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Il gioco del silenzio (cover)

ALESSIO QUIRICO, Il gioco del silenzio, collana I salici (racconti), Montedit, pp. 160, Lit 24.000. ISBN 88-86957-06-8

Ecco il primo racconto

 

Il silenzio

 
È in stazione e la sta aspettando. Lei arriva cinque minuti prima del treno, si ferma a non più di due metri da lui, prende il libro dalla borsa e comincia a leggere.
Sono oramai due settimane che va avanti così. Un giorno, per caso, ha preso quel treno per andare in università e l'ha notata. Da quel giorno non ha più saltato un appuntamento e lei, fedele come un'amante innamorata, è sempre lì. Non le rivolge che brevi sguardi ma Paolo sa che la sua è una presenza che si avverte. Non si considera certo un bel ragazzo e nemmeno lo è ma ha questa specie di dono o di maledizione: non passa mai inosservato a meno che non sia lui a volerlo.
Non possiamo sapere se questa "dote" sia vera o frutto della sua immaginazione ma Paolo ne è profondamente convinto e niente potrebbe dissuaderlo. È sicuro che se si concentra profondamente su qualcuno questi non potrà fare a meno di notarlo. Del resto è anche vero che non se ne vanta con nessuno, anzi a dir la verità non ne ha mai neanche parlato, Paolo non è un vanitoso.
Le porte si aprono, e una volta nello scompartimento la distanza tra loro due non supera il mezzo metro. Le Ferrovie Nord Milano ogni mattina devono sopportare l'assalto di migliaia di uomini e donne che vanno al lavoro e che si accalcano uno di fianco all'altro, spingendosi, spostandosi, odiandosi, pur di non arrivare in ritardo. Paolo di fretta non ne ha, potrebbe tranquillamente prendere il treno dopo o quello dopo ancora o addirittura non prenderlo affatto ma se decide di andare a Milano allora perché non quello? Ora è in piedi, vicino a lei che continua a leggere il suo libro. Conosce quel libro così come conosce i suoi capelli, le sue mani, i suoi vestiti. La osserva con discrezione, non vuole essere maleducato tantomeno sfacciato, ma vuole che lei se ne accorga. Per fare ciò gli è sufficiente volerlo; vuole che lei sappia che lui è lì e che la osserva senza voler per questo essere maleducato o sfacciato. Non la fissa, sposta lo sguardo non appena si accorge che il suo si distoglie dal libro, cerca i suoi occhi casualmente e ci si sofferma solo per un attimo. Se si accorge che lei lo sta guardando fa l'indifferente.
Le porte si aprono a ogni fermata e sale sempre più gente. Se è fortunato dopo l'ultima fermata Paolo le sarà accanto; altrimenti, come spesso accade, qualcuno si sarà messo tra loro. Non le ha dato un nome. Darle un nome che non fosse quello vero sarebbe come non conoscerla affatto. Quando pensa a lei se la immagina e basta. Del resto pensa a lei quasi esclusivamente quando deve prendere il treno la mattina e se volesse veramente sapere come si chiama basterebbe chiederglielo. Ma questo comporterebbe l'espressione di una volontà, l'assunzione di una posizione e Paolo preferirebbe che fosse il caso a svelarglielo.
Le porte si chiudono per l'ultima volta ed ora lei è quasi appoggiata al suo petto con la spalla. Anche senza volerlo non potrebbe fare a meno di guardarla. Le sta proprio davanti, di profilo.
Non riesce più a leggere, non c'è spazio per tenere aperto il libro, così si guarda distratta in giro. Gli occhi nocciola saltano da una persona all'altra dello scompartimento per fermarsi su una signora che parla con enfasi del lavoro del figlio. Paolo sente il contatto fra loro ad ogni scossone del treno, vorrebbe sfiorarle la mano ma non ha il coraggio di muoversi. Se proprio le loro mani devono sfiorarsi deve essere un incidente a permettere che ciò accada e non un suo gesto.
Lei ha i capelli raccolti da una coda di cavallo e una pelle che sembra di porcellana, lui è ipnotizzato dal suo collo; vorrebbe affondarci il viso per sentire il profumo della sua pelle. Oramai è di nuovo preda della sua fantasia il sogno è sempre lo stesso: lei si gira e lo guarda diritto negli occhi invitandolo, dopo un attimo di esitazione lui la prenderebbe tra le braccia baciandola; tutto senza dire una parola. Il seguito non fa parte del sogno, verrebbe da sé. Paolo pensa e ripensa a questo bacio, alle sue labbra che per la prima volta toccherebbero quelle di lei, al cuore che per un attimo cesserebbe di battere.
Il treno arriva al capolinea e tutti scendono con un senso di liberazione. Paolo le è subito dietro, escono dalla stazione insieme e lui la segue con lo sguardo fino a che non viene inghiottita dalla folla che si dirige verso la metropolitana. Vorrebbe sapere che lavoro fa, dove è il suo ufficio, a che ora torna a casa la sera. Intanto procede la sua strada verso l'università; dopo pochi passi si è già dimenticato di quella ragazza e non ripenserà più a lei fino al prossimo mattino in cui dovrà prendere il treno.
 
Paolo vive con la madre in un paese fuori Milano. Il padre se ne è andato una decina di anni fa e da allora lo ha visto sempre più raramente. Non è che la cosa gli dispiaccia più di tanto, non era mai andato d'accordo con quell'uomo. Avere a che fare con lui solo poche ore all'anno, la maggior parte delle quali trascorse al telefono, è una soluzione tutto sommato accettabile.
La madre non è più una bella donna, i segni del tempo diventano sempre più feroci sul suo volto. La stessa visione del figlio diventato uomo la rende consapevole di essere entrata in quella fase calante della vita da cui non è più possibile uscire. Nonostante ciò ha ancora un grande spirito e non rinuncia a nulla che la faccia sentire viva, giovane. Lavora in un negozio di abbigliamento più per aiutare un amica che per bisogno, ma sente la necessità di qualcosa che la tenga impegnata.
Paolo è grato all'amica e al suo negozio che gli regalano una libertà altrimenti certo più limitata. La madre in realtà non può definirsi una persona invadente o ansiosa, non interferisce quasi mai nella vita del figlio, ma l'assenza crea meno sensi di colpa di una presenza discreta.
 
Sta camminando distratto per strada, ha la faccia seria, quasi cupa, come se avesse problemi che non gli danno tregua. In realtà questo non è altro che il suo apparire; anche se volesse non riuscirebbe ad assumere un'espressione più dolce.
Affronta il mondo come un felino: si muove lento, osservando attentamente tutto quel che gli accade intorno per poi balzare di scatto quando lo crede necessario. A volte può sembrare addirittura altezzoso nell'evitare ciò che non lo riguarda, ma come ho già detto è solo apparenza; in realtà è timido e questo atteggiamento è una specie di autodifesa. Quando non è distratto dai suoi pensieri osserva tutto per poter essere preparato e così ritrovarsi in una posizione di vantaggio. In questo modo anche per coloro che lo conoscono bene è difficile capire se stia effettivamente pensando o semplicemente guardandosi in giro con la curiosità tipica dei bambini.
La sua attenzione adesso è tutta per un giovane elegante che cammina poco davanti a lui. In una mano ha una ventiquattro ore e con l'altra cerca di comporre un numero al suo telefonino. Una volta riuscito nell'operazione porta il cellulare all'orecchio e dopo pochi attimi comincia a parlare. Non riesce a sentire ciò che dice ma Paolo è sicuro che l'interlocutore sia una donna. L'uomo parla con voce troppo alta e ride forzatamente. È imbarazzato dal poter parlare magari con una sua amante per strada ma allo stesso tempo ne è fiero, sta mostrando al mondo il grado del suo successo.
Dalla mancanza di spontaneità dell'uomo Paolo deduce che deve conoscere da poco la ragazza e che vorrebbe che la loro amicizia, ammesso che ce ne fosse una, si tramutasse in qualcos'altro. Evidentemente la conversazione sta prendendo la piega sperata dal giovane elegante; ora, nel suo abito grigio sembra essersi dimenticato che è per strada, parla più sciolto ed anche la camminata procede più sicura. Svolta in una perpendicolare e per un attimo Paolo riesce a guardarlo in viso, sta sorridendo ed ha una faccia simpatica. Forse si è innamorato o forse no, in ogni caso è felice per lui.
Paolo pensa che da che mondo è mondo è sempre stato così: l'uomo ha inviato messaggi, lettere, telefonate a donne che lo interessavano, e le donne si sono sempre riservate il diritto di rispondere o meno.
È il gioco delle parti, l'uomo chiama perché crede di essere libero di scegliere non sapendo che è solo un'illusione. Paolo è arrivato infatti alla conclusione (non certo originale) che sia la donna a operare la scelta e che l'uomo risponda a questa chiamata inconsapevolmente. All'uomo è lasciato tutto il suo orgoglio e la sua fierezza da re della foresta, ma deve recitare un copione scritto da mani femminili, la donna concede bonariamente al suo re l'illusione della forza e del coraggio. L'unica libertà vera che gli è concessa è quella di decidere se recitare o meno la parte, ma nel momento stesso in cui decide di sottostare a questo gioco e crede di scegliere non sa che è solo un'ingenua illusione.
 
Paolo continua a camminare sempre più assorto nei suoi pensieri. Non si accorge più di niente, non vede chi gli passa accanto, chi gli viene incontro, assecondando il suo modo di pensare ora è indifeso.
Si rende conto di invidiare questa facoltà femminile: poter scegliere senza per questo esporsi, decidere della propria vita lasciando a un altro la posa del primo mattone. Uno sguardo carico di promesse non è di per se stesso una promessa, regalare un'illusione non comporta necessariamente realizzarla. C'è sempre il rifugio del fraintendimento da usare come alibi: «... no; guarda che hai capito male!...». Niente di più facile, niente di più comodo. Nel codice dei messaggi non verbali è possibile confondere il ripensamento con l'incomprensione evitando l'imbarazzante noia di fornire scuse o giustificazioni; si opera una scelta senza per questo sopportarne la responsabilità, si trasferisce l'errore. Il fascino e il potere di questa facoltà stanno proprio nel poter vincere il caso, piegare alle proprie esigenze le sue incomprensibili leggi. La casualità viene sostituita dalla volontà, ma è una volontà leggera, spensierata, libera dal peso delle conseguenze.
Senza quasi accorgersene è arrivato in università. È in anticipo di quasi un'ora rispetto all'inizio della lezione, quindi decide di sedersi da qualche parte ed aspettare. Trova posto su una panchina davanti all'aula. Poco dopo lo raggiunge un compagno di corso. I due parlano di calcio, di esami, di ragazze.
Il tempo passa veloce e allegro, in meno che non si dica sono già seduti nelle ultime file a seguire una noiosissima lezione di economia. Nessuno del loro gruppo (nel frattempo si sono aggiunti altri ragazzi) ha voglia di stare attento così l'ora viene spesa nell'ilarità generale, aumentata dalla paura di essere scoperti. Alcune ragazze nella fila davanti alla loro ridono a ogni battuta e Paolo e i suoi compagni si sentono ancora più galvanizzati dalla presenza di questo pubblico. Finiscono per farsi rimproverare dal professore che non potendo più sopportare il caos dice loro, molto tranquillamente, che se non gli interessa la lezione possono pure uscire, lui non ne fa certo una questione di principio. Da quel momento in poi regna il silenzio e l'imbarazzo.
 
Sera. Paolo è davanti alla televisione e continua a cambiare canale.
«Come è andata oggi in università?» si sente dalla cucina.
«Bene!» risponde.
«Novità?»
«No!»
«Cosa ti faccio da mangiare?»
«Quello che vuoi».
La madre gli arriva davanti e puntando entrambi i gomiti sui fianchi incomincia:
«È mai possibile che tutto quello che sai dire è sempre: "Quello che vuoi". Mai una volta che mi dai un'idea, mai una volta che parli con me, quando entri in casa accendi quella maledetta televisione o ti chiudi in camera con la tua musica schifosa ed è come se non ci fossi!».
Per un attimo Paolo rimane sorpreso, è una reazione esagerata.
Il tono è sempre più indispettito:
«Le cose che ti succedono le devo sapere dagli altri, a me non dici mai niente! Sembra quasi che io e te siamo estranei! Quando eri piccolo mi raccontavi tutto adesso non apri bocca. Mi chiedo che cosa ti ho fatto?».
«Mamma, per favore, non ho voglia di litigare. Se oggi per te è stata una giornata di merda non prendertela con me!»
«Già, io non devo mai prendermela con te; devo solo fare finta che tu non ci sia come tu fai con me. Ma sei o no mio figlio?»
È delusa, amareggiata. Con gli occhi gonfi di lacrime se ne torna in cucina.
Vorrebbe reagire, gridare, urlargli di lasciarlo perdere, ma sa che sua madre ha ragione. Aspetta che si sia calmata poi controvoglia la raggiunge per cercare di capire cosa realmente la preoccupi. Vuole bene a sua madre. Il fatto è che lei interpreta il suo silenzio come un segno di ostilità, cosa che non è affatto vera.
 
Questa è una scena che si ripete oramai periodicamente. La madre, esasperata dai suoi silenzi, in questo modo è come se gli desse un monito: «Adesso stai esagerando». Lui come ogni volta raccoglie questo avvertimento e per un po' cerca di essere più di compagnia per poi spegnersi nuovamente col passare del tempo. A quel punto arriva un altro segnale e via di questo passo.
Può sembrare incoerente il comportamento di Paolo. Parla tranquillamente con persone che sono quasi degli estranei, si fa riprendere perché fa casino in aula neanche fosse ancora alle elementari ed invece con sua madre ha difficoltà ad aprire bocca. Ma poi è effettivamente difficoltà? O si tratta solo della solita differenza generazionale? Lui con la madre, quando è allegro, scherza, la prende in giro, la fa spaventare, insomma porta allegria ma anche in queste occasioni non ci parla. Ma allora qual è la ragione di questo silenzio?
Paolo vive il silenzio come intimità, amicizia. La capacità di essere accanto ad una persona senza per questo dover a tutti i costi trovare un argomento è per Paolo la massima espressione dell'armonia. La parola è per gli estranei, è un muro dietro quale nascondersi per non farsi raggiungere. Ciò che è assenza di comunicazione lo diventa e ciò che è comunicazione diventa silenzio. Per questo egli non ha difficoltà a parlare con estranei di qualsiasi argomento che non sia lui e invece tende a non raccontare cose che non ritiene importanti a coloro che sono a lui vicino.
Purtroppo questa voglia di silenzio, o di intimità, o di tranquillità, si propaga sempre più dentro di lui al punto che proprio con sua madre, la persona verso la quale prova più familiarità e nei confronti della quale non è costretto a recitare nessun tipo di ruolo, questa voglia diventa tanto violenta e prevaricante da non riuscire ad essere limitata se non tramite un consapevole sforzo. Oltre a ciò Paolo prova sempre imbarazzo quando si tratta di svelare le pieghe nascoste della sua anima, non riesce a raccontarsi con facilità.
È un serpente che si morde la coda. Non ha voglia di parlare di cose futili ma non vuole nemmeno aprirsi agli altri.
Da parte sue la madre oramai conosce questi silenzi ma non riesce né ad abituarsi, né tanto meno a capirli. A volte le sembrano un'accusa per il fallimento del suo matrimonio e quindi un sintomo della mancanza della figura paterna; a volte crede che siano un'accusa alla sua, di mancanza. Potrebbe benissimo starsene a casa dal lavoro e dedicarsi più a suo figlio soprattutto ora che lo avrebbe tutto per sé, visto che fra pochi anni se ne andrà. Ma ogni volta che discutono di questo lui le spiega che non ha nessun rancore nei suoi confronti, anzi l'ammira per il coraggio delle sue scelte e le condivide in pieno.
Paolo ha invece una grande riconoscenza per il lavoro della madre che tenendola occupata la rende felice e gratificata; ma soprattutto fa più felice la sua libertà di giovane bisognoso di spazi sempre più ampi.
 
Paolo non ricerca sistematicamente il silenzio. Come ogni uomo al mondo ha però bisogno di momenti di solitudine. Più di una volta nelle discussioni sull'amicizia che tutti i ragazzi fanno lo si è sentito misurare il grado di affiatamento che egli ha con quei pochi che considera veri amici dalla capacità di stare insieme senza dover per forza parlare.
Nell'amicizia tra due persone, che è fondamentalmente comunicazione, capacità di comprendere e condividere, anche qui, lui assegna un ruolo importante a ciò che è assenza di dialogo.
Ma forse è proprio qui l'errore. Non è detto che se due persone non si parlino non stiano comunicando fra loro.
Quando Paolo comincia a tacere nella maggior parte dei casi è perché sta sognando ad occhi aperti, e ciò accade quando ha finito di vivere nel mondo reale. I sogni lo conducono in un emisfero che si costruisce a suo piacimento, in cui è attore principale sia di sofferenze che di felicità, un mondo molto simile a quello reale in cui però la realtà è filtrata dalla sua fantasia. Durante questi "viaggi" è come se mostrasse la parte debole di sé, come se togliesse la maschera dura che sente di dover portare svelando la parte romantica e sognatrice. Il permesso di stargli accanto quando si sente così indifeso è un onore che concede a pochi anche se è consapevole che questi ultimi non capiscono l'importanza che lui attribuisce a tutto ciò.
È lo stesso tipo di permesso che viene dato a uno spettatore privilegiato al quale sia data la possibilità di assistere alle prove di uno spettacolo. Gli attori non stanno recitando per lui, ne sopportano la presenza per rispetto o per amicizia e nonostante siano abituati alla presenza del pubblico in quella particolare situazione nessuno può aspirare a tale carica se non gli stessi attori e lo stesso regista. Essi sono il pubblico di se stessi.
Così Paolo quando comincia a sognare diventa pubblico di se stesso e ammette in sala solo chi ha invitato lui.
È vero che a questi possibili spettatori è dato solo di vedere un sipario chiuso dietro il quale si svolge la rappresentazione ma il privilegio non sta nell'assistere allo spettacolo ma nell'essere stati ammessi.
 
Adesso è a una festa in un locale dove si reca spesso con i suoi amici. Ora vanno di moda questi capannoni adibiti a locali dove è possibile sia suonare dal vivo sia ballare sia soltanto bere. Sono delle specie di discoteche solo più intime e con musica diversa. Probabilmente è questa la chiave del loro successo: la familiarità che si crea all'interno ma soprattutto la possibilità di ascoltare e ballare la musica che si preferisce. Paolo e i suoi amici amano quella nuova corrente musicale nativa di Seattle che ha preso il nome di "grunge", ma non disdegnano anche l'hard-rock ed il punk più soft.
Bene o male si conoscono quasi tutti nel locale. Paolo sta parlando con un gruppetto di ragazzi. Ridono e scherzano e lui con la sua capacità oratoria e il suo umorismo ben presto diventa uno dei trascinatori del discorso. L'atmosfera è liberatoria, si sentono tutti a proprio agio.
Nota una ragazza che gli è stata appena presentata e di cui non ricorda il nome. Sembra seguire con divertita attenzione le sue parole e ride a ogni sua battuta. La ragazza gli si fa accanto, è carina, e i due si parlano per un po'. Scopre che studia lettere, che è più giovane di lui e che è la prima volta che viene in quel locale ma le piace molto. Paolo non ricorda ancora come si chiama ma non ha il coraggio di chiederglielo.
La musica diventa trascinante, la voglia di sfogarsi li butta nella pista.
Le casse esplodono un suono di chitarre che non sarebbe fatto per ballarvici sopra ma la musica che amano rompe la timidezza dei ragazzi: si lasciano muovere dalla violenza che hanno dentro.
È come un ballo ancestrale, chiudono gli occhi e non pensano a niente se non a liberare le loro ansie.
I ragazzi, per natura più portati allo scontro fisico, pogano tra loro.
La musica è violenta, il suono ripetitivo e loro si spingono divertiti.
Più uno è tuo amico e più lo spingi con forza.
Sono felici. Ridono. Non c'è cattiveria nel loro comportamento. È un rito propiziatorio, non una danza di guerra. Si spingono perché sono uniti in una lotta quotidiana. Sanno di non poter far esplodere la rabbia che hanno dentro ed allora la manifestano sotto forma di danza giocosa. Ogni contatto è una tossina che se ne va e un frammento di autocontrollo recuperato. Stanno sfogando la loro ribellione.
Un suo amico al posto di spingerlo lo trattiene per un attimo e gli grida nell'orecchio:
«Guarda che se vuoi te la fai. Vedi di non fare il pirla!»
«Chi?» risponde Paolo e gli arriva la spinta più forte della serata che a momenti lo fa cadere.
«Come si chiama che non me lo ricordo?».
 
La musica ora è più lenta e Paolo balla lentamente con la ragazza. La sta osservando, guarda come si muove, le sue mani, i suoi occhi, cerca di cogliere ogni piccolo movimento. È carina ma non lo fa impazzire. Cosa deve fare? Sente che non riuscirebbe ad innamorarsi di lei. Allora perché illuderla? E se lei volesse solo un'avventura perché non assecondarla? Del resto anche a lui la cosa non dispiacerebbe; oramai è parecchio che non va con una donna.
Balla e sta pensando a queste cose quando la sua attenzione è attratta da una coppia che stretta in un interminabile bacio si aggira per la pista ondeggiando pericolosamente.
«Guarda quei due idioti!» gli dice l'amico della spinta.
Smette di ballare ma continua a guardare i due che si stanno fondendo in uno. Stanno ballando, o almeno è quello che dovrebbero fare, ma non sono molto coordinati. Tengono un ritmo diverso l'una dall'altro con il risultato che i loro corpi al posto di unirsi sbattono ripetutamente. Continuano a baciarsi e le mani di lui corrono dalla schiena all'attaccatura del seno per poi tornare alla schiena. Lei lo lascia fare e se possibile si stringe ancora più a lui ma il passo non è mai lo stesso e continuano a scontrarsi. Lui la solleva, la riappoggia al suolo, volteggiano. Fanno l'effetto di una tromba d'aria: al loro passaggio tutti si devono spostare se non vogliono essere urtati.
Sono i più osservati e i più odiati della sala. Ad un certo punto un ragazzo "involontariamente" va a sbattere violentemente contro di loro. I due finalmente si separano per riattaccarsi subito dopo. Si va avanti così fino a che le due sanguisughe spariscono definitivamente.
Paolo non può fare a meno di pensare a ciò che ha appena visto.
Un ragazzo e una ragazza che in preda a una passione violenta si sono estraniati dalla realtà circostante per ritrovarsi l'uno dentro l'altra. Erano soli con la musica e il loro cocente desiderio, concentrati solo su se stessi, il resto del mondo era come se non esistesse. Vede già lui raccontare agli amici quanto fosse inebriante quel ballo e quanto fosse preso dall'avere tra le sue braccia il corpo disponibile di lei tanto da fargli dimenticare tutto il resto; poi si immagina lei raccontare che non le era mai accaduto prima di lasciarsi andare così ma in certi momenti la passione è talmente forte da cancellare ogni altra cosa.
Cazzate!
I due sapevano esattamente dove fossero ed al contempo erano consapevoli di essere al centro dell'attenzione. Era proprio il fatto di avere tutti gli occhi puntati addosso che, se possibile, alimentava ancor di più il loro desiderio. Non erano ancora pronti per rimanere da soli e donarsi completamente all'altro; forse per pudore o forse per semplice paura, non erano abbastanza sicuri di volere che ciò che inevitabilmente era destinato a succedere accadesse.
Avevano bisogno di qualcosa che li spronasse, che rompesse le loro inibizioni per potersi lasciare andare completamente e nello stesso tempo che rimandasse l'attimo in cui si sarebbero trovati soli.
Allora hanno lanciato una sfida al mondo al posto che a loro stessi, si sono improvvisati ballerini di tango per un pubblico ostile che serviva loro come mezzo per esaltare l'eccitazione a tal punto da diventare insopportabile, si sono fatti odiare per potersi amare.
Adesso probabilmente staranno facendo l'amore, complici di una sfida adrenalinica lanciata e vinta, ma Paolo pensa che solo ora proveranno quale sia la vera passione. La solitudine di un uomo ed una donna che si desiderano fa sempre paura ma è solo lì che si accendono le più ardite passioni.
È ormai tardi, Paolo se ne torna a casa con il numero di telefono della ragazza carina e con la promessa di chiamarla.
 
«È tardi. Non è ora di alzarsi?»
«Stamattina non ho lezione». Mente.
«Io vado. Ciao».
«Ciao mamma».
Non ha proprio voglia di alzarsi. La sera prima è uscito con la ragazza carina e non è dell'umore giusto per sopportare le lezioni. Gli dispiace un po' per la ragazza del treno, oggi non la vedrà; ultimamente l'ha vista meno, ha ridotto i viaggi in università al minimo indispensabile. Una delle ultime volte però è rimasto deluso. Sarà stato il vestito che non le si addiceva ma l'ha trovata bruttina. Quel giorno ha cambiato scompartimento pur di non vederla.
Paolo sa che non avrebbe il diritto di criticarla, soprattutto perché cerca sempre di giudicare il meno possibile, ma non ne può fare a meno.
Se fosse stata la sua ragazza sicuramente le avrebbe detto che quel vestito la faceva vecchia, che le appiattiva il corpo e le avrebbe chiesto di non indossarlo, ma poiché non lo era l'unica cosa che il suo ruolo di spettatore gli permetteva di fare era quello di non guardarla. Sa benissimo di non potersi arrogare alcun diritto su di lei ma è lui che quando la guarda sogna e nei suoi sogni la preferisce in jeans.
Allontanandosi le ha manifestato timidamente il suo arrogante dissenso; lei è libera di vestirsi come meglio crede ma anche lui ha il diritto di pensarla solo quando stimola la sua fantasia.
Paolo è ancora a letto, la sera prima è uscito con la ragazza conosciuta alla festa ed è proprio questo ricordo che gli impedisce di uscire dalle lenzuola.
Sono andati a cena in un altro locale e alla fine sono rimasti a parlare in macchina fino a tardi. L'ha baciata dapprima timidamente, poi appassionatamente, hanno trascorso una piacevole serata ma al posto di diventare amanti sono diventati amici. Sapeva già che non si sarebbe innamorato ma ha voluto darle e darsi una possibilità; quando le loro bocche si sono incontrate per la prima volta il cuore non ha cessato di battere, anzi gli è sembrato quasi di poterlo udire distintamente col suo ritmo regolare, indifferente. Ha provato anche a lasciarsi trasportare dal desiderio, purtroppo è stato anche peggio, si è sentito ridicolo e in alcuni momenti ha dovuto reprimere un laconico sorriso, così ha usato un'altra volta la parola come rifugio. Si sono svelati le loro paure, i loro sogni e hanno abbandonato la via che conduce all'amore per percorrere quella che conduce all'amicizia.
 
Si aggira per casa senza sapere cosa fare, è insoddisfatto, apatico, nervoso.
Alza lo stereo, i Pearl Jam cantano:
 
«...I...I...I'm still alive
...I...I...I'm still alive
Is something wrong
She said
Of course there is
You're still alive...».
Usa un evidenziatore giallo come microfono e si immagina su un palco. Rimette la canzone e la canta ancora, poi cambia canzoni continuando a interpretarle fino a che stanco e rilassato abbassa il volume.
Durante questi concerti non si esibisce per migliaia di fans ma per gli occhi di una sola persona. Si immagina che tra il pubblico, o meglio che il pubblico sia la ragazza amata, o qualcuno che in quel preciso momento decide di amare, e i riflettori sono alimentati dalla luce riflessa di quella presenza. La sua assenza immediatamente svuoterebbe il palcoscenico per farlo precipitare in una stanza buia con una luce puntata ironicamente sulla sua infantile voglia di protagonismo; una luce accusatoria che lo metterebbe in ridicolo, ma basta il pensiero della presenza di lei per riaccendere la magia e farlo esibire ancora con più impeto.
Suona il telefono, è un amico che gli chiede della sera prima, cerca di stare sul vago ma l'altro vuole sapere e lo mette con le spalle al muro.
«Sì ma te la sei fatta o no?»
Non è curiosità fine a se stessa, è preoccupato per Paolo, vorrebbe che si trovasse una ragazza, crede che sia solo da troppo tempo.
«Dipende da cosa vuol dire: te la sei fatta?»
«Non fare lo stronzo! Sai benissimo cosa voglio dire».
«Ci siamo baciati, niente di più».
«Mi aspettavo di meglio comunque adesso quando vi rivedete?»
«Non lo so ma non credo di avere voglia di rivederla, o come minimo non di uscirci da solo».
«Perché?» Paolo avverte una leggera punta di delusione.
«Non lo so!... Non mi piace molto».
«Sì, ma non mi piace molto vuol dire che un po' ti piace e allora perché non ci esci un'altra volta?»
«Non ne ho voglia e poi non mi batteva il cuore».
«La solita storia del cuore che deve battere forte e poi fermarsi...?»
«Sì!»
«Di sesso neanche a parlarne?»
«Non ci ho nemmeno provato».
«Ma sei scemo? Una scopata è pur sempre una scopata!»
«Sì! E il giorno dopo cosa le avrei detto? È stato bello ma di te non me ne frega niente, grazie e arrivederci. Io non voglio fare del male a nessuno; non ci riesco più». Ma questa non era esattamente la verità. La verità è che non ci era mai riuscito. Un po' perché non vuole veramente che qualcuno soffra a causa sua, che si senta usato. Ma soprattutto perché ha paura. Una paura che lo paralizza, che gli fa sembrare tutto difficile, privo di significato, privo di magia. Solo un amore vero riuscirebbe a scrollargli di dosso questa apatia amorosa che da sempre lo accompagna, solo un sentimento puro riuscirebbe a trasformare in carne il desiderio di una donna.
«Rimpianti?» chiede ancora l'amico.
«Per ora nessuno».
«Allora sono contento per te, se a te basta così allora va bene anche per me».
«Grazie, ciao». Paolo sa che il suo amico è sincero e che non lo giudicherà, rispetta sempre le sue scelte anche se a volte non le condivide.
 
Per Paolo l'accezione del corpo non è sessuale, lo diventa grazie agli occhi dell'amore. Quando vede un bel seno, un bel sedere non può fare a meno di apprezzarli ma non assumono automaticamente una connotazione sessuale, non vorrebbe possederli di un desiderio fine a se stesso. È un osservatore che si limita a constatare la bellezza di un'opera d'arte, che apprezza la più stravolgente e fantastica invenzione della natura: il corpo femminile, ma è lo stupore di un ammiratore e non di un collezionista. Non riesce a scindere il corpo dalla persona, sesso e sentimento si tengono per mano.
Non è sempre stato così; quando il sesso gli era ancora sconosciuto lo cercava come fanno tutti gli adolescenti, la carnalità era fine a se stessa, il piacere era egoistico.
Paolo considera il sesso conoscenza, la più intima e imbarazzante conoscenza reciproca; nell'atto dell'amore si regala un po' di anima. La voglia di riservatezza e la timidezza gli hanno impedito di fare l'amore con la ragazza carina; ma anche un profondo rispetto per tutto ciò che è donna, per tutto ciò che è sincerità. Vorrebbe una donna, ma vorrebbe che lei sapesse cosa cerca da quel rapporto; fosse anche un'avventura di pochi attimi, solo tra pareti di trasparente verità si sentirebbe libero di amare, libero dai sensi di colpa.
Inoltre neanche l'idea di vedere le smorfie di lei nel raggiungimento dell'estasi lo attirava molto, il piacere avrebbe trasfigurato il suo volto così come le sue parole e ciò gli avrebbe procurato fastidio; allo stesso modo è felice di non essere stato osservato in un momento così imbarazzante; pur senza riuscire a darsi una spiegazione che non sia retorica, è sicuro che la mancanza di sentimento gli avrebbe fatto fare l'amore ad occhi aperti.
Pensandoci bene la ragazza carina non gli sembra più tanto carina, mentre l'amica del treno lo diventa sempre più. Parafrasando Shakespeare la sta guardando con la mente non con gli occhi. È diventata un rifugio nel quale nascondersi quando la realtà diventa insoddisfacente. L'assenza di certezza permette una libertà infinita. Paolo ne ha osservato i gesti e da questi è sicuro di averne dedotto il carattere: l'ha vista ridere, l'ha vista arrabbiarsi, l'ha sentita parlare, l'ha osservata camminare, le ha rubato piccoli attimi di intimità, piccoli movimenti che l'hanno svelata a lui.
Non ci sono dubbi, Paolo la conosce! Ne è fermamente convinto, così come è convinto che lei non lo deluderà mai. Che stupido è stato! È con lei che avrebbe dovuto uscire. La prossima volta cercherà di parlarle.
Mente sapendo di mentire.
 
L'Italia della Seconda Repubblica è stata solo una grande illusione.
Dopo un primo periodo di euforia iniziale, quando sembrava che si potesse effettuare veramente un cambiamento, col passare del tempo ci si è accorti che nulla è cambiato, a parte i nomi dei partiti e le facce dei loro leader.
Paolo non ha alcuna fiducia nel mondo politico; già nella prima repubblica votava più per inerzia che per convinzione, ora considera le votazioni solo una perdita di tempo, una manifestazione di una volontà popolare che non si realizzerà mai, per questa ragione alle ultime elezioni ha lasciato la scheda bianca.
Si chiede come si possa aspirare ad avere il più effimero dei poteri? L'unico che assicura l'impossibilità di essere esercitato. A volte pensa che quello che spinge alla carriera politica sia solo voglia di protagonismo, desiderio egoistico di essere sotto i riflettori, e non la ricerca del meglio per la società. D'altra parte è anche vero che questo tipo di potere garantisce solo benefici e nessun rischio in caso di fallimento. L'unico vero timore potrebbe essere quello di non essere rieletti, ma è sufficiente resistere due anni per essersi assicurati una pensione da nababbi per il resto della vita.
Nei giovani ha notato però una certa reazione, una differenza importante: si parlano, si ascoltano, si aggregano. C'è in loro una volontà di confrontarsi e di crescere insieme. A discapito della diversa ideologia, ammesso che ne sia rimasta una, pur di costruire qualcosa di buono, cresce la volontà di superare sia l'ottusità derivante dalla cieca appartenenza ad un partito, sia l'egoismo di chi ricerca solo la soddisfazione personale. La figura del militante così come quella dell'arrivista, passano di moda per lasciare il posto ad una nuova figura di intellettuale che, nelle pieghe della società, chiede sempre più spazio per manifestare costruttivamente e propositivamente la sua denuncia. Si piantano alberi, si fondano associazioni culturali senza scopo di lucro, si organizzano manifestazioni, si è uniti per il solo fatto di essere giovani.
 
Paolo è figlio del suo tempo, apprezza e condivide questo nuovo spirito costruttivo. Il suo gruppo di amici ultimamente è impegnato alla pittura di un murales in un sottopassaggio pedonale pieno di scritte oscene, sono convinti che nessuno avrà il coraggio di pasticciare un'immagine. Vorrebbe aiutarli ma non è dell'umore adatto. È un periodo che non ha voglia della compagnia di nessuno, soprattutto di chi lo conosce troppo bene e capirebbe il suo stato d'animo.
«Vieni ad aiutarci domani?»
«Non posso devo, studiare; ho un esame tra poco». Apatia, maledetta apatia.
«Dai, non fare lo stronzo, solo un paio d'ore. È divertente».
«Veramente, non posso, sono indietro e se non lo passo mia madre mi fa a pezzi».
A dir la verità studia solo poche ore al giorno, le altre le passa ad ascoltare musica fissando il soffitto.
Ha salutato l'amico al telefono e la sua mente ora si affolla di pensieri.
Paolo è convinto che l'apatia sia la malattia dei giovani d'oggi, sembrano svogliati, perdono il loro tempo ad ascoltare musica sognando di fuggire, di cambiare la loro vita, ma non appena suona l'ultima nota si alzano e si ributtano senza entusiasmo nella loro vita.
Paolo è di nuovo sdraiato sul letto con lo stereo acceso.
Il mondo d'oggi fornisce ai suoi passeggeri talmente tanti stimoli e possibilità che non è possibile più stupirsi di niente, l'adrenalina diventa abitudine e l'immobilità avventura. Piuttosto che ricadere nella solita cornice è meglio dipingere un quadro immaginario fissando il soffitto dove il piacere è piacere e il dolore è dolore, dove l'uomo è uomo senza compromessi.
In una società dove anche il piacere può essere frutto della tecnologia, l'unica verità, l'unico mondo che sembra essere degno di essere vissuto è all'interno dell'uomo e non all'esterno; in una società dove lo stupore è appiattito dalla quotidianità, dove tutto diventa banale, l'unico rifugio è la natura.
È strano come non ci si sorprenda più delle stranezze del mondo, come ormai tutti conosciamo tutto, come non ci si scandalizzi più della morte che ci viene fornita continuamente dai media, oppure come ci si ipnotizzi ancora davanti a un temporale o a un tramonto che sono spettacoli che da sempre l'uomo ha visto e a cui dovrebbe essere abituato. La natura è la vera dimensione dell'essere umano e la natura dell'essere umano è solo all'interno di sé. Solo qui, all'interno, l'uomo è rimasto sempre lo stesso, solo qui l'intero genere umano è accomunato in un infinito gemellaggio a discapito della storia, del progresso, della tecnologia; solo qui l'uomo è rimasto, rimane e rimarrà invariato nelle sue infinite differenze, ma anche nelle sue rassicuranti similitudini. Questo è il vero mondo, dove l'uomo è veramente se stesso, dove il dolore è dolore e il piacere è piacere.
Il cd è finito, si alza e ne mette un altro mentre la mente continua a correre libera. Paolo parla a se stesso.
Da sempre si sono cercate medicine che alleviassero i dolori dell'umanità eppure nessuno ha mai trovato un rimedio al dolore che provoca un amore finito; nessun piacere artificiale è paragonabile alla gioia dei sentimenti. L'uomo rimarrà se stesso solo dentro di sé, nonostante la cornice esterna, e adesso come adesso a lui non frega niente della cornice esterna.
Che senso può avere dipingere alberi che in autunno non perderanno le foglie? che rimarranno sempre immobili nella loro staticità? che senso può avere abbellire la cornice? No! la cornice non ha senso, è solo il contorno, il superficiale, lasciamo che la società viva nell'orrore affinché ogni uomo riscopra che la verità è solo dentro di sé e che la natura è l'unica dimensione umana!
Paolo è veramente stanco. Non ne può più. Non è sicuro di credere veramente a quello che sta pensando, anzi è convinto che sia solo la cattiveria a farlo ragionare in quel modo, ma è di cattivo umore e non gliene frega niente se sia giusto o meno, in questo momento lo pensa e basta.
Lo assale un leggero senso di colpa, a volte si sorprende del suo cinismo e se ne dispiace. Forse dovrebbe uscire ad aiutare i suoi amici?
Forse, ma non oggi.
 

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Prefazione di Olivia Trioschi
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Inserito 8 dicembre 1997 (R& -a)