevo nella ragazza che scampanellava pedalando come una matta, ogni volta che tornava da scuola.
Poi il tempo è trascorso, veloce da non credersi e sono rimasto solo. Solo con i ricordi e il fruscio delle voci che ancora mi accompagnano verso il sonno la notte.
Vorrei che Mara tornasse a stare un po'qui al paese, con me, vorrei guardarla in viso, prenderle le mani fra le mie e chiederle: " Sei contenta? " ma sono sicuro che è contenta, di più, felice. Non può essere altrimenti. Solo vorrei che fosse lei a dirmelo. Ma intanto guardo l'ombra saldamente legata al mio corpo e a volte mi giro di colpo o faccio un passo avanti in fretta per calpestarla, perché adesso la mia ombra è dura come il granito, come uno scalino su cui salire e guardarsi intorno, avanti e indietro e poi sorridere. "
Si tolse gli occhiali e pulì le lenti con mani dalle dita ingrossate, chiazzate dalle macchie brune dell'età e volse intorno lo sguardo, gli occhi azzurri che nella luce apparvero di un grigio caldo sfumato di verde, si posarono su quelli che gli stavano intorno come in attesa.
I due giovani che s'erano fatti vicini vicini l'uno all'altro si scambiarono uno sguardo rapido e la ragazza sospirò forte, il vecchio con una gamba sola stropicciò il piede sotto la sedia di plastica:
" Già.- disse - Èla vita. E 'sempre la vita. "
Allungò una mano e la batté due volte sulla spalla dell'altro che si rimise gli occhiali ed annuì confermando.
Annuirono i muratori ed annuì il barista che, fra un cliente e l'altro, si faceva sulla porta dell'osteria, ad ascoltare.
" Ed è anche ora di andare. " disse il terzo.
" Dove? " chiese lo storpio.
" Io vado a casa. " gli rispose il compagno.
" A far che? "
" Mah!... c'é sempre da fare qualcosa... "
" Storie! Non hai niente da fare, solo sentire tua nuora brontolare... "
" E allora? Devo star qui fino a sera? "
" Io, per me ci starei... e mi farei un altro bicchiere... E tu che cosa dici?"
Il vecchio guardò in alto, poi posò lo sguardo azzurro sul compagno:
" Io? No, per oggi basta. Vado a far due passi lungo il fiume... voglio muovermi un po', mi piace, mi sento sempre meglio dopo... e poi, poi torno a casa mia. " Scosse la testa mentre parlava e incominciò ad alzarsi.
Allora si mossero tutti insieme, per poi dividersi, prendendo ognuno una direzione diversa, mentre le ombre dei pioppi s'allungavano sull'asfalto della strada che lenta lenta si snodava in ampie curve fra le colline, perdendosi in lontananza verso i monti, fra i pendii dove i campi risaltavano, riquadri di terra scura nel verde, a formare una scacchiera dove le creature della terra, della luce e della notte si incontravano, si riconoscevano, a volte si amavano.
 
 
Se ne vanno i pensieri, quali- dove chissà, solo schegge, ma gli occhi azzurri del vecchio, fermo sulla sponda del fiume, stan fissi al passato, miscuglio inscindibile d'ombre e d'amore, perché in ultimo lui sa che ci si nutre d'amore, per amore si sbaglia e a volte si muore, ma comunque, questo è il punto, d'amore si vive.
Si vive.
Anche da vecchi.
Anche con la porta che si richiude sul mondo e poco resta cui allungare il respiro, cui far ritorno. Nel reale. Ma infiniti sono i ricordi. Infinita è la memoria. Una tensione che corre e il sangue formicola nelle vene indurite, un fiume se ne va fra due sponde verdi d'erbe nuove, fra ronzii di insetti e ali di farfalle... - con cura disegnate su carta variegata di mille colori , ritagliate, levate in alto poi - vibranti ombre sul muro bianco... Quando il nastro della memoria si districa dalllo scorrere uguale dei giorni piatti, monotoni, sterili, senza pianto e senza sorriso e lascia fluire i ricordi, sciolti, con passo di danza, l'occhio ancora si illumina e tu capisci tanto di quello che è accaduto e lo insegui questo passato bruciato, calpestato, frainteso, eppur sempre vivo e rimani così sospeso- SOSPESO - sul mondo che ti ospita, che ti ha ferito, che tu hai ferito, cui hai sorriso, che ti ha sorriso e cammini, un passo dopo l'altro a ritroso ed è uno spettacolo quello che ti si offre, fresco, nuovo, luminoso, ammiccante, intrigante, l'orrore stesso diventa perlaceo e, anche se non sarai mai consolato, pure ti senti perdonato. Una specie di riscatto è questo che la memoria opera, senza nulla chiedere se non pazienza e, perché no, coraggio- non si voltan le spalle, non si piega il capo sotto l'ala del braccio ripiegato, non si fugge nella follia della dimenticanza, ma da finestre spalancate, figure s'affacciano chiamando e tu le guardi, le riconosci come quelle di quanti han dato forma e colore e violenza all'anima, e infine amore.
AMORE
Che poi tanti volti ha l'amore e tanti cuori. Lo san tutti.
Che l'amore- si specchia -ha occhi grandi e braccia tese e si ritrova in occhi d'altri in braccia d'altri. Si stringe amore ad amore in legami d'azzurro che il quotidiano stinge in grigio come di pietra, eppur rimane amore. Parla amore all'amore parole attese in piedi sulla soglia di un giorno di festa che coniuga voli d'uccelli e lampi estivi, intrecci di parole si perdono nel buio eppur amore rimane. Amore cerca passione e stordimento eppur rimane amore all'epoca dei vecchi che ricordano le carezze della giovinezza.
Tanti volti ha l'amore, tiepido e trepido uccello scaldato nel nido da piume materne e tanti cuori pronti a prendere il volo ad innalzarsi in fremiti rosso sangue in alto a perforare il tetto delle nubi.
Lo sanno tutti che a amore amore succede, capita che magia segua a magia fra le dita di un prestigiatore alla fiera del paese, che fiori di carta estrae dalla manica dell'abito logoro e un coniglio tira fuori dal cilindro liso. perché, lo sanno tutti, non importa quanto logoro sia l'abito, quanto liso sia il cilindro, ma solo la perizia importa del prestigiatore, l'arte di strappare un OHHH di meraviglia di far sgranare gli occhi, e intravvedere l'ombra di un miracolo. Lo sanno tutti che di amori ce ne sono tanti e che a volte capita d'averne in dono più d'uno, di quelli veri, che sanno di magia. Capita.
Come guardare in un caleidoscopio.
Attraverso la lente di un ARCOBALENO.
Capita, a volte.
Proprio così.
 
 
Un uomo, un vecchio,
un uomo
sull'orlo del fosso guarda scorrere l'acqua che presto il caldo assorbirà lasciando solo il senso d'umido da cui si leveranno, la sera, le zanzare succhiasangue a nugoli, guarda l'acqua e mormora muovendo appena le labbra una specie di cantilena che ninnananna non è, non è preghiera, ma un po'ha dell'una e dell'altra, perché lui, proprio lui, la Volpe era stato, la Volpe dei monti, a caccia d'uomini, denti affilati e pelo arruffato dietro la preda e argini non aveva mai trovato contro il dolore dell'esser stato lui quell'uomo, se non le parole mormorate con dolcezza Mara- Giada - Mara, e Mara - Giada - Mara per una vita intera avevano danzato nell'azzurro dell'iride, farfalle nell'aria di primavera, difese sulle quali
le voci infine,
quelle voci infine
s'erano soffermate e pensierose avevano ascoltato e più non avevano gridato e
" Mara - Giada - Mara " ripetono ora anch'esse.
Eco di monte in monte per la valle.
Eco di cadenze segrete in una nenia appena sussurrata.
Rintocco dopo rintocco, il suono della campana accompagna le memorie scandite nell'aria. Da custodire.
E pur a terra così com'erano - nude - contro il muro accecante della mente, lo tenevano per mano, lo conducevano a lato del fosso, in attesa di una nuova estate, quando dai bozzoli umide sbocciano farfalle bianche e nere e rosa, liberate nel volo, così delicate, come sono le ali sospese a fili invisibili che i pensieri appena nati portano in alto a smarrirsi nell'infinito.
Così, semplicemente.
 

 Daniela Manzini Kuschnig


FINE
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Si è classificata 1° al concorso Marguerite Yourcenar 1996, sez. narrativa.
Si è classificata 6a p.m. nel concorso Marguerite Yourcenar 1996, sez. poesia.
Si è classificata 8° nel concorso Il Club dei poeti 1997, sez. poesia.
 
Si è classificata 1° al concorso Città di Orzinuovi 1998, sez. narrativa.
 
 
Daniela Manzini Kuschnig vi offre la lettura
di due racconti:
"A passeggio fra le nuvole"
"Le cose"
 
 
 
Per leggere la prefazione del libro con "Incontri"
Per leggere alcune pagine tratte dal libro libro con "Incontri"
 
Per leggere la prefazione del libro con "Con ali raccolte"
Per leggere alcune poesie tratte dal libro libro con "Con ali raccolte"
 
 
Collabora inoltre al Club presentando alcuni "Grandi poeti del '900" :
Caproni Giorgio
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Solmi Sergio
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Inserito il 4 maggio 1998