Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
Romanzo di
Chiara Del Soldato
I

"... Allora qui buttiamo giù il muro tra le due stanze e facciamo un unico salone con zona pranzo e zona lettura... due finestre... bellissimo !

Qui togliamo la porta e facciamo un piccolo arco che collega questa sala alla cucina, che però non si vede perché resta incassata dietro quella rientranza. Entrando dall'arco, appare invece il camino a destra e la scala che conduce di sopra alla zona notte, dove tutto resta com'è, eccetto la cucina che, essendo spostata di sotto, lascia il posto ad una terza camera o studio, a seconda delle necessità".
L'architetto stava facendo vedere ai due futuri sposi il progetto di ristrutturazione dell'appartamento, in cui sarebbero andati ad abitare non appena fosse stato pronto. Per due persone anziane era ormai fin troppo grande e così i nonni avevano deciso di spostarsi in un bilocale e lasciare la loro casa a Silvia, che altrimenti sarebbe dovuta andare ad abitare in affitto.
Così i nuovi proprietari avevano pensato di apportare qualche modifica per rendere gli ambienti più confortevoli e sfruttare al meglio gli spazi. Silvia e la suocera si erano messe in testa di chiamare un esperto e Jader, che avrebbe voluto risolvere da solo la questione, era stato presto messo a tacere.
Al contrario di quanto avviene di solito, infatti, le due donne andavano perfettamente d'accordo e finivano spesso per prendere il sopravvento su di lui, fidanzato e figlio. Forse era perché Silvia aveva perso la mamma a tredici anni e aveva sentito sempre la mancanza di una figura così importante , che aveva infine ritrovato nella suocera Anna, tanto gentile e affettuosa.
Dopo poco che si erano conosciuti e avevano cominciato a frequentarsi, infatti, Silvia era venuta a casa e in breve si era mescolata alla vita della famiglia di Jader; si fermava spesso a mangiare, chiedeva consigli ad Anna, restava a parlare con lei, anche se il fidanzato aveva da fare, la accompagnava a fare la spesa o da qualche amica.
All'inizio Jader era piacevolmente colpito da questa intesa e contento che sua madre e la sua ragazza avessero trovato una nell'altra una presenza solida e sensibile. Con il tempo, però, aveva avuto talvolta l'impressione di essere estromesso, di essere un surplus, di cui non si sente la necessità e dà quasi noia; sensazioni impercettibili che, appena nascevano, venivano scacciate e volutamente dimenticate.
Anche ora davanti al progetto dell'architetto, Jader provò ad esporre le sue perplessità sulla convenienza di togliere la porta tra la cucina e la sala.
"Non è meglio lasciarla? Magari mettiamo una bella porta scorrevole con un vetro antichizzato o a mosaico, ma almeno, quando tu Silvia cucini, gli odori non passano in tutte le altre stanze!". Jader riteneva che vi fosse della saggezza nella sua affermazione, ma si sentì rispondere da madre, fidanzata ed architetto che con l'arco la casa avrebbe acquistato luminosità, che la porta era di gusto superato, che gli odori non se ne vanno per tutte le stanze...; insomma fu messo in minoranza e non volle insistere: in fondo la casa doveva piacere soprattutto a Silvia, quindi contenta lei...
"Senta architetto - chiese - quanto tempo pensa che servirà per completare i lavori ? Noi avevamo fissato la data delle nozze tra tre mesi, ma non abbiamo preparato ancora le partecipazioni, quindi possiamo spostare benissimo di uno o due mesi o più, se serve!"
"No, ma che dici - lo redarguì Silvia - vedrai che fanno presto, vero Giorgio?" L'architetto era stato un suo compagno di scuola, quindi lo chiamava per nome e lo trattava confidenzialmente.
"Beh, in un paio di mesi dovrebbe essere pronto, se avete già una ditta che pensa a tutto... però non si sa mai, a volte capitano contrattempi, gli operai si assentano, un pezzo non arriva e così il periodo impiegato è molto più lungo: io rimanderei le nozze ... a meno che non abbiate un posto dove andare, nel caso in cui l'appartamento non sia pronto per la data prestabilita".
Anna, la madre dello sposo, sempre disponibilissima, si affrettò ad offrire la sua casa e, nonostante Jader cercasse di convincere Silvia che non c'era fretta e che questa incertezza avrebbe provocato ansie e preoccupazioni inutili, non venne ascoltato.
Quando suocera e nuora ebbero finito di mettersi d'accordo con Giorgio sui dettagli, chiusero le finestre dell'appartamento e uscirono tutti quanti insieme. Per le scale si scambiarono ancora alcune opinioni sul progetto, mentre Jader li seguiva in silenzio. Dal momento in cui era stato messo in minoranza, Jader non aveva più detto una parola.
Se infatti si adirava con la fidanzata, come era accaduto in quel momento, Jader si scopriva a guardarla senza volerlo con occhi diversi, come dal di fuori, con atteggiamento imparziale, quasi cinico; quello che vedeva però raramente gli piaceva: anziché efficiente, gli appariva invadente, piuttosto che allegra e brillante, la vedeva petulante, invece che graziosa, nei suoi lineamenti minuti, gli si presentava banale. Cercava pertanto di chiudere quel collegamento e di ripristinare la vecchia lunghezza d'onda al più presto.
Avevano nel frattempo sceso le scale ed erano usciti: salutarono Giorgio e rimasero fermi per la strada ancora alcuni minuti.
"Andiamo, intanto, a vedere le mattonelle per il pavimento e per il bagno?" disse Silvia al fidanzato con fare gentile, forse accorgendosi che era urtato con lei.
"No, devo tornare in ufficio! - rispose lui - mi sono rimasti alcuni messaggi da controllare e sono costretto a farlo assolutamente stasera. Senti, andiamo domani... è uguale, non ti pare?"
"Domani mattina ho un impegno in chiesa, che non posso disdire e di pomeriggio è chiuso... è sabato, ricordi?"
"Già è vero... allora andremo lunedì pomeriggio…; ah dimenticavo che stai via quattro giorni con la comunità...".
"Perdiamo troppo tempo in questo modo… che ne dici se ci pensiamo io e tua madre a dare una prima occhiata? Mercoledì, quando andiamo noi due, possiamo così scegliere tra un gruppo più ristretto e già fissare l'ordinazione..."
"Va bene, come vuoi tu, vi saluto allora e buon divertimento!"
Girandosi un'ultima volta per ricordare loro una cosa, notò criticamente l'incedere un po' goffo di Silvia... ma non aveva ripristinato il collegamento...?!
Salì poi sulla sua auto e le donne su un'altra: i due veicoli partirono in direzioni diverse.

  II
 
Mentre guidava, Jader si sentiva un nodo in gola, che non scendeva, neppure quando deglutiva. "È l'ansia! - gli aveva detto il medico, quando gli aveva parlato di questo sintomo e dell'irrequietezza che lo prendeva spesso, nei momenti più impensati - comunque facciamo delle analisi di controllo e una visita dall'otorino, poi ci rivediamo".
Entrambi gli accertamenti avevano rivelato che godeva di un ottimo stato di salute e il medico di famiglia gli aveva consigliato allora dei tranquillanti e di fare un po' di footing, per smaltire la tensione. Naturalmente gli aveva chiesto se ci fosse qualche motivo che procurava questa scontentezza e agitazione interiore, ma Jader non era stato in grado di individuare niente di specifico, se non forse il fatto che si sarebbe sposato entro tre mesi, mentre ancora tante erano le cose da fare.
"È vero che la mia fidanzata e mia madre sono febbrilmente indaffarate a risolvere i vari problemi, sono un tandem perfetto insieme - aveva confidato al medico - ma è naturale che anch'io ne sia influenzato: vorrei restarne fuori, arrivare lì la mattina della cerimonia, sposarmi e poi partire per il viaggio di nozze, ma purtroppo ad alcune decisioni devo essere presente: a me basterebbe, invece, che fossero contente loro due!"
Il suo medico, che lo conosceva da quando era bambino, lo aveva guardato con aria sospettosa e preoccupata parlare in modo così convulso; alla fine aveva confermato che un impegno importante come un matrimonio poteva benissimo essere all'origine di una situazione di stress.
Sulla strada Jader trovò una farmacia e si fermò per acquistare i tranquillanti prescritti, ma, entrato lì, comprò dell'Aspirina, perché non gli andava di risolvere i suoi problemi in quel modo, inebetendosi con miracolose pasticchette. Si rese conto che doveva essere sveglio e sveglio bene, per capire dentro di sé: a trent'anni aveva il diritto di sapere e il dovere di controllare le sue emozioni.
Uscì dalla farmacia con il suo antinfluenzale, anche se l'influenza non ce l'aveva e si imbatté in una ragazza, che stava entrando di corsa e non lo aveva visto. Si trovarono faccia a faccia : lei si scusò arrossendo e si passò una mano tra i capelli, per rimetterli a posto. In quell'attimo Jader si sentì un brivido di eccitazione lungo il corpo e la guardò con desiderio, almeno così credette.
Risalito in macchina, mentre guidava per dirigersi in ufficio, gli continuava a tornare in mente, più che l'incontro con il medico avvenuto il giorno precedente, un'immagine che l'aveva colpito due domeniche prima, in chiesa.
Alla messa del pomeriggio c'era sempre tanta gente e Jader con la sua fidanzata era solito andare per tempo per non restare in piedi: in una panca c'erano già due persone, per cui si erano affiancati a loro per completare gli spazi liberi. Nel giro di pochi minuti quasi tutti i posti erano stati poi occupati e le persone che via via arrivavano erano costrette a restare in piedi.
Ad un certo punto aveva visto accanto a sé una giovane donna con una bambina di quattro anni circa per mano, che cercava con lo sguardo intorno, nella speranza di trovare una panca non completa; era stata proprio Silvia ad avvicinarsi a lui, per farle posto.
La signora aveva capito, ringraziato e si era seduta accanto con la bambina sulle ginocchia: si era poi girata e aveva regalato ai suoi benefattori un gran sorriso di gratitudine: aveva dei denti bianchissimi, messi ancor più in risalto dall'abbronzatura e gli occhi verdi intensi; a quel sorriso sembrava partecipare ogni muscolo del viso e anche lo snello corpo sembrava accompagnare quell'attimo di piacere sincero.
Jader era rimasto indubbiamente colpito dalla sua bellezza, ma ancor di più si era stupito, quando aveva visto arrivare altri tre ragazzi, un maschio di una decina di anni, una femmina grandicella, signorinetta quasi e un altro ragazzo biondo, giovane anche lui, ma molto più grande. Nel corso della messa , da tante piccole cose aveva capito che la bella e giovane donna era la madre di tutti e quattro e, anziché stare attento alla funzione religiosa, era stato completamente catturato dalla loro presenza, dai loro scambi di battute, dai loro sorrisi di intesa, dal profumo di quella mamma attraente.
Aveva fatto tra l'altro due calcoli approssimativi: tra il primo e il quarto figlio passavano circa quindici anni, la qual cosa stava a significare che la suddetta signora aveva mantenuto vivo l'amore per il marito al punto da dargli figli nel tempo ed era stata così certa del valore dell'esistenza umana, da essere per quattro volte portatrice di vita. Tanto amore, tanta fiducia si leggevano anche nella serenità del suo sguardo.
E che sguardo... due occhi magnetici e profondi. Spesso infatti la signora si era voltata per scusarsi per la bambina che non stava mai ferma e zitta. Anche lei, fra l'altro, si muoveva in continuazione per raccogliere qualcosa che la figlia aveva buttato in terra, per sistemare meglio la piccola sulle ginocchia, per sventolarsi con un ventaglio posticcio, a causa del caldo insolito.
Jader, per questo, aveva sentito spesso il contatto del suo corpo vitale e profumato e ne era rimasto piacevolmente turbato. Se non fosse stato in quel luogo sacro, si sarebbe lasciato andare a fantasticherie sensuali, ma si era trattenuto.
Jader aveva pensato invece a sé stesso con Silvia e aveva cercato di immaginare come sarebbero stati loro vent'anni dopo. L'aveva così guardata: la fidanzata si era girata e, pensando che il suo fosse un gesto di affetto, gli aveva sorriso.
Il suo aspetto non gli era sembrato un gran che: era un po' grossa e il vestito che indossava quel giorno la ingoffava ulteriormente: il viso era insignificante, nessun tratto lo rendeva particolare, ad esempio le sopracciglia o il naso, le labbra o una fossetta sul mento; lo sguardo però era buono e buona lo era veramente, lei, generosa e disponibile con tutti: non esisteva persona che non le volesse bene. Nelle feste era sempre al centro dei giochi, li organizzava, li proponeva, li teneva vivi; suonava la chitarra e gli altri le cantavano intorno.
Jader l'aveva conosciuta in parrocchia tre anni prima in un momento in cui era piuttosto giù di corda e lei l'aveva aiutato a ritrovare l'interesse per la vita, per le piccole cose di tutti i giorni: si erano molto avvicinati e nel giro di pochi mesi lei era parte di ogni momento della sua giornata: sua madre aveva cominciato a parlargliene bene, a dire che era una brava ragazza e di buona famiglia, che era ora che il figlio mettesse la testa a posto e la finisse di frequentare la gentaccia con cui si era sempre visto e che era giusto che aspirasse ad una sistemazione adeguata.
Le cose insomma che dicono più o meno tutte le mamme alle figlie, sua madre le aveva dette a lui e, visto che Jader le era molto affezionato e teneva al suo giudizio, si era convinto della giustezza delle sue affermazioni; ed eccolo qui, ora, alla vigilia o quasi delle nozze con una ragazza a cui riconosceva immensi pregi, ma di cui non era sicuro di essere innamorato: di bene gliene voleva, certo, e molto, ma era dovuto alla gratitudine e alla stima o a qualcos'altro?
Perché mai non aveva avuto la fortuna di incontrare una donna come quella signora con quattro figli? Voleva una famiglia così, anche lui, voleva la passione e una ragazza che, quando l'abbracciava, gli facesse girar la testa. Era chiedere troppo? Voler sposare una donna che si ami profondamente è pura fantasia?
I suoi genitori l'avevano persuaso che per un matrimonio era molto meglio un affetto posato, che calcola bene pregi e difetti ed aspira ad una convivenza pacifica ed equilibrata, rispetto ad un fuoco travolgente, che poi, quando si spegne, lascia solo grandi danni.
Forse era vero..., sapeva però che si sentiva vecchio, stanco, deluso: dove era l'entusiasmo di un futuro sposo?
Quella signora, insomma, gli aveva scombussolato gli equilibri e lo aveva involontariamente buttato nel caos mentale: cosa voleva, chi era veramente?
Domande che non potevano certo trovare risposta nei tranquillanti consigliati dal medico; dove trovarle, però, con chi parlare? Ai suoi genitori? Per sentirsi come al solito capito e rassicurato? Avrebbe voluto magari non essere né capito né rassicurato, ma pungolato, incoraggiato in questa ricerca di verità.
 
 
Con questi pensieri arrivò in ufficio: posteggiò, chiuse la macchina ed entrò in ditta, dove non c'era più nessuno dei suoi colleghi più intimi. Pensare che avrebbe parlato tanto volentieri con qualcuno...
Accese il computer e lesse i messaggi in arrivo dall'Europa: ad ognuno rispose adeguatamente, finché non ebbe finito. Non aveva guardato l'orologio, tanto era assorto, e non si era accorto che era quasi ora di cena. Non era dispiaciuto per questo, tuttavia; almeno non aveva pensato alle solite cose che in quei giorni gli frullavano e rifrullavano in testa, senza che riuscisse a trovare una soluzione e rimanendo ogni volta spossato, frustrato e pieno di rabbia.
Non aveva nemmeno fame.
Uscì dal suo ufficio, poi dalla ditta, scese le scale che portavano al parcheggio, cercò la sua auto: ma dove l'aveva messa? Che testa!... Guardò in tutte le direzioni e poi la vide: si diresse da quella parte come un automa, salì e iniziò a guidare; squillò il cellulare, rispose e sentì sua madre che gli chiedeva di passare in pizzeria, per comprare una focaccia, dato che si era dimenticata di prendere il pane. Lo avvertì anche che Silvia sarebbe rimasta a cena per raccontargli quello che aveva visto al negozio di piastrelle e sanitari.
Jader si diresse così verso la pizzeria che si trovava sulla strada di casa, arrivò e, attraverso la vetrata del negozio, vide che c'era un sacco di gente: avrebbe dovuto di sicuro attendere un bel po'; d'altra parte c'era da aspettarselo a quell'ora.
Entrò distrattamente e si mise in fila, assaporando il profumo di pizza che veniva dal banco.
Aspettando, guardava l'agilità con cui le ragazze del negozio tagliavano e confezionavano le pizze: il tutto era effettuato con grazia e sveltezza, le mani si muovevano, padrone dei loro gesti, con una danza sensuale. Le mani femminili lo avevano sempre affascinato, in quanto artefici dei lavori più semplici, come di carezze, che lui immaginava audaci e maliziose.
Mentre aveva lo sguardo fisso su di esse, si sentì chiamare, si girò e mise a fuoco: riconobbe Diego, un compagno di scuola, di cui non aveva notizie da tempo.
Avevano fatto insieme il Liceo e i primi due anni di Università a Firenze in corsi diversi, ma, abitando nella stessa casa, si era creata tra loro un'intesa speciale: letture affini, l'amore per la filosofia e la letteratura, lunghe discussioni notturne li avevano portati a conoscersi a fondo.
Dell'amico, Jader aveva ammirato l'autonomia mentale: faceva infatti le sue scelte senza condizionamenti esterni, a differenza di lui, che ci teneva forse troppo a compiacere soprattutto i suoi, ma anche le aspettative di quanti lo conoscevano. Era stato con stupore, ma non eccessivo, che aveva appreso da Diego, appunto all'inizio del terzo anno di università, che aveva deciso di interrompere, almeno per il momento, gli studi di filosofia.
"Che senso ha - gli aveva detto - insegnare un domani il pensiero di grandi menti e da solo non aver saputo creare una teoria personale? Mi sentirei poco credibile per gli altri, non ti pare? Ho deciso che viaggerò, me ne andrò in giro a conoscere il mondo e la gente, finché non mi sarò fatto un'idea mia sull'uomo, le sue pulsioni, il suo modo di rapportarsi con la realtà".
Jader aveva cercato di farlo riflettere sulle conseguenze di questa scelta: avrebbe perso tempo e abitudine allo studio, si sarebbe laureato molto più tardi e avrebbe dato pensieri ai suoi, che speravano di veder laureato al più presto anche il figlio minore.
"I miei lo sanno che sono fatto così - aveva ribattuto Diego - ci resteranno male, ma fino ad un certo punto; le loro soddisfazioni se le sono già prese con i miei fratelli maggiori; questo è il bello di essere gli ultimi".
Lo invidiava profondamente per questo suo coraggio, per la sua libertà di decisione: e pensare che si faceva sempre mille scrupoli lui, per ogni cosa...
Dopo aver fatto esattamente quello che aveva deciso, in seguito Diego si era iscritto di nuovo all'università, ma alla facoltà di psicologia e ora lavorava in un centro di assistenza sociale a Firenze; Jader aveva avuto sue notizie anni prima da amici comuni e, ora che lo rivedeva, con la barba un po' lunga, gli occhiali con la montatura rettangolare scura, la fronte resa più ampia dalla mancanza di capelli sulle tempie, gli sembrò proprio un filosofo.
Glielo disse e Diego si mise a ridere.
"Come va?" gli chiese.
"Bene, bene, tutto sotto controllo" rispose Jader, che a sua volta si informò su di lui.
La conversazione sembrava languire sulle solite frasi di circostanza, "quanto tempo era", "dove abiti", "che caldo fa", ma quando Diego fece una esclamazione che entrambi conoscevano bene, si misero a ridere con ritrovata confidenza e il poco tempo che avevano a disposizione non bastò per levar loro la voglia di rifare un tuffo nel passato. Per questo si dettero appuntamento per la domenica sera, per andare a mangiare la pizza insieme, come ai tempi in cui di soldi in tasca non ne giravano molti.
Silvia sarebbe stata fuori città con la comunità di Don Giovanni e la moglie di Diego era abituata alle sue assenze per motivi di lavoro, figurarsi se avrebbe detto qualcosa per una cena con un carissimo amico.
Questa chiacchierata restituì un po' di buon umore al giovane, che, quando arrivò a casa con la focaccia, aveva il viso disteso e quasi sorridente. Mangiarono parlando del più e del meno, dell'incontro con l'architetto, dei tempi e dei costi probabili dei lavori, della data delle nozze, delle piastrelle viste. Furono soprattutto fidanzata e suocera a raccontare; Jader taceva, senza però essere teso o accigliato, suo padre ascoltava interessato, chiedendo di volta in volta qualche chiarimento.
Alla fine della cena, padre e figlio passarono in un'altra stanza per vedere una partita di campionato, mentre le due donne riordinarono la cucina e fecero il caffè per tutti.
Il quadretto familiare sembrava perfetto.
 

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agg. 22-04-2003