02-1998 12:38 by Claris Home Page version 2.0-->
ASSOCIAZIONI CULTURALI
L'Antologia dell'Associazione culturale savonese ZACEM

Oriana Ricci

ORIANA RICCI: giovanissima, ha concluso il Liceo Classico e da pochi mesi si cimenta con il racconto. Alcuni dei suoi elaborati sono stati pubblicati dal settimanale ligure "Arcobaleno".
IL CIONDOLO DI NU
 
Paoletta si è appena addormentata: nel lettone il suo corpicino pare ancora più minuto; lieve il suo respiro, tanto da essere coperto dal vento impetuoso, che sbatte contro i vetri della finestra.
Il suo volto è sereno: ciò rassicura la sorella maggiore Manuela che, preoccupatasi che Paoletta sia ben coperta, quasi a volerla proteggere dal freddo intenso dell'inverno, si affretta a lasciare la camera, per timore di turbarne il sonno. Prima di chiudere la porta, si volta a dare un'ultima sbirciata, controllando che la sorellina sia comoda, e che tutto sia a posto. D'un tratto avverte una strana sensazione, molto forte: le sembra che quel corpo, adagiato sul letto, sia il suo, non di Paoletta. In una parola si sente tornare bambina, rivivendo le stesse emozioni di anni prima, quando anche lei dormiva lì, in quella stanza. D'improvviso la piccola Manuela si alza in piedi, e si dirige verso i suoi giocattoli, scegliendone il preferito: la casa delle bambole. Ecco che tutto: la stanza, il letto, Paoletta: nulla esiste più. Ormai la mente di Manuela sta in quella casa! La casetta, che riproduce su scala un vero e proprio villino, alquanto sorprende per il modo in cui è stata curata nel complesso, e nei particolari minimi. Il praticello all'inglese separa la cancellata di ferro dal portoncino d'entrata; terminanti con piccoli davanzali, le finestrelle bombate sono arricchite all'interno da graziose tendine, che scorrono attaccate ad un bastone della nonna autentico. Spiovente è il tetto, e lo si può aprire in metà, proprio come una valigia, scoperchiando la casa, così da renderne accessibile l'interno. Anche qui incredibile è la rifinitezza degli arredi. Collegando il piano inferiore al superiore, l'ampio scalone costituisce la struttura più appariscente; ma non è certo da meno la precisione con cui sono mimate le porticine, i mobili, persino i quadri appesi alle pareti.
Fornito di caminetto, come quelli di tutte le ville che si rispettino, il salone costituisce forse il vano più interessante della casa, animato com'è da personaggi. Le cinque bambole, sistemate sul divano e sulle poltroncine stile antico, che, con la loro ben definita struttura anatomica, rappresentano tre soggetti femminili, due maschili, appartengono tanto a Manuela quanto alla sorella. Nel corso degli anni le bambine le hanno ricevute in regalo, oppure acquistate coi pochi soldini spillati alla mamma, in cambio di piccoli lavoretti, come lavare i piatti, o portare il cane fuori, a fare pipì. Paoletta non ha mai attribuito alle bambole nomi specifici, non perché la sua fantasia sia corta: in quanto piuttosto il mutare degli appellativi, dell'età, dei luoghi dove si ambienta la scena, sia naturale conseguenza della varietà dei giochi. Per la sorella le cose sono meno semplici. Manuela è indicibilmente legata a queste bambole: che rappresentano, nella sua fervida fantasia, ora questo, ora quel personaggio della propria vita, e tutte insieme creano l'intricato gioco della sua esistenza!
Derivata da un'adolescenza non facile, la sofferenza genera in lei una sorta di vena artistica: Manuela inventa giochi alquanto eccentrici che le consentono di scaricare le accumulate energie negative, portando i vissuti della vita reale sulla scena, grazie alla quale s'illude di renderli meno drammatici. Come il produttore televisivo riduce le vicende di un qualsivoglia soggetto a finzione cinematografica, con maestria tale, da indurre lo spettatore ad obliare la realtà, per immergersi totalmente nella scena, così fa Manuela. Allorché ricrea le proprie vicissitudini sul palcoscenico, rappresentato dalla casa delle bambole, s'illude di allentare il dolore e la frustrazione ad esse connessi: facendo si che, almeno nella finzione, sempre trionfi il bene sul male, i buoni sui cattivi, l'amore sull'odio. Le sue sceneggiature hanno presentato nel corso del tempo un carosello vario di personaggi; ma la protagonista è sempre stata Nu, la bella bambola dai lunghi capelli neri, raccolti da un nastro di seta rossa, come l'elegante vestito che le stringe la vita, per poi aprirsi a ruota, seduto appunto lì, nel salone del villino suddetto. Lo strano nome che porta è senza dubbio un diminutivo, derivando da Manu, Nu sta a significare che la bambola è la riproduzione in miniatura della padrona, che sempre in lei s'immedesima. Fisicamente Nu può assomigliare a Manuela quanto almeno ad altri cento milioni di ragazze di statura media, dai capelli scuri. Quanto al carattere, Nu non assomiglia di certo né a Manuela, né a nessun'altra, per la sua natura intrinseca di essere inanimato: è la padrona a decidere che in ogni gioco Nu la rappresenti. Risulterebbe però noioso riprodurre la copia esatta di ciò che è la vera Manuela: infatti, nella finzione scenica Nu è l'elevazione massima di Manuela. Essa rappresenta la sua parte migliore: quella Manuela che riesce sempre a farsi amare da tutti, e che, non disposta ad accettare le ingiurie della vita in modo passivo, sempre tutto risolve. Manuela ha evidenziato la sua analogia con la bambola non solo per mezzo del nome, ma anche legando al collo di questa un ciondolino a forma di cuore, del tutto simile al talismano che lei tiene sempre con sé. Nu riesce a venire a capo di qualsiasi situazione, quasi per magia, proprio sfregando quel talismano. Se fosse possibile raccogliere tutte insieme le varie storie che la ragazza ha inscenato, tramite l'artificio di Nu e delle altre bambole, suddividendole per argomento o cronologicamente, sarebbe lampante il suo ricorso alla finzione scenica, quale astratta risoluzione dei propri vissuti, praticamente in ogni epoca della propria esistenza. Il bambolotto con l'aria più anziana, conferitagli dai capelli grigi, come la barba, che ora rappresenta personaggi attuali della vita di Manuela, è stato in passato suo padre: quel papà tanto agognato da una bambina che aveva abbandonato molto piccola, senza motivo, senza perché.
Manuela aveva sentito cedere le forze molte volte, durante le scenate della madre Lidia, che si lamentava di quanto fosse stata sfortunata ad incappare in un marito tanto infido; di quanto faticoso fosse stato per lei crescere due figlie da sola, priva dell'appoggio di un uomo; e di quanto più felici fossero le sue amiche.
Cercando disperatamente di salvare se stessa da quel vortice d'ansia, la bambina correva in camera, a mettere in moto il suo benamato teatrino delle bambole. Anche nel gioco, che di pari passo seguiva la vita di Manuela, ecco prendere forma dissapori e litigi fra padre e madre: ma al culmine della vicenda Nu, grazie al suo magico ciondolino, faceva sì che tutto si risolvesse. Il padre non fuggiva, ma s'impegnava solennemente a riunire la famiglia, rendendo le figlie nuovamente felici, ma in particolare la moglie Lidia. Se questa si mostrava ancora in collera, ecco subito il potere di Nu realizzare che la madre superasse i propri asti nei confronti del marito, dimostrandogli immediatamente quanto lo amasse. Tanto per citare un secondo esempio di come Manuela riuscisse ad inscenare la propria infanzia attraverso le bambole, si può fare riferimento a Camilla, la nonna paterna. Dopo la fuga del figlio, Camilla, non riuscì più a mantenere la sintonia con la nuora, perché quest'ultima imprecava di continuo contro il marito, mentre lei, pur non comprendendone il comportamento, per naturale istinto materno continuava a difenderlo.
Gli screzi tra nuora e suocera divennero tali, che ad un certo punto Camilla, fino ad allora vissuta con la famiglia di Manuela, decise di trasferirsi altrove. Manuela soffrì incredibilmente per questo secondo abbandono, anche se più razionale del primo. La bambina trovò la possibilità di recuperare il rapporto con la nonna solo attraverso le bambole: inscenando che Camilla tornasse ogniqualvolta Nu necessitava del suo conforto. Sia per riappacificarne i genitori, sia per stare accanto alla nipotina.
Il secondo bambolotto di sesso maschile, dall'aria più giovane, anch'esso non ha ricoperto un unico ruolo nella commedia della vita di Manuela: ne ha rivestito ora uno, ora l'altro, in base alle esigenze di copione. Nelle vicende legate al passato, esso ha rappresentato alcuni di quei coetanei, con i quali la bambina venne maggiormente a contatto. Uno tra questi: il cugino Simone, nei cui confronti Manuela provò qualcosa di indefinibile. Dall'affetto sincero, sentito per lui nei pochi periodi sereni della loro storia famigliare, Manuela giunse a rasentare l'odio nei suoi confronti; quando la madre glielo dipingeva come un mostro. Lidia quasi lo incolpava del fatto che lui avesse un padre affettuoso e gentile, mentre quello di Manuela si era tanto interessato delle figlie, da averle abbandonate. A livello emotivo Manuela non poteva impedirsi di invidiare quel cugino. Nella vita reale però, mostrandosi più razionale della madre, doveva assolverlo. L'innocenza di Simone, sulla questione relativa all'indole buona di suo padre, era infatti palese, quanto almeno l'impotenza di Manuela di fronte alla scorrettezza del proprio. L'unico luogo, dove sfogare liberamente le emozioni, restava ancora una volta la casetta delle bambole. Qui lo zio Diego, padre di Simone, impersonato dallo stesso bambolotto che interpretava quello di Manuela, accoglieva Nu e la sorella in casa propria, per accudirle come figlie. Nei momenti in cui Manuela si sentì maggiormente esasperata, Nu otteneva addirittura, sfregando il ciondolino, che zio Diego ripudiasse la moglie legittima, e sposasse Lidia: dando così una nuova famiglia alle figlie di costei.
Anche nel presente è chiara la trasposizione della vita di Manuela dal piano reale a quello fantastico del gioco, da lei inteso come tentativo di superare il dolore, le angosce della vita.
Nelle rappresentazioni più recenti, Nu è l'unica a conservare la propria identità: gli altri personaggi la mutano, adeguandola alle esigenze del presente. Volendo distinguere tra loro i due bambolotti maschili, in base all'aspetto più o meno senile, ecco che quello più giovane, un tempo Simone, ora diventa Ernesto, fidanzato di Manuela. Quello più anziano, se impersonava prima il padre e lo zio, è per lei ancora oggi una figura protettiva, in quanto assume le sembianze di Sandro Miglio, padre di Ernesto. E' un uomo di mezza età, Sandro, che si porta uno per uno, i suoi anni sulle spalle robuste, leggermente inarcate dal peso di una vita ligia alla famiglia, ma anzitutto al lavoro complesso di creare dal nulla la Miglioplast: piccola azienda, adita alla fabbricazione di oggetti in plastica, che ha saputo affermare in modo degno sul mercato. Può ritenersi ampiamente realizzato nella gestione della sua società, Sandro: peccato non possa vantare un successo altrettanto sfolgorante in ambito privato. Ogni giorno, infatti, si reca sulla tomba della moglie Caterina, cui non smetterà mai di chiedere scusa. Scusa di aver fallito gli innumerevoli esplicati tentativi di recuperare Ernesto, loro unico figlio. Ernesto, dal canto suo, è l'esatto contrario del padre: un ragazzo immaturo, irresponsabile, ribelle. Rifiutando di divenire uomo, Ernesto continua a non crescere nelle sue scelte sbagliate, nelle promesse di uscire dal vortice della droga, mai mantenute. Circa due anni prima, allorché il figlio venne dimesso dalla comunità, dove si era sottoposto, per l'ennesima volta, ad una terapia di disintossicazione, Sandro si prefisse di non cadere più nella trappola, che solitamente questi gli tendeva. Il giochino consisteva nell'illudere il padre del proprio cambiamento, così da indurlo a sentimenti tanto compassionevoli, che poi sarebbe stato facile approfittare di lui.
Questa volta Sandro avrebbe agito con astuzia maggiore: illudendo il figlio di cascare nella sua rete, restando invece impassibile di fronte ai suoi raggiri.
Questo atteggiamento rese ancor più aspra la convivenza tra i due. Nel giro di pochi mesi, la situazione divenne insostenibile. Padre e figlio litigavano di continuo, perché Ernesto pretendeva da Sandro che lo riverisse a puntino; che marinasse il lavoro, ogniqualvolta lui piombava in depressione; che gli elargisse infine, senza tregua, denaro, con cui soddisfare ogni capriccio. Sandro, esasperato da atteggiamenti tanto sconsiderati, decise di affidare il ragazzo ad un istituto, dove qualcuno si sarebbe occupato di lui.
Era dicembre: il freddo era così intenso, che lungo le vie non si vedeva quasi nessuno. Quei pochi sciagurati, cui capitò di doversi avventurare per la città, erano talmente coperti da sembrare pupazzi. Quando Manuela si accinse ad aprire ad Ernesto, per accoglierlo nella propria casa, l'ondata di gelo la colpì assai bruscamente, facendola rabbrividire. Non ebbe neppure il tempo di abituare il proprio corpo a quella sensazione di freddo, che si ritrovò tra le braccia di Ernesto. Queste la stringevano con forza tale da trasmetterle un calore nuovo, molto più intenso di quello assaporato in precedenza. Tenendo Manuela avvinghiata a sé, il ragazzo piangeva, si lamentava, tremando in maniera quasi spasmodica. Lei, che ben conosceva quali reazioni Ernesto esplicasse, e in quali circostanze, capì subito che il giovane andava tranquillizzato. Solo più tardi il fidanzato le riferì quanto era successo, informandola della decisione di suo padre. Manuela gli rispose con lo sguardo colmo di compassione. Crescevano intanto in lei sentimenti di disprezzo verso Sandro: uomo cui aveva concesso stima e fiducia, ma che ora la stava non poco deludendo, voltando le spalle ad un figlio in quelle condizioni.
Con il calare della sera, i due ragazzi uscirono, per cenare in una pizzeria antistante la casa di Manuela. Questa l'occasione di intavolare un lungo dialogo, che si risolse poi in un monologo di Manuela, data la natura frammentaria dei discorsi di Ernesto, comune a tutti i tossicomani. La ragazza vagliò a fondo i problemi di entrambi, con l'intento preciso di trovare una comune linea risolutiva. Ernesto era appena uscito dalla comunità: pensare a lui come ad un ragazzo completamente rinsavito, senza più debolezza alcuna, sarebbe stato un grosso errore. In quel periodo viveva assieme al padre e, per volere di quest'ultimo, il mattino seguiva un corso di recupero, organizzato dall'istituto dove era stato curato, lavorando il pomeriggio, in base ad una linea terapeutica stabilita dalla comunità stessa. Appena dimesso, Ernesto tentò più volte di convincere il padre ad assumerlo alla Miglioplast, dandogli piena fiducia. Sandro, che aveva imparato, da una triste serie di esperienze, a prendere con le pinze quel giovane, si rifiutò di assumerlo, ben conscio della sua scarsa affidabilità. Il lavoro part-time, se agevolava Ernesto, nella misura in cui lasciava spazio ad altre attività terapeutiche, non giovava affatto alla sua situazione economica. Egli veniva remunerato per le proprie fatiche, con una cifra troppo modica, per permetterli la sussistenza. D'altra parte anche Manuela non scherzava quanto a problemi di natura finanziaria. Dopo il diploma magistrale, si vide costretta a cercare subito lavoro, per sopperire a quelle carenze pecuniarie, arrecate alla famiglia dall'assenza del padre, e dalla presenza di una madre emotivamente troppo fragile, per provvedere al mantenimento proprio e delle figlie. Il fatto di trovare impiego presso una lavanderia della città, spezzo il cuore di Manuela anziché rallegrarlo. Lavorare a tempo pieno significava rinunciare ad una delle sue mete più ambite: conseguire la laurea in psicologia.
Le preoccupazioni che la affliggevano maggiormente, in quel momento, erano però di natura ben diversa. Manuela, conoscendo Ernesto molto bene, poteva prevedere che la sua permanenza al di fuori della comunità sarebbe stata assai breve: presto il ragazzo si sarebbe cacciato in un altro pasticcio. Non vagliando neppure la possibilità di lasciare che fosse nuovamente ricoverato, tanta era l'angoscia che il solo spauracchio di un'ennesima separazione le procurava, si prefisse di andare a vivere con lui, nonostante le loro economie molto scarse. Manuela era convinta che, controllando Ernesto in continuazione lo avrebbe orientato verso atteggiamenti più razionali. Che, con l'esercizio di una qualche forma di controllo su di Ernesto, avesse potuto plasmarlo, sia intrinsecamente, mutando cioè il suo pensiero, che in maniera estrinseca, ossia correggendone i modelli comportamentali, era da sempre il chiodo fisso di Manuela. D'altra parte, proprio lei non si era prefissa di cambiare, in senso sempre positivo, la valenza dei personaggi maggiormente rappresentativi della sua esistenza, attraverso le espediente delle bambole? Da bambina cercò di attenuare il dolore per la perdita del padre e della nonna; come l'invidia verso il cugino, ed altri sentimenti, inscenando quelle situazioni nel teatrino delle bambole. Qui la bella Nu, cioè la stessa Manuela, grazie al potere del ciondolino magico, riusciva sempre a plasmare le reazioni altrui adeguandole alle necessità interiori proprie. Anche in età più matura, Manuela non si rassegnava ad accettare che la condotta degli altri non corrispondesse perfettamente ai propri desideri. Poi si era legata ad Ernesto, persona fragile ed ambivalente, da lei probabilmente scelta proprio in quanto le permetteva di esercitare questo potere immaginario di modificare la realtà, anziché sopperire ad essa. Manuela aveva molte volte immaginato di trasformare il fidanzato in un uomo esemplare, con la forza del proprio desiderio.
Ernesto aveva tradito di continuo la sua fiducia: nuovamente abusando di stupefacenti, o con altri atteggiamenti riprovevoli. Addirittura si lasciò coinvolgere da amici nell'esecuzione di piccoli furti, ed altri atti eccedenti i limiti della legalità, allorché il padre gli rifiutava il denaro necessario per la droga. In tutte quelle circostanze Manuela si sentì logicamente delusa, e profondamente ferita dal proprio ragazzo. Questi, pur sembrando apprezzare tutto il sostegno che lei tentava di dargli, a discapito del proprio equilibrio, minato di continuo dal terrore della sconfitta, continuava ad incappare nei soliti errori. Faceva così intendere, come, da parte sua, le fatiche di lei suscitassero disprezzo piuttosto che elogio. Colpita da tanto dolore, Manuela reagiva nel modo, non troppo sano, di chi rifiuta delusioni e sconfitte della vita, preferendo piuttosto soccombere ad essa. Ogni qualvolta l'atteggiamento di Ernesto la turbava, la prima reazione era quella naturale: alla rabbia seguiva il desiderio di abbandonare quel ragazzo, perenne fonte di amarezze. Il solo pensiero di lasciare Ernesto, però rievocava in Manuela quelle sensazioni di solitudine ed abbandono, con le quali aveva dovuto fare i conti fin da piccola, tentando di sfuggirle per troppa paura: cercando rifugio nella fantasia. Il dolore connesso alla perdita risultò per lei, nel passato remoto quanto in quello prossimo, così terrificante, da non riuscire a sostenerlo. Era invece esso a colpirla come un boomerang, facendola capitolare. Manuela aveva sperimentato la perdita troppo piccola, senza sviluppare alcuna difesa psichica, idonea al suo superamento. Proprio per questo, in modo reale o sublimando attraverso il gioco, continuava a ricercare, pur di non sentirsi sola, chi l'avesse abbandonata o ferita. Se la bambina ricorreva, con il gioco, al potere di Nu per riavere l'affetto del padre e della nonna, così la Manuela più adulta si rivolgeva ancora a Nu col pensiero, per evitare, almeno nella fantasia, gli abbandoni.
Ora intenta nella riflessione, Manuela ricorda un episodio accaduto anni primaÖAstinente da pochi giorni, Ernesto venne raggiunto a casa da alcuni amici che, con estrema facilità, lo convinsero nuovamente a "farsi". Quella sera il ragazzo era rimasto in casa da solo: il padre presenziava una riunione alla Miglioplast; Manuela, che a quell'epoca viveva con la madre e la sorella, stava studiando nell'abitazione propria. Quando venne informata dell'accaduto, subito fu assalita dalla rabbia. Non volle però ammettere la colpa di Ernesto, per non dover vagliare l'eventualità di lasciare un ragazzo tanto inaffidabile. Quindi rivoltò la responsabilità su se stessa, immaginando che Nu, in quella situazione, sarebbe stata accanto ad Ernesto, e col suo ciondolino avrebbe suscitato in lui la volontà di evitare quell'errore. Proprio la necessità di controllare gli altri in maniera reale, o almeno fantastica, per proteggersi dall'eventuale abbandono, costituì la molla che, in quella fredda sera di dicembre, convinse Manuela a programmare la convivenza con Ernesto, evitandogli così una nuova istituzionalizzazione. Circa un mese dopo, i due fidanzati cominciavano la loro vita in comune, in un piccolo alloggio ammobiliato, messo a loro disposizione da Sandro Miglio. Oltre modo esasperato dalla condotta del figlio, Sandro aveva deciso appunto di ricoverarlo in un centro privato di sua fiducia, dove sarebbe stato seguito per anni. Rinchiudere Ernesto in quella specie di carcere, gli spezzava però il cuore: anche in quanto assolutamente non convinto che misure di tipo coercitivo avrebbero spinto il figlio ad una collaborazione maggiore. In preda ai sensi di colpa, ecco, per la prima volta, Sandro mettere a nudo le proprie debolezze di padre, di uomo. Manuela seppe approfittare subito di questo suo cedimento, proponendogli un patto, che avrebbe consentito a lei di risolvere gli ostacoli economici, realizzando così il suo progetto.
Se Sandro l'avesse aiutata dal punto di vista finanziario, non si sarebbe dovuto preoccupare più di nulla: ad Ernesto ci avrebbe pensato lei. In cambio dei servigi resi al giovane inoltre, Sandro offrì a Manuela, cui era sinceramente affezionato da tempo, la possibilità di lasciare il lavoro, per dedicarsi alla casa e agli studi. Manuela ora poteva controllare i movimenti del fidanzato: ciò nella sua psiche perversa, avrebbe dovuto garantirle una migliore qualità del loro rapporto. Peccato che la vita troppo presto le mostrò quanto la connessione tra controllo delle persone e sviluppo positivo delle vicende sia fittizia. Anche durante la convivenza Ernesto, non a caso, continuò a calpestare i sentimenti di Manuela, preoccupandosi solo di se stesso. Accadde persino che il ragazzo, uscito per recarsi ad una festa, dove non volle portare Manuela, sparì, senza dare notizia alcuna. Manuela visse giorni infernali, logorandosi all'estremo delle forze, nella paura che lui volesse abbandonarla. Due giorni dopo, il ragazzo venne ritrovato in una casa di campagna. Si trovava lì con alcuni amici tossici, e con tre ragazze di colore dedite alla prostituzione. Quella volta Manuela andò veramente fuori di senno. Aveva già preparato le valigie, intenzionata a tornare dalla madre, quando capì che la paura di restare sola era per lei molto più intensa del male, che perdonare la scappatella del proprio ragazzo potesse recarle.
Fu così che tornò a ribollire nella stessa pentola. In quei giorni, Manuela si recò comunque dalla madre, per salutare lei e Paoletta. Non era forse questa una scusa? In realtà, probabilmente voleva un modo suo di confortarsi, di riaddolcirsi l'anima. Salita nella sua vecchia camera, infatti, iniziò a giocherellare con le bambole, inscenando una situazione analoga a quella nella quale realmente si trovava.
Col suo potere, Nu fece sì che Ernesto accettasse di condurla alla festa con sé. Mentre lei ballava con un conoscente, lui sparì, per recarsi alla casa di campagna. Nu, preoccupata per la sua scomparsa, sfregò il ciondolino: ecco tutto sistemato!
Ernesto all'improvviso capì di amare solo Nu: immediatamente tornò alla festa dove, tra gli sguardi ammirati dei presenti, la strinse appassionatamente a sé, per un lungo valzer.
Al termine del gioco, Manuela sorrise per la commozione, con la vista offuscata dalle lacrime. Quello era semplicemente un gioco: lei di certo non possedeva le prerogative di Nu. Attraverso la finzione però si auto convinse che, controllando più severamente Ernesto, in futuro avrebbe ottenuto di migliorarne la condotta. Il suo ragazzo sarebbe cambiato con il tempo: perciò non era necessario separarsene, rimanendo di nuovo sola.
Nutrendosi di tali illusioni, Manuela continuò a vivere per altri due anni in quel piccolo inferno. Ora la ritroviamo qui, a contemplare le solite bambole, nella sua vecchia stanza, dove ancora dorme la sorellina. Ecco Manuela abbandonarsi a ricordi ed a nuove riflessioni: che inizi a comprendere quanto diversa sia la realtà?
Il mondo della fantasia non le è forse più sufficiente? L'unica certezza è come Manuela sia perfettamente consapevole della gravità di quanto accaduto da pochi giorni: braccato dalla polizia, Ernesto è stato accusato di spaccio, e conseguentemente condannato a tre anni di reclusione. Manuela scruta uno per uno i suoi bambolotti con attenzione: forse vuole chiedere loro un po' di conforto. Allorché posa gli occhi su quello rappresentante Ernesto, ecco che la ragazza avverte una fitta al cuore.
Rivolgendosi al bambolotto, pronuncia parole colme di disprezzo: "Come hai potuto farmi questo? Ora rimarrò sola: che ne sarà di me?"
Per scaricare forse la crescente tensione, sposta lo sguardo dall'Ernesto al Sandro in miniatura. Di nuovo la rabbia le pulsa nelle vene: "E tu, perché ci hai tradito? Dimentichi che Ernesto è tuo figlio?".
Poi Manuela non vede più nulla. Avverte solo qualcosa di salato bagnarle la bocca: sono le lacrime che le inondano il viso. Sente intanto rintonarle nelle orecchie parole dure, che il vero Sandro ha pronunciato poco prima. Passato da lei nel pomeriggio, per discutere insieme la faccenda, Sandro le era parso subito meno titubante; decisamente più sicuro di sé, delle decisioni proprie. Il mattino Sandro e Manuela si recarono presso lo studio di un noto avvocato, per chiedere dettagliate informazioni circa la situazione di Ernesto. Il legale spiegò loro che il caso non era irrimediabile: ci si poteva appigliare ad un qualche cavillo giuridico, evitando così, con la libertà vigilata, anni di carcere al ragazzo. Dopo ore di riflessione Sandro giunse ad emettere un suo verdetto: questa volta Ernesto non l'avrebbe passata liscia! L'uomo tentò di spiegare a Manuela la natura della decisione presa. Anche se tutto ciò sembrerebbe disumano, l'intenzione di Sandro non era quella di nuocere al figlio. Voleva semmai che Ernesto imparasse a vivere; ad assumersi le proprie responsabilità. Sandro riteneva che il figlio non fosse pronto ad affrontare il mondo esterno. Pur provando affetto sincero per lui e per Manuela, il ragazzo non poteva ricevere il loro aiuto, in quanto assorto completamente in una dimensione a se stante: quella della tossicomania. L'unica ragione di vita è qui la droga, oltre la quale nulla esiste. I rapporti interpersonali sono possibili solo se c'è in comune questo interesse: si percepisce come "altro", come "diverso", chi non invoca mamma droga. Le attenzioni concesse per anni ad Ernesto risultano perciò infertili: il ragazzo tradisce il proprio soccorritore, pugnalandolo alle spalle, non appena riecheggia il richiamo della "roba".
Su queste premesse Sandro si era convinto che solo la detenzione forzata, privandolo coercitivamente della droga e costringendolo a riflettere, avrebbe dato ad Ernesto l'occasione di maturare. A Manuela però risultava impossibile accettare una realtà tanto dura: questa volta aveva veramente perso Ernesto? Sandro le aveva offerto occasioni uniche: la possibilità di usufruire ancora dell'alloggio, e quella di proseguire gli studi intrapresi. Invece di ringraziarlo, lei aveva cominciato ad insultarlo; infine era uscita di casa, sbattendo violentemente la porta. Vagando tutto il pomeriggio senza meta per la città, Manuela ammirò le luccicanti vetrine dei negozi, senza vederle. Non era riuscita a comprendere la sua reazione verso Sandro. Proprio ieri, anche lei era giunta alla conclusione che agevolare Ernesto, accontentarlo sempre, non fosse che il miglior modo di legittimare i suoi errori continui. Ma allora, perché tanto risentimento nei confronti di Sandro, che in cuor suo non condanna? Sandro aveva chiesto di crescere non solo al figlio: anche a lei. L'aveva pregata di rinunciare ad un amore impossibile; l'aveva invitata a proseguire gli studi, a pensare al proprio benessere, al proprio futuro. Non era forse stata, la sua, una dimostrazione di profondo affetto? Verso sera, Manuela era passata dalla madre. L'aveva salutata, salendo poi di corsa in camera di Paoletta, a cercare, nelle sue bambole, rifugio al proprio dolore.
Eccola qui mentre si accinge ad inscenare un'ennesima storia, dove Nu ancora una volta risolve tutti i guai. Mentre Sandro le comunica la sua decisione, Nu sfrega il ciondolo, e l'uomo rinsavisce. Sandro e Nu si precipitano al carcere, per liberare Ernesto. Durante il viaggio di ritorno, Sandro si scusa con il figlio di aver dubitato a tal punto di lui. Per riscattarsi, gli propone un lavoro alla Miglioplast. Giunti a casa, Nu ed Ernesto hanno una piacevole sorpresa: a loro insaputa, Sandro ha organizzato nell'appartamento la loro festa di nozze.
Nu si affretta a sposare Ernesto, che le giura di non deluderla mai più. Ad applaudire la bella sposa sono presenti anche il padre e la nonna Camilla, che implorano perdono per averla abbandonata. MahÖ che succede? Manuela sembra non trovare più conforto alcuno nella finzione. La ragazza, in preda ad un attacco isterico, strappa il ciondolo dal collo di Nu. Afferra poi l'intera casetta delle bambole, e la scaraventa per l'aria, facendo un baccano tale, che la sorellina si sveglia. Abbracciando Paoletta, che urla spaventata, anche Manuela comincia a piangere: piange e ride, soffre ed è felice. E' felice, perché ora ha la certezza di voler crescere: anche se ciò significherà accettare il dolore, senza volerlo più sfuggire attraverso la fantasia.
Indice
Copertina
Prefazione
Home page dell'associazione Zacem


Per tornare all'indice delle Associazioni culturali
©1998 Il club degli autori,
Per comunicare con il Club degli autori: info<clubaut@club.it>

Rivista Il Club degli autori

Home page Club dei poeti
|Antologia dei Poeti
Concorsi letterari
Arts club (Pittori)
TUTTI I SITI CLUB
Consigli editoriali per chi vuole pubblicare un libro
Se ti iscrivi al Club avrai un sito tutto tuo!

Agg. 15 ottobre 1999